[Pagina precedente]...es Béotiens, les Athéniens, les Doriens, les Achéens que nous rencontrons dans ses poèmes. Les héros de ces diverses peuplades n'ont rien de local. Les contrastes qui les séparent, proviennent de leur caractère individuel et de leurs qualités personnelles. (Heeren, Ideen. Grecs, (sic) pag.117.). Il en est de même des dieux. Bien que Junon soit la divinité spéciale de l'Argolide, Jupiter de l'Arcadie, de la Messénie et de l'Élide, Neptune de la Béotie et de l'Égialée, Minerve de l'Attique, toutes ces spécialités disparaissent dans la mythologie homérique. Ib. l.7. ch.3. p.286-7. Questa mancanza di località ne' caratteri ec. de' Greci omerici, non verrebbe ella da difetto d'arte nel poeta, piuttosto che da reale uniformità di tutti i Greci di quel tempo (uniformità affatto inverisimile, trattandosi di tanti popoli, divisi di governo, e formanti in certa maniera tante diverse nazioni), come l'hanno creduto questi scrittori? (14. Ott. 1828.). In tal caso però i poemi omerici sarebbero o di un solo autore, o di autori tutti d'un medesimo paese, cosa non improbabile. Infatti essi non erano appena conosciuti nel Peloponneso al tempo di Licurgo, che li portò a Sparta, cioè portò seco rapsodi che li cantavano, dalla Ionia.
(14. Ott. 1828.)
[4410]Les dieux sont jaloux, dit Homère (Il. 7.455.), non seulement du succès, mais de l'adresse et du talent. Toute prospérité mortelle fait ombrage à l'orgueil divin. On trouve chez les Grecs mod. un vestige assez curieux de cette anc. idée, que les dieux sont jaloux de tout ce qui est distingué. Ils considèrent la louange comme pouvant attirer les plus grands malh. sur la pers. qui en est l'objet, ou qui est propriétaire de la chose qu'on admire; et ils demand. avec instance au panégyriste indiscret de détourner l'effet de ses éloges par quelque signe de mépris qui désarme le corroux céleste. (Pouqueville, Voy. en Morée). Ib. ch.6. p.344-5. testo e note. L'origine di ciò potrebbe però essere anco il timore delle concussioni turche, e la schiavitù.
(14. Ott. 1828.)
La morte consideravasi dagli antichi come il maggior de' mali; le consolazioni degli antichi non erano che nella vita; i loro morti non avevano altro conforto che d'imitar la vita perduta; il soggiorno dell'anime, buone o triste, era un soggiorno di lutto, di malinconia, un esilio; esse richiamavano di continuo la vita con desiderio, ec. ec. Sopra tutte queste cose da me osservate altrove, v. Constant, ib. liv.7. ch.9. t.3.
(14. Ott. 1828.)
Gli antichi déi della Grecia ec. erano nell'immaginazione de' greci, ec. e ne' loro simulacri, ec. di figura mostruosa e spaventevole; abbellita a poco a poco col progresso della civiltà : segno che l'origine della religione fu il timore ec., come dico altrove. V. ib. ch.5.
(14. Ott. 1828.)
[4411]Il y a chez tous les peuples, comme le remarque un érudit célèbre (Wolff (sic), Prolegom., p.69.), un fait qui constate l'époque à laquelle l'usage de l'écriture devient général; c'est la composition d'ouvrages en prose. Aussi longtemps qu'il n'en existe point, c'est une preuve que l'écriture est encore peu usitée. Dans le dénûment de matériaux pour écrire, les vers sont plus faciles à retenir que la prose, et ils sont aussi plus faciles à graver. La prose naît immédiatement de la possibilité que les hommes se procurent de se confier, pour la durée de leurs compositions, à un autre instrument que leur mémoire. Ib. l.8. ch.3. p.441-2.
(15. Ott. 1828.)
Dans la Grammaire comparée des langues de l'Europe latine avec celle des troubadours, page 302, j'ai prouvé que le présent de l'infinitif, précédé de la négation, tenoit parfois lieu de l'impératif; que cette forme se retrouvoit dans l'ancien français ainsi que dans l'italien: mais il faut nécessairement que le verbe soit précédé de la négation, comme le verbe l'est ici, NE t'accompagner MIE À home de malvese vie. Raynouard. - J. des Savans, 1825. p.184. Mars.
(15. Ott. 1828.)
