[Pagina precedente]...secondariamente piaccia vivamente, e durevolmente, cioè la sua continuazione non annoi, deve cadere sopra qualcosa di serio, e d'importante. Se il ridicolo cade sopra bagattelle, e sopra, dirò quasi, lo stesso ridicolo, oltre che nulla giova, poco diletta, e presto annoia. Quanto più la materia del ridicolo è seria, quanto più importa, tanto il ridicolo è più dilettevole, anche per il contrasto ec. Ne' miei dialoghi io cercherò di portar la commedia a quello che finora è stato proprio della tragedia, cioè i vizi dei grandi, i principii fondamentali delle calamità e della miseria umana, gli assurdi della politica, le sconvenienze appartenenti alla morale universale, e alla filosofia, l'andamento e lo spirito generale del secolo, la somma delle cose, della società , della civiltà presente, le disgrazie e le rivoluzioni e le condizioni del mondo, i vizi e le infamie non degli uomini ma dell'uomo, lo stato delle nazioni ec. E credo che le armi del ridicolo, massime in questo ridicolissimo e freddissimo tempo, e anche per la loro natural forza, potranno giovare più di quelle della passione, dell'affetto, dell'immaginazione dell'eloquenza; e anche più di quelle del ragionamento, [1394]benchè oggi assai forti. Così a scuotere la mia povera patria, e secolo, io mi troverò avere impiegato le armi dell'affetto e dell'entusiasmo e dell'eloquenza e dell'immaginazione nella lirica, e in quelle prose letterarie ch'io potrò scrivere; le armi della ragione, della logica, della filosofia, ne' Trattati filosofici ch'io dispongo; e le armi del ridicolo ne' dialoghi e novelle Lucianee ch'io vo preparando.
Iliaci cineres, et flamma extrema meorum,
Testor, in occasu vestro, nec tela, nec ullas
Vitavisse vices Danaum; et, si fata fuissent,
Ut caderem, meruisse manu (Virg. Aen. 2.431.seqq.).
(27. luglio 1821.)
Alla p.1102. È stata anche utilissima e necessarissima invenzione e pensamento quello di dividere le quantità non per unità , ma per parti di quantità contenenti un numero di quantità determinato, e perpetuamente conforme; vale a dire per diecine, ossia quantità contenenti sempre dieci unità ; per centinaia contenenti sempre dieci diecine; per migliaia ec. Senza questo ritrovato ottimo ed ammirabile, noi quanto ai numeri saremmo ancora appresso a poco, nel caso degli [1395]uomini privi di favella. Cioè non potremmo concepir chiaramente l'idea di veruna quantità numerica determinata (e quindi di nessun'altra non numerica, perchè se è determinata, ha sempre relazione ai numeri), se non piccolissima.
L'idea che l'uomo concepisce della quantità numerica è idea compostissima. L'uomo è capacissimo d'idee composte, ma bisogna che la composizione non sia tanta, che la mente umana abbia bisogno per concepir quell'idea di correre tutto a un tratto per una troppo grande quantità di parti. Se noi non dicessimo undici, cioè dieci e uno, ec. ec. ma seguissimo sempre a nominare ciascuna quantità o numero, con un nome affatto progressivo, e indipendente dagli altri nomi e numeri, e non si fosse data ai numeri una scambievole relazione, tanto arbitraria e dipendente dall'intelletto umano, quanto necessaria, e difficile; noi perderemmo ben presto l'idea chiara di una quantità determinata alquanto grossa, perchè le sue parti, essendo pure unità , sarebbero troppe per poter esser comprese in un tratto, e [1396]abbracciate dalla nostra concezione. Se il centinaio non fosse nella nostra mente una diecina di diecine (il che, chi ben l'osserva, viene a formare un'idea non decupla, ma quasi unica e semplice, (o al più doppia) a causa del rapporto scambievole delle unità colla diecina, e della diecina semplice colla diecina di diecine); ma fosse un centinaio di pure, slegate, indipendenti, indivise unità , ci sarebbe impossibile il correre in un tratto per cento unità così disposte, e quindi non potremmo concepire idea, se non confusissima e insufficiente, di detta quantità . Per lo contrario la nostra mente abituata alla facilità di concepir chiaramente la quantità contenuta nella diecina semplice, si abitua ancora facilmente alla stessa concezione nella diecina di diecine, ec. ec. e con un solo atto di concezione, apprende chiaramente il numero delle unità contenute in una quantità , la cui idea se le presenta così ben distribuita nelle sue parti, così relative fra loro. Questo è infatti il progresso delle idee de' fanciulli, i quali da principio, quantunque bastantemente istruiti circa i numeri e le materiali quantità loro ec. non si [1397]formano però mai l'idea chiara delle unità contenute in una quantità più che tanto grossa, nè intendono mai chiaramente che quantità sia p.e. il centinaio, finchè la loro mente non si è abituata nel modo che ho detto, ascendendo gradatamente dall'idea simultanea e perfetta di una diecina, a quella di due, di tre, della diecina di diecine ec.
