[Pagina precedente]...adizione, sola o principalmente, ha reso a quest'ora impossibile il conseguirla. Anche i sommi uomini, scrittori e fatti si pérdono ora necessariamente nella folla: consegnati alla sola memoria, non si confondevano in gran moltitudine, e quell'istrumento in apparenza sì debole, dico la memoria semplice, sapeva ben conservarli a perpetuità . Il che non può più la scrittura. Essa nuoce alla fama, di cui è creduta il fonte e l'organo principalissimo e necessario. V. p.4354.
Quanto alle letterature moderne in cui la poesia precedè la prosa, come l'italiana e l'inglese, la ragione di ciò è d'un altro genere. E prima bisogna distinguere. Se si tratta di versi e di prose qualunque, il fatto non è vero. Noi abbiamo prose, anche di quelle destinate e fatte perchè durassero, e che compongono una qualunque letteratura; abbiamo croniche (Ricordano, Dino ec.), leggende ec., tanto antiche quanto i nostri più antichi versi; o sarà ben difficile il provare ne' versi un'anteriorità . Se si tratta di classici, certo Dante p.e. precedette ogni nostro classico prosatore. La ragione è che le lingue moderne in principio [4350]furono credute inette alla letteratura. E ciò è naturale: prima ch'esse fossero colte, la letteratura era considerata risiedere nella lingua colta, in quella lingua semimorta e semiviva, in cui sola si avevano buoni libri e dottrine. V. p.4372. Quindi i prosatori che aspiravano ad esser colti, scrivevano nella lingua colta, benchè diversa da quella ch'essi parlavano. Ma il poeta ha bisogno di esprimere i suoi sentimenti nella lingua nella quale egli pensa, e trova ogni altra lingua incapace di renderli. Si dice che Dante per compor la D. Commedia tentasse prima il latino, ma dovè poi naturalmente ridursi al volgare. Del Petrarca è noto. Ma essendo allora comune l'uso della scrittura, la prosa colta non poteva star troppo a tener dietro alla colta poesia. Il Boccaccio fu pochi anni dopo Dante, e solo più giovane del Petrarca; dove che le prime prose culte che si vedessero in Grecia, non si videro che 400 anni dopo l'epoca omerica. Nè questa era stata forse la prima che producesse alla Grecia delle poesie culte. Anzi tutto persuade il contrario. Quum Homerica dictio longe longeque reducta sit ab eo sono, quem in infantia gentium horror troporum et imaginum inflat, atq. in verbis et locutionib. castigata admodum, aequabili verecundoque tenore suo quasi praenunciet pedestrem dictionem proxime secuturam, quam tamen amplius tria saecula a nemine tentatam reperimus (il Wolf pone Om. 950 an. av. G. C. V. p.4352. capoverso 2.); ita mea fert opinio, ut non cultum ingeniorum, sed alia quaedam maximeq. difficultatem scribendi arbitrer in mora fuisse, quo minus poëticam prosa eloquentia tam celeri, quam natura ferret gradu sequeretur (Wolf, §.17. p. LXXXI-II.).
(21-22. Agos. 1828.). V. p.4352. princ.
[4351]Alla p.4344. fin. Quanto pensasse Omero alla conservazione della memoria de' fatti, e a far le veci di storico, come lo chiama il Courier (v. la pag.4318.), vedesi dalle favole di divinità , che egli senza necessità alcuna di superstizione, ma per bellezza, e manifestamente di sua invenzione, mescola a' suoi racconti, sino a comporli di favole per buona parte. V. p.4367.
Alla p.4346. Sempre, o certo maggiormente e più a lungo d'ogni altra, la letteratura e i letterati greci ricercarono il popolo, lo ebbero in vista nel comporre, mirarono al suo utile e piacere, e si nutrirono all'aura del suo favore; a differenza soprattutto di quel che fece, anche nel suo più bel fiore, la letteratura di una nazione il cui stato politico pur non fu niente men popolare che quel della Grecia. Dico la letteratura romana, la quale in punto di perfezione d'arte superò la stessa greca, e forse supera tutte le letterature conosciute; ma del resto non divenne ma fu sempre essenzialmente impopolarissima. Effetto della sua stessa arte e perfezione e dell'esser essa non nata nel Lazio, ma importata. Siccome per lo contrario non è dubbio che la perpetua popolarità della letteratura greca non derivasse in gran parte da una quasi memoria della sua origine, da un'influenza esercitata da questa continuamente, dall'impulso primitivo, dallo spirito originario e non mai spento, dall'andatura presa in principio. V. p.4354. La letteratura greca, dice il Courier (préf. du Prospectus d'une nouv. traduct. d'Hérodote) è la sola che sia nata da se nel proprio terreno, dagl'ingegni stessi de' nazionali, non da altra letteratura. Il che non è vero parlando in universale, perchè molti altri popoli ebbero o hanno letterature autoctone, e queste appunto, come la primitiva greca, consistenti in sole poesie, e poesie non mai scritte, o scritte più secoli dopo composte [4352](v. la p.4319 e le ivi richiamate.). È vero però il detto del Courier rispetto alle letterature a noi più note, cioè la latina e le più colte delle moderne.
