[Pagina precedente]...vere, tanto crescono le vantate, e le adulazioni; e similmente, che a misura che decadono le lettere e i buoni studi, si aumentano di magnificenza i titoli di lode che si danno agli scienziati e a' letterati, o a quelli che in sì fatti tempi sono tenuti per tali. Il somigliante par che avvenga circa il modo della pubblicazione dei libri. Quanto lo stile peggiora, e divien più vile, più incolto, più ?(???(?, di meno spesa; tanto cresce l'eleganza, la nitidezza, lo splendore, la magnificenza, il costo e vero pregio e valore delle edizioni. Guardate le stampe francesi d'oggidì, anche quelle delle semplici brochures e fogli volanti ed efimeri. Direste che non si può dar cosa più perfetta [4269]in tal genere, se le stampe d'Inghilterra, quelle eziandio de' più passeggeri pamphlets, non vi mostrassero una perfezione molto maggiore. Guardate poi lo stile di tali opere, così stampate; il quale a prima giunta vi parrebbe che dovesse esser cosa di gran valore, di grande squisitezza, condotta con grand'arte e studio. Disgraziatamente l'arte e lo studio son cose oramai ignote e sbandite dalla professione di scriver libri. Lo stile non è più oggetto di pensiero alcuno. Paragonate ora e le stampe dei secoli passati, e gli stili di quei libri così modestamente, così umilmente, e spesso (vilmente, abbiettamente) poveramente impressi; colle stampe e gli stili moderni. Il risultato di questa comparazione sarà che gli stili antichi e le stampe moderne paion fatte per la posterità e per l'eternità ; gli stili moderni e le stampe antiche, per il momento, e quasi per il bisogno.
(Anche le stampe italiane d'oggi, benchè non possano sostenere il paragone delle francesi e inglesi, non temono pero quello di tutte l'altre, anzi sono sicure di uscirne vittoriose; e molte stampe italiane che oggi non paiono più che ordinarie, sarebbono parute splendide nel secolo passato, magnifiche e principesche nei precedenti.)
Noi però abbiamo buonissima ragione di non porre più che tanto studio intorno allo stile dei libri, atteso la brevità della vita che essi in ogni modo (non ostante la bontà della stampa) sono per avere. Se mai fu chimerica la speranza dell'immortalità , essa lo è oggi per gli scrittori. Troppa è la copia dei libri o buoni o cattivi o mediocri che escono ogni giorno, e che per necessità fanno dimenticare quelli del giorno innanzi; sian pure eccellenti. Tutti i posti dell'immortalità in questo genere, sono già occupati. Gli antichi classici, voglio dire, conserveranno quella che hanno acquistata, o almeno è credibile che non morranno così tosto. Ma acquistarla ora, accrescere il numero degl'immortali; oh questo io non credo che sia più possibile. [4270]La sorte dei libri oggi, è come quella degl'insetti chiamati efimeri (éphémères): alcune specie vivono poche ore, alcune una notte, altre 3 o 4 giorni; ma sempre si tratta di giorni. Noi siamo veramente oggidì passeggeri e pellegrini sulla terra: veramente caduchi: esseri di un giorno: la mattina in fiore, la sera appassiti, o secchi: soggetti anche a sopravvivere alla propria fama, e più longevi che la memoria di noi. Oggi si può dire con verità maggiore che mai: ?(???????(?????????(, ???(?????(?(???(? (Iliad. 6. v.146.) Perchè non ai soli letterati, ma ormai a tutte le professioni è fatta impossibile l'immortalità , in tanta infinita moltitudine di fatti e di vicende umane, dapoi che la civiltà , la vita dell'uomo civile, e la ricordanza della storia ha abbracciato tutta la terra. Io non dubito punto che di qua a dugent'anni non sia per esser più noto il nome di Achille, vincitor di Troia, che quello di Napoleone, vincitore e signore del mondo civile. Questo sarà uno dei molti, si perderà tra la folla; quello sovrasterà , per esser montato in alto assai prima; conserverà il piedestallo, il rialto, che ha già occupato da tanti secoli.
