[Pagina precedente]...e sur le mètre du premier vers de l'Iliade. Des éditeurs et commentat. modernes se sont efforcés de démontrer que ce vers pouvait être [4363]rendu métrique (chi ne dubita, alterandolo a piacere?); cependant une grande autorité classique (Plutarque, de Profect. virtut. sentiend. c.9,) le déclare non-métrique ((??????). (E così chiamano gli antichi molti altri de' versi d'Omero. V. p.4414.) Pour le rendre métrique, dans leur sens, suivant la construction ordinaire du vers, ils ont contracté ??(?, du mot ???((???(?, (sic) en ??. Dans un autre passage Plutarque, expliquant dans quel sens il appelle ce vers non-métrique, avance que le 1.r. vers de l'Il. contient le même nombre de syllabes que le 1.r. vers de l'Odyssée, et qu'il en est de même du dernier vers de Il. à l'égard du dernier vers de l'Od. (Sympos., l.9., c.3.) Or, le 1r vers de l'Odys. se compose de 17 syllabes; savoir de 5 dactyles et d'un spondée, nombre exact contenu dans le vers, ?(?????(????????(??(????????(??????????????(???. C'est pourquoi M. Penn pense que le poëte, en articulant le vers, fit une pause au pentamètre, qui se termine par (?(, et renouvela l'arsis sur la syllabe suivante: ????????|???????(??|?(???????|??????|?(??????|?????. L'auteur soutient qu'il y a, malgré la transgression des lois du mètre, dans la réplétion et la volubilité du vers exordial, une magnificence d'images semblable à la première irruption des eaux d'une rivière, au moment où l'on ouvre l'écluse qui les retient, et avant que ces eaux, reprenant leur pente naturelle, coulent d'un cours uniforme et régulier; ce qui paraît beaucoup plus analogue au début de ce poëme majestueux, que le mètre rigoureusement mesuré qu'on lui a imposé. Bull. etc. 1826. t.6. art.207. p.239. Il principio [4364]dell'Iliade, secondo Müller (v. la p.4321. lin.16.) non è di Omero, ma aggiunto da' ???????????(. Se ciò è vero, che dir de' versi dell'eta omerici, se si trovano ametri anche quelli di tempi posteriori a Pisistrato?
Alla p.4170. fin. La casa delle pitture, c'est ainsi qu'on nomme une maison découverte à Pompéi à cause des fresques quelle offre, les plus belles et les mieux conservées de toutes celles qu'on a trouvées jusqu'en ce moment. Le 12 février 1825, on commença à débarrasser l'entrée de cette maison. On trouva sous la porte un fragment de mosaïque d'un travail médiocre. Il représente un grand chien, la chaîne au cou, dans la position de défendre l'entrée de la maison. Au bas se trouvent les mots suivans: CAVE CANEM. Bull. de Féruss. loc. cit. alla p.4312. janv. 1826. t.5. art.4°. p.45.
(2. Sett. 1828.)
M. Letronne (Nouvel examen de l'inscription grecque déposée dans le temple de Talmis en Nubie par le roi nubien Silco. (iscrizione illustrata già innanzi da Niebuhr Inscription. Nubiens. Romae 1820.) Journal des Savans, 1825.) examine ensuite pourquoi la langue grecque est employée dans l'inscription; ce qu'il explique par l'introduction (parmi les Nubiens) des livres saints et des liturgies écrites en cette langue. En effet, le style même de l'inscription, ces tournures bibliques, byzantines et d'une moderne grécité, prouvent assez clairement que l'usage de la lang. gr. n'a eu lieu dans ces contrées qu'après, ou plutôt à cause de l'introduct. de la rel. chrétienne. ... De toutes les inscriptions grecques païennes examinées [4365]par M. Letronne, il ne s'en est trouvé aucune au delà des limites de l'empire romain; une fois cette ligne franchie, tout ce qui est écrit en grec exprime des idées chrétiennes. Ainsi M. Letronne, après avoir prouvé (contro l'opin. di Niebuhr) par une foule de rapprochemens philologiques sur le style de l'inscript., qu'elle appartenait à un roi chrétien, prouve ensuite que... ce n'est qu'au christianisme qu'on doit la connaissance de la lang. grecq. dans ces contrées. Bull. de Féruss. l.c. alla p.4312. janv. 1826. t.5. art.36. p.40-41. Altro mezzo di universalità per la lingua greca a quei tempi. L'iscrizione secondo Letronne non è più antica della metà circa del 6°. sec. Niebuhr, che la fa pagana, la mette alla fine del sec.3°.