Alla p.4350. fin. Vedi la p.4326, capoverso 2. - Quanto ad altre nazioni, come quelle accennate nella fine della p. qui dietro, di esse non è esatto il dire che la poesia ha preceduto la prosa, ma che non hanno altra letteratura che poetica.
(22. Agos. 1828.)
Alla medesima margine. Primam aetatem (Carminum Homeric.) ponimus ab origine ipsorum, h.e. tempore cultioris poësis Ionum, (circiter ante Chr. 950.) ad Pisistratum, etc. Wolf. §.7. p. XXII.
(22. Agos. 1828.)
Alla p.4348. Nè credo io ancora che Milziade a Maratona, nè che i 300 alle Termopoli, aspirassero alla immortalità del nome, come poi, divulgato l'uso delle storie e de' libri, vi aspirarono Filippo ed Alessandro.
Alla p.4347. Quegli antichi potrebbero dire con gran ragione, che i loro versi, semplicemente cantati, erano pubblicati, e che i nostri libri, stampati, sono sempre inediti. V. la p.4317, e la p.4388. capoverso ultimo.
Alla p.4340. Atqui tales fere ordines hominum (per totam vitam huic uni arti vacantium, ut vel pangerent Carmina, quae mox canendo divulgarent, vel divulgata ab aliis discerent) in aliis quoque populis reperimus (oltre i greci), apud Hebraeos scholas, quas dicunt, Prophetarum, tum cognatiores nobis Bardos, Scaldros (sic), Druidas. De his quidem postremis Caesar et Mela referunt (Ille B. G. VI, 14. hic III, 2. - not.), propriam eorum fuisse disciplinam, in qua nonnulli ad vicenos annos permanserint, ut magnum numerum versuum ediscerent, litteris non mandatorum. (Simile quiddam et alias saepe et nuperrime de natione Ossiani narratum est a G. Thorntono in Transactt. of the Americ. philos. [4353]Society at Philadelphia vol.III. p.314. sqq. In illa natione etiam nunc senes esse qui tantam copiam antiquorum Carminum memoria custodirent, ut velocissimum scribam per plures menses dictando fatigaturi essent. - not.) Quam vellem tantillum nobis Graeci tradidissent de vatibus et rhapsodis suis! Nam et horum propriam quandam disciplinam et singulare studium artis fuisse, pro comperto habendum arbitror. (Frid. Aug. Wolf. loc. cit. alla p.4343. §.24. p. CII-CIII.) - Haec quum ita sint, sub imperio Pisistratidarum Graecia primum vetera Carmina vatum mansuris monumentis consignari vidit. Talemque aetatem sub incunabula litterarum et maioris cultus civilis apud se viderunt plures nationes, quarum comparatio accurate instituta iis, quae hic disputamus, multum lucis afferre possit. Nam, ut duas obiter tangam, et inter se et Graecis omni parte dissimillimas, constat inter doctos, in Germania nostra, quae domestica bella et principum ducumque suorum gesta iam ante Tacitum Carminibus celebraverat279, has primitias rudis ingenii a Carolo M. tandem collectas esse et libris mandatas; itemque Arabes non ante VII. saec. inconditam poësin priorum aetatum memoria propagatam collectionibus (Divanis) comprehendere coepisse, ipsumque Coranum diversitate primorum textuum similem Homero fortunam fateri. Praeter hos et alios populos comparandi erunt Hebraei, apud quos litterarum et scribendorum librorum usus mihi quidem haud paullo recentior videtur, quam vulgo putatur, et minus adeo genuinum corpus scriptorum, praesertim antiquiorum. Sed de his et Arabicis illis collectionibus viderint homines eruditi litteris Orientis. (§.35. p. CLVI.)