Del resto, come la impossibilità di divenire immortali, giustifica la odierna negligenza dello stile nei libri; così questa negligenza dal canto suo, inabilita, e fa impossibile ai libri, il conseguimento della immortalità . Notabili e vere parole di Buffon (Discours de réception à l'Académie française): Les ouvrages bien écrits seront les seuls qui passeront à la postérité; la quantité des connaissances, la singularité des faits, la nouveauté même des découvertes ne sont pas de sûrs garants de l'immortalité. Si les ouvrages qui les contiennent ne roulent que sur de petits objets, s'ils sont écrits sans goût, sans noblesse et sans génie, ils périront, parceque les connaissances, les faits et les découvertes s'enlèvent aisément, se transportent, et gagnent même à être mis en oeuvre par des mains plus habiles. Ces choses sont hors de l'homme, le style est l'homme même. Le style ne peut donc ni s'enlever, ni [4271]se transporter, ni s'altérer. S'il est élevé, noble, sublime, l'auteur sera également admiré dans tous les temps. Al che aggiungo io, che quando anche le mani qui enlèvent i pensieri, non sieno più habiles in materia di stile, (come certo oggi e in futuro è difficile che sieno), nondimeno il libro perira egualmente; perchè in esso non si troverà nulla di più che nelle sue copie; probabilmente assai meno (dico per il fondo, non per lo stile); e così i libri nuovi faranno dimenticare e sparire il vecchio: appunto, se non altro, perchè essi nuovi, e vecchio quello: del che abbiamo l'esperienza quotidiana per testimonio. (Anche intorno a libri bene scritti; quando si tratta di verità e di scienze; come sono quelli di Galileo, che da quale scienziato sono letti oggidì?).
E con questa osservazione di Buffon chiudo questo discorso non troppo lieto, e piuttosto malinconico che altrimenti.
(Recanati 2. Aprile. 1827.)
(Similmente poi, per altra parte, la negligenza universale intorno allo stile, rende inutile la diligenza individuale, se alcuno sapesse e volesse usarne, intorno al medesimo. Perchè, in sì fatti generi, le cose quanto sono più rare, tanto meno si apprezzano. Il pubblico, appunto perchè in ciò negligente, ed assuefatto a trascurar tale studio, non ha nè gusto nè capacità nè per sentire nè per giudicare le bellezze degli stili, nè per esserne dilettato. Perchè certi diletti, e non sono pochi, hanno bisogno di un sensorio formatovi espressamente, e non innato; di una capacità di sentirli acquisita. A chi non l'ha, non sono diletti in niun modo. L'arte più sopraffina non sarebbe conosciuta: l'ottimo stile non sarebbe distinto dal pessimo. Così l'eccellenza medesima dello stile non sarebbe più una via all'immortalità , che senza essa, tuttavia, non si può dai libri conseguire.).
(Recanati. 2. Aprile. 1827.)
(Molti libri oggi, anche dei beni accolti, durano meno del tempo che è bisognato a raccorne i materiali, a disporli e comporli, a scriverli. Se poi si volesse aver cura della perfezion dello stile, allora certamente la durata della vita loro non avrebbe neppur proporzione alcuna con quella della lor produzione; allora sarebbero più che mai simili [4272]agli efimeri, che vivono nello stato di larve e di ninfe per ispazio di un anno, alcuni di due anni, altri di tre, sempre affaticandosi per arrivare a quello d'insetti alati, nel quale non durano più di due, di tre, o di quattro giorni, secondo le specie; e alcune non più di una sola notte, tanto che mai non veggono il sole; altre non più di una, di due o di tre ore). (Encyclopéd. art. éphémères).
(2. Apr. 1827.)
Pavot non sembra essere che un diminutivo positivato di papaver; contratte, per corrotta e precipitata pronunzia, le due prime sillabe pa, in una sola.