Sopra l'uso di (??(? (greco mod. (?(??) p. (??, è da vedersi M. Letronne nel Nouvel Examen critique et historique de l'Inscription grecque du roi nubien Silco, articolo 1. alla linea 12. dell'Iscriz., nel J. des Savans, 1825. p.108. Février.
(15. Ott. 1828.)
[4412]Alla p.4364. Il vero modo di citare questa Memoria di M. Letronne, è: Nouvel Examen critique et historique de l'Inscription grecque du roi nubien Silco. Partie historique. Sect. II. - Journ. des Savans, 1825, Mai (3me article, et dernier.).
(15. Ott. 1828.)
Alla p.4407. Il vero titolo è: Nomadische Streifereien unter den Kalmüken: (cioè Promenades nomades chez les Kalmuks.) Riga 1804. 4. vol. in 8°. op. tradotta da M. Moris in francese: Voyage de Benjamin Bergmann chez les Kalmuks (fatto nel 1802 e 1803); Châtillon-sur-Seine, 1825. I. vol. in 8°. (esso non comprende i 2. ult. vol. dell'op. tedesca, che contengono delle traduzioni dal mongolico ec.) (Journ. des Savans, 1825. p.363. sqq. Juin.).
Utilità della pazienza ec. Una faccenda noiosa o penosa, un viaggio ec., quando è sulla fine, riesce più molesto che mai, le ultime miglia paiono le più lunghe ec., non già perchè l'uomo allora è più stanco, ma perchè l'impazienza si accresce per quella smania di arrivare, che nasce dal vedere il termine da vicino.
(17. Ottob. 1828. Firenze.)
Alla p.4388. Questo es. potrebbe far credere vero che i diascheuasti omerici fossero di poco posteriori a Pisistrato, del che a p.4355.
(17. Ottob. 1828.)
Alla p.4359. L'epica, non solo per origine, ma totalmente, in quanto essa può esser conforme alla natura, e vera poesia, cioè consistente in [4413]brevi canti, come gli omerici, ossianici ec., ed in inni ec., rientra nella lirica. V. p.4461.
Alla p.4372. Infatti la lingua italiana tra le moderne è considerata per aver la più antica letteratura, perchè ha i più antichi libri veramente letterarii, e che abbiano esercitata ed esercitino ancora un'influenza perpetua sulla lingua e letteratura nazionale; mentre quanto all'antichità semplicemente di scrittura, cioè di versi e prose scritte in lingua volgare (anche lunghi poemi, lunghe Cronache ec.), la lingua italiana cede di gran lunga alla francese e spagnuola ec., per non parlare della tedesca ec. (anzi in ciò la lingua italiana è delle più moderne, se non la più.) Nondimeno è sempre vero che la letteratura italiana è la più antica delle viventi, perchè Dante, Petrarca Boccaccio sono i più antichi classici fra' moderni, i più antichi che si leggano e nominino, non solo fra gli eruditi nazionali, ma fra tutti i colti d'Europa.
Quando io dico: la natura ha voluto, non ha voluto, ha avuto intenzione ec., intendo per natura quella qualunque sia intelligenza o forza o necessità o fortuna, che ha conformato l'occhio a vedere, l'orecchio a udire; che ha coordinati gli effetti alle cause finali parziali che nel mondo sono evidenti.
(20. Ott. 1828.)
Alla p.4406. Chi dicesse che i Persiani d'Eschilo sono di un persiano, o composti nel senso e spirito persiano, perchè l'interesse e la compassione quivi è tutta per i Persiani, direbbe bene nel senso de' moderni, e pure avrebbe torto nel fatto. Essi sono di un greco, nazionale degli autori di quelle disgrazie, ec. (anzi se non erro, Eschilo militò contro i Persiani), e fatti per essere rappresentati [4414]ai greci. I Persiani, considerati in questo aspetto, sono propriamente il pendant dell'Iliade (e il comento), e il rovescio della ???(????(????? di Frinico.
Umbra, ombra - sombra (spagn.), sombre (franc.)
Alla p.4363. marg. Perocchè i grammatici, diascheuasti ec. non sono giunti di gran lunga a render metrici tutti i versi omerici.