[4354]Alla p.4351. Per quanto le cose col progresso si alterino, corrompano, sformino e travisino, sempre conservano qualche segno della loro origine, e qualche poco dello spirito e stato loro primitivo. In Roma dove la letteratura fu impopolare in origine, anche le orazioni al popolo, che certo si pronunziavano in istile e lingua popolare, erano scritte (a differenza delle attiche) in maniera impopolarissima, perchè quando si scrivevano, entravano nel dominio della letteratura, e si scrivevano non pel popolo ma pei letterati.
(23. Agos.)
Sinizesi. Dittonghi. - Dittonghi greci e vocali lunghe, avanti a vocali brevi, spesso divengono brevi perchè si suppone elisa la 2a vocale del dittongo, e l'una delle due vocali componenti la lunga. Così presso Virg. Te, Corydon, O Alexi. Pelio Ossam. Ilio alto. Ne' quali due ultimi esempi l'o non resta eliso interamente in forza della sua duplicità , come vocale lunga. Dugas-Montbel, loc. cit. alla p.4334. in nota. V. p.4467.
Alla p.4344. Divulgato l'uso della scrittura, è ben naturale che si pensasse a comporre e a scrivere nel modo il più naturale, cioè in prosa. Forse però non subito, perchè è anche naturale che le cose e i modi più semplici ed ovvi non si trovino al più presto: massime essendo inveterata, come nel nostro caso, un'usanza diversa. Del resto, riman fermo che le prime composizioni del mondo, e per gran tempo le sole, furono in versi, non per altro, se non perchè si compose assai prima che si scrivesse. V. p.4390.
Alla p.4349. Oggi più che mai bisogna che gli uomini si contentino della stima de' contemporanei, o per dir meglio, de' conoscenti; e i libri, della vita di pochi anni al più. (Oggi veramente ciascuno scrive solo pe' suoi conoscenti.)
Alla p.4327. Sarebbe questo il caso del Gialiso di Protogene (o di Apelle), dove l'azzardo fece meglio, anzi fece quello, che l'arte non aveva [4355]potuto. Del resto, o che Pisistrato, o che alcun altro per suo ordine, o che il suo figlio Ipparco, o che parecchi letterati di quel tempo, amici e aiutatori di questi due o dell'un d'essi (Wolf. p. CLIII-V.), fossero quei che raccolsero i versi omerici, li disposero in quell'ordine che ora hanno, e li dividessero ne' due corpi dell'Iliade e dell'Odissea, ad essi forse si apparterrebbe tutta la lode dell'effetto che risulta dall'insieme di questi due corpi, e la creazione del poema epico, se non fosse manifesto che anch'essi crearono il poema epico senza saperlo, e non ebbero altra intenzione che di porre quei canti in ordine, di classarli e dividerli secondo i loro argomenti. I????????????( d'Omero furono politori e limatori, che emendarono probabilmente il metro e la dizione in assai luoghi, aggiunsero, tolsero, mutarono quello che parve lor necessario, per dare unità , insieme, liaison scambievole, e continuità a quei canti. Diversi dai Critici, il cui officio fu cercare quel che il poeta avesse scritto in fatti, non quello che stesse meglio; emendare i testi, non limarli. (Wolf. CLI-II.) Onde è diversa cosa ???????( e recensio, sì in queste e sì nelle altre opere antiche. (p. CCLVI. not.) Il Wolf crede (p. CLII.) che i ???????????(, ch'egli interpreta exactores seu politores, travagliassero alla riduzione de' canti omerici una cum Pisistrato vel paulo post. Non ne ha però alcuna prova; non si trovano menzionati che negli scoliasti; io li credo molto più recenti (perchè così mi par naturale), benchè molto anteriori, com'ei pur dice, ai critici alessandrini. Ad essi un poco più propriamente si dee dunque parte dell'effetto dell'insieme di que' due corpi, atteso ch'in essi v'ebbe l'intenzione. V. p.4388.
[4356]In somma il poema epico nelle nostre letterature, non è nato che da un falso presupposto. Omero, e i poeti greci di quello e de' seguenti secoli non conobbero in tal genere che degl'inni. Quippe vocabulum?(???? latius pa...
[Pagina successiva]