(2. Sett. 1828.). V. p.4471.
Alla p.4336. marg. Trovo anche ne' Rusticali caallo, portaa per portava, e infiniti simili, sempre. Di qui viene ancora l'imperf. dicea, sentia ec. per diceva ec. adottato nella lingua scritta, ma che non si ode mai se non in Toscana. Va'hia per vai via, cioè va via (imperativo,): volgo toscano.
(2. Sett. 1828.)
Chi suppone allegorie in un poema, romanzo ec.; come sì è tanto fatto anticamente e modernamente nell'Iliade e Odissea; come fece il Tasso medesimo nella sua Gerusalemme; come ora il Rossetti nel comento alla Divina Commedia che si stampa in Londra, la vuol tutta allegorica, allegorico il personaggio di Francesca da Rimini, allegorico Ugolino ec.; distrugge tutto l'interesse del poema ec. Noi possiamo interessarci per una persona che sappiamo interamente finta dal poeta, drammatico, novelliere ec.; non possiamo per una che supponghiamo allegorica. Perchè allora la falsità è, e si [4366]vede da noi, nell'intenzione stessa dello scrittore.
(2. Sett. 1828.). V. p.4477.
Togliendo dagli studi tutto il bello (come si fa ora), spegnendo lo stile e la letteratura, e il senso de' pregi e de' piaceri di essi ec. ec., non si torrà dagli studi ogni diletto, perchè anche le semplici cognizioni, il semplice vero, i discorsi qualunque intorno alle cose, sono dilettevoli. Ma certo si torrà agli studi una parte grandissima, forse massima, del diletto che hanno; si scemerà di moltissimo la facoltà di dilettare che ha questo bellissimo trattenimento della vita: quindi si farà un vero disservizio, un danno reale (e non mediocre per Dio) al genere umano, alla società civile.
Alla p.4362. Alterum errorem iam sublatum puto (cioè già riconosciuto generalmente dagli eruditi), quo ex falsa notatione nominis (??(??( collegerunt quidam, versatam esse operam eorum in versib. passim excerpendis et consarcinandis ad modum Centonum, quales ex Hom. a sanctis animis facti extant ridiculae ineptiae in summa gravitate rerum. Wolf. §.23. p. XCVI-II. Tolto questo errore (che per altro è ancora comune nel volgo degli studiosi), il solo nome di rapsodi e di rapsodie sarebbe dovuto bastare ad avvertirci che le poesie omeriche non furono che canti staccati; siccome la tradizione costante dell'antichità che da Pisistrato, o per suo ordine, fossero primieramente raccolti e ordinati come ora sono i versi d'Omero, (Wolf. §.33.), doveva bastare a mostrarci sì la suddetta cosa, e sì che Omero e gli altri non lasciarono scritte quelle poesie. Pure per iscoprir queste verità ci è voluto acume grande, per avanzarle ardire, e fino a Wolf è avvenuto in questa ciò che avviene ancora in mille altre cose, e talune più gravi assai, che gli uomini non hanno alcuna difficoltà di conciliare, o piuttosto di congiungere ciecamente insieme credenze e nozioni [4367]incompatibili.
Alla p.4347. È cosa dimostrata che il piacer fino, intimo e squisito delle arti, o vogliamo dire il piacere delle arti perfezionate (e fra le arti comprendo la letteratura e la poesia), non può esser sentito se non dagl'intendenti, perch'esso è uno di que' tanti di cui la natura non ci dà il sensorio; ce lo dà l'assuefazione, che qui consiste in istudio ed esercizio. Perchè il popolo, che non potrà mai aver tale studio ed esercizio, gusti il piacer delle lettere, bisogna che queste sieno meno perfette. Tal piacere sarà sempre minore assai di quello che gl'intendenti riceverebbero dalle lettere perfezionate (altrimenti non sarebbe in verità un perfezionamento quello che le mette a portata de' soli intendenti); e quindi ci sarà perdita reale; ma a fine che la moltitudine riacquisti il piacere perduto, e del qual solo ella è capace. V. p.4388.