Alla p.4369. Così ad Ossian si attribuirono tutte le poesie caledonie: ad Omero tutte quelle che compongono oggi l'Iliade e l'Odissea; tra le quali, supposta per vera la persona di quest'Omero, è però ben difficile, come appunto nelle ossianiche, il determinare quali sieno sue, quali d'altri; ed anche se ve ne sia alcuna di sue; anzi è veramente impossibile. Taccio poi delle tante altre poesie epiche attribuite ad Omero (e ad Esiodo), compresa la Batracomiomachia, sì manifesta parodia dell'Iliade: e ciò fin dal tempo di Erodoto, che nomina t( ?(?????(??? come opera attribuita ad Omero, a cui egli però la nega (l. II. c.117. Schweigh.), e gli????(????? parimente, de' quali pure egli dubita se sieno d'Omero (l.4. c.32. Schweigh.).
(21. Ott.)
Il vedere che Omero (per usare, come dice Constant, questo nome collettivo) parlando della sua poesia, non dice mai di scrivere, ma sempre cantare o dire, è prova assai maggiore che non si crede, che i suoi versi in fatto non furono scritti. Noi, quantunque i nostri versi si scrivano, diciamo di cantarli, perchè la lingua antica, cioè la lingua di Omero, ha usata questa espressione per il poetare. Ma nella lingua di Omero, non vi poteva essere altra ragione [4415]per usarla e per non parlar mai di scrittura, se non, che le poesie in fatti si cantavano senza scriverle. Ho dimostrato altrove che dovunque esiste una lingua poetica formata, questa lingua non è altro che lingua antica. Ma i tempi d'Omero non potevano avere una lingua poetica (se non per lo stile, come i francesi), perchè non avevano antichità di lingua. E in fatti non avevano lingua poetica a parte: e Omero nomina tutti gli usi di que' tempi, nomina le città , i popoli, i magistrati ec. co' loro nomi propri e prosaici. Così accade in tutte le poesie primitive, e così Dante è pieno di nomi propri e prosaici, spettanti a geografia (Montereggione ec. ec.), costumi de' suoi tempi, dignità ec., nomi che ora o sono sbanditi dalla lingua poetica, o non vi sono ammessi se non come usati da Dante. V. p.4426. Se dunque l'uso del tempo omerico fosse stato che le poesie si scrivessero, Omero avrebbe detto francamente di scriverle. Il veder che nol dice mai, nemmen per perifrasi o metafora (come fa l'autore della Batracomiomachia subito nel bel principio, nell'invocazione; il quale dice il Wolf come cosa provata, essere stato verisimilmente circa i tempi d'Eschilo),281 è prova quasi parlante che non le scriveva.
(21. Ott. 1828. Firenze.)
Perchè il moderno, il nuovo, non è mai, o ben difficilmente romantico; e l'antico, il vecchio, al contrario? Perchè quasi tutti i piaceri dell'immaginazione e del sentimento consistono in rimembranza. Che è come dire che stanno nel passato anzi che nel presente.
(22. Ottobre. 1828. Firenze.)
[4416]Qu'on jette une poultre entre ces deux tours de Notre-Dame de Paris, d'une grosseur telle qu'il nous la fault à nous promener dessus, il n'y a sagesse philosophique de si grande fermeté qui puisse nous donner courage d'y marcher comme si elle estoit à terre. Montaigne, Essais, livre 2. chap.12. Pascal (Pensées) si è appropriato questo pensiero. Le plus grand philosophe du monde, sur une planche plus large qu'il ne faut pour marcher à son ordinaire, s'il y avoit au-dessous un précipice, quoique sa raison le convainque de sa sûreté, son imagination prévaudra. I funamboli fanno più ancora; ma ciò non distrugge la convenienza dell'osservazione soprascritta.
(Firenze. 23. Ottobre. 1828.)
La grazia in somma per lo più non è altro che il brutto nel bello. Il brutto nel brutto, e il bello puro, sono medesimamente alieni dalla grazia.
(Firenze. 25. Ott. 1828.)
Alla p.4369. Le nom d'Ésope étoit d'ailleurs devenu dans la Grèce une espèce de sceau banal, qu'on attachoit à tous les apologues utiles et ingénieux, comme ceux de Pilpay, de Lockman, de Salomon, dans l'Orient. (Così tutti i Salmi attribuiti a David, ec.). Charles Nodier, Questions de littérature légale, 2.de édit. Paris 1828. §.8.p.68-9. C'est le propre de l'érudition populaire de rattacher toutes ses connoissances à quelque nom vulgaire. Il y a peu de grandes actions de mer qu'on n'attribue à Jean Bart, peu d'espiègleries grivoises qu'on ne mette sur le compte de Roquelaure. Il en est [4417]de même, pour la foule, des auteurs à la portée desquels son intelligence peut s'élever. Il y a cent cinquante an...
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