Un uomo disarmato, alle prese con una bestia di corporatura e di forze uguale a lui, p.e. con un grosso cane, difficilmente resterà superiore, verisimilmente sarà vinto. Per vincere, gli bisogna qualche arma, che diagli una forza non naturale, e una decisa superiorità . La ragione è perchè il cane vi adopra e vi mette tutto se stesso, fa ancor più del suo potere; dove che l'uomo riserva sempre una gran parte di se medesimo fuor di fazione, e fa sempre meno di quello che può. Il cane non guarda a pericolo, non considera, non usa prudenza. L'uomo al contrario, se non è disperato affatto, stato al quale egli arriva difficilmente, eziandio che abbia piena ragione di disperarsi. Egli si risparmia sempre, perchè sempre spera; e così risparmiandosi, non ottiene quello che la speranza gli promette, o non fugge quello che egli sperasi di fuggire; quello che, se non lo sperasse, otterrebbe o fuggirebbe. E che questa sia veramente la cagion di ciò, vedetelo in un fanciullo: il quale assai più facilmente che un uomo riuscirà pari o superiore in una zuffa con un animale di forze uguali alle sue; zuffa che egli medesimo talvolta attaccherà volontariamente. Il fanciullo, e più il bambino, adopra tutto se stesso, come una bestia, o poco meno. E per questo lato io non trovo niente d'inverisimile nella favola di Ercole bambino, strozzatore dei due serpenti. E la crederò vera più facilmente che quella del medesimo Ercole adulto, sbranatore del leone nemeo, senza altre armi che le sue braccia, come nell'altra battaglia, cioè in quella de' serpenti.
(3. Aprile. 1827.)
Fouiller probabilmente è da fodere, e quindi fratello di fodicare.
[4273]Metrodoro epicureo ap. Ateneo l.12. p.546. f.?(????(??(???????(?????(??? che CAMMINA, PROCEDE, secondo natura. Il qual luogo è spiegato dal Casaubono negli Addenda Animadversionibus, al capo 12.
Nella version latina di quel passaggio del Riccio rapito di Pope (Canto 1.) che contiene la descrizione della toilette, fatta dal D. Parnell (versione assai bizzarra, e che parrebbe piuttosto fatta nell'ottavo secolo che nel decimottavo, poichè consiste di versi dei quali ogni mezzo verso rima coll'altro mezzo, p.e. Et nunc dilectum speculum, pro more retectum, Emicat in mensa, quae splendet pyxide densa, che sono i primi), trovo questi due versi, di séguito: Induit arma ergo Veneris pulcherrima virgo: Pulchrior in praesens tempus de tempore crescens, dove, come si vede, ergo fa rima con virgo, e praesens con crescens. Che dicono gl'italiani di questa pronunzia?
(Recanati. 5. Aprile. 1827.). V. p.4497.
Tricae-tracasserie, tracasser, tracassier ec.
Aerugo, o rubigo o robigo, ruggine-rouille, coi derivati.
Alla p.4266. Io stesso, che pur non ho maggior piacere che il leggere, anzi non ne ho altri, ed in cui il piacer della lettura è tanto più grande, quanto che dalla primissima fanciullezza sono sempre vissuto in questa abitudine (e l'abitudine è quella che fa i piaceri) quando talvolta per ozio, mi son posto a leggere qualche libro per semplice passatempo, ed a fine solo ed espresso di trovar piacere e dilettarmi; non senza maraviglia e rammarico, ho trovato sempre che non solo io non provava diletto alcuno, ma sentiva noia e disgusto fin dalle prime pagine. E però io andava cangiando subito libri, senza però niun frutto; finchè disperato, lasciava la lettura, con timore che ella mi fosse divenuta insipida e dispiacevole per sempre, e di non aver più a trovarci diletto: il quale mi tornava però subito che io la ripigliava per occupazione, e per modo di studio, e con fin d'imparare qualche cosa, o di avanzarmi generalmente nelle cognizioni, senza alcuna mira particolare al diletto. Onde i libri che mi hanno dilettato meno, e che perciò da qualche tempo io non soglio più leggere, sono stati sempre quelli che si chiamano [4274]come per proprio nome, dilettevoli e di passatempo.
(6. Aprile. 1827.)
Radiatus per radians ec. V. Forcellini.
Pel manuale di filosofia pratica. A me è avvenuto di conservare per lo più ogni amicizia contratta una volta, eziandio con persone difficilissime, di cui tutti a poco andare si disgustavano, o che si disgustavano con tutti. E la cagion, per quello che io posso trovare, è che io non mi disgusto mai di un amico per sue negligenze, e per nessuna sua azione che mi sia o nocevole o dispiacevole; se non quando io veggo chiaramente, o posso con piena ragione giudicare in lui un animo e una volontà determin...
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