Alla p.4357. Il romanzo, la novella ec. sono all'uomo di genio assai meno alieni che il dramma, il quale gli è il più alieno di tutti i generi di letteratura, perchè è quello che esige la maggior prossimità d'imitazione, la maggior trasformazione dell'autore in altri individui, la più intera rinunzia e il più intero spoglio della propria individualità , alla quale l'uomo di genio tiene più fortemente che alcun altro.
Alla p.4351. È anche insufficiente il dire che la lingua dell'immaginazione precede sempre quella della ragione. Nel nostro caso, cioè nella Grecia a' tempi di Solone, ed anche a' tempi stessi d'Omero, già molto colti, (e similmente in tutti i casi dove trattasi di poesia e di prosa colta e letteraria), l'immaginazione avea già dato alla ragione tutto il luogo [4368]che bisognava perchè questa potesse avere una sua lingua.
(5. Sett. 1828.)
Col perfezionamento della società , col progresso dell'incivilimento, le masse guadagnano, ma l'individualità perde: perde di forza, di valore, di perfezione, e quindi di felicità : e questo è il caso de' moderni considerati rispetto agli antichi. Tale è il parere di tutti i veri e profondi savi moderni, anche i più partigiani della civiltà . Or dunque il perfezionamento dell'uomo è quello de' cappuccini, la via della penitenza.
(5. Sett. 1828.)
I detti, risposte ec. che Machiavelli attribuisce a Castruccio Castracani (nella Vita di questo), sono tutti o quasi tutti gli stessissimi che il Laerzio ec. riferiscono di filosofi antichi, mutati solo i nomi, i luoghi ec. Machiavelli del resto non sapeva il greco, poco o nulla il latino, ed era poco letterato. Non sarebbe maraviglia ch'egli avesse seguito una tradizione popolare che avesse conservati que' motti mutando i nomi, e attribuendoli al personaggio nazionale di Castruccio, noto per singolare acutezza e prontezza d'ingegno. Il popolo fiorentino racconta ancora di Dante e dello stesso Machiavello vari tratti che si leggono negli antichi greci e latini, come quello di Esopo che diede un asse a chi gli tirò una sassata ec., il qual tratto (con modificazioni accidentali e non di sostanza) si racconta dal volgo in Firenze di Machiavelli. (Tengo queste cose da Forti e da Capei). Così non solo le nazioni, ma le città , tirano alla storia ed a' personaggi propri, e in somma alle cose ed alle persone a se più cognite, i fatti delle storie altrui, noti al volgo per antiche tradizioni orali. A Napoli resta ancora in proverbio la sapienza e dottrina di Abelardo: [4369] ne sa più di Pietro Abailardo (Capei). In ogni modo quel libro di Machiavelli farebbe sempre al mio proposito molto bene. V. p.4430.
Ed allo stesso proposito spetta quell'uso antichissimo e continuato perpetuamente, di attribuire agli autori più celebri le opere di autori anonimi, o sconosciuti, o di nome poco famoso; le opere, dico, appartenenti a quel tal genere in cui quegli autori hanno primeggiato; e ciò specialmente quando quegli autori sono i modelli e i capi d'opera nel genere loro. Quindi i tanti poemi attribuiti falsamente ad Omero, dialoghi morali ec. a Platone, opere filosofiche ad Aristotele, orazioni a Demostene, omelie, comenti scritturali ec. a S. Crisostomo S. Agostino ec. V. p.4414. 4416. Quanto un autore è più celebre e primo nel suo genere, tanto è più copiosa la lista de' suoi libri apocrifi. Raro fra gli antichi o ne' bassi tempi quell'autore celebre, o riconosciuto per primo nel suo genere o nel suo secolo, che non abbia oppure spurie apocrife, esistenti o perdute. I detti Padri ne hanno quasi altrettante quante sono le genuine. Così Platone ec. Di molte di queste la critica non può scoprire i veri autori; altre si trovano o citate, o anche in alcuni loro esemplari, coi veri nomi, e nondimeno comunemente vanno sotto i nomi falsi, perchè i veri son di persone poco note.
- Dans le ms. de Paris, qui, suivant les critiques, est le plus ancien et le meilleur, l'ouvrage a pour titre ??????(?? ????(???????(?(????; mais dans l'index, qui est écrit de la même main, comme le reste du ms. (qui contient en outre les problèmes d'Aristote), on le qualifie de ??????(?? ( ????(???????(?(????. Le cod. vaticanus que Amati appelle praestantissimus, donne dans cette dernière forme le nom de l...
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