Molte idee, ancorchè compostissime, le concepisce l'uomo chiaramente e facilmente in un tratto, perchè il soggetto loro non è composto in maniera che l'idea non ne possa risultare se non dalla concezione particolare e immediata di ciascuna sua parte. P.e. l'idea dell'uomo è composta, ma la mente senza andare per le parti, le concepisce tutte in un solo subbietto in un solo corpo, e quindi in un solo momento, e dal subbietto discende poi, se vuole, alle parti. Così accade in tutte le cose materiali ec. Ma l'idea di un numero non risulta se non dalla concezione delle unità , cioè parti che lo compongono, e da queste bisogna che la mente ascenda alla concezione del composto, cioè del tal numero, [1398]perchè un numero non è sostanzialmente altro che una quantità di parti, nè si può definire se non da queste, nè ha veruna menoma qualità o forma, o modo di essere ec. indipendente da queste. L'assuefazione aiutata dalla bellissima invenzione che ho detto, fa che la mente umana appoco appoco si abiliti a concepire una quantità determinata, quasi prima delle sue parti, e indipendentemente da loro, e discenda poi da quella a queste, se vuol meglio distinguere la sua idea ec. il che non si può mai se non nello spazio di tempo e non già nell'istante.
Il detto ritrovamento, o piuttosto arbitrario stabilimento di una scambievole relazione fra tutte le unità , e le masse di unità ec. cioè in somma della ragione che fra noi, e in tutti i popoli civili antichi e moderni è decupla; non solo fu aiutata dalla favella, ma non sarebbesi potuto stabilirla senza la favella.
Osservo che uno de' principali vantaggi, anzi forse il solo, ma grande vantaggio del sistema di cifre numeriche dette arabiche, sopra quello delle cifre greche, ebraiche ec. ancor esso molto semplice e bello e bene immaginato, si è questo. Nelle cifre 10, 200, 3000 ec. le figure 1, 2, 3 esprimono ed indicano immediatamente la quantità delle diecine [1399]o centinaia o migliaia espresse da dette cifre, e contenute nella quantità che significano. Ma non così le lettere greche ((, cioè 10, e ((, cioè 200, ovvero le ebraiche w e d, che significano le stesse cose. Bensì le cifre greche ((, ((, ((, e le ebraiche ä, äk, äg, cioè 1000, 2000, 3000, significano e danno subito e per se stesse a vedere o l'unità o la quantità delle migliaia. Il greco però in questo punto è più semplice dell'ebreo.
Per la ragione per cui troviamo poca varietà nella fisonomia delle bestie d'una medesima specie ec. come ho detto altrove, accade che in una città forestiera, tutto al primo momento ci paia appresso a poco uniforme, e troviamo sempre proporzionatamente assai più vario il paese a cui siamo avvezzi (ancorchè uniformissimo) che qualunque altro; almeno ne' primi giorni. Onde non sappiamo distinguere le contrade ec. Massime se v'ha realmente qualche uniformità in quel nuovo paese, sebben però più vario del nostro; ovvero s'egli è di una forma e di un gusto ec. assai differente dal nostrale, nel qual caso non ci troveremo mai bastante varietà , prima della lunga attenzione ed assuefazione. [1400]Così ci accade nel leggere gli scritti assai forestieri per noi, come degli orientali, di Ossian, ec. o de' loro imitatori nostrali. Così in cento generi di cose.
(28. Luglio 1821.)
Il pentimento il quale in altri pensieri ho detto che aggrava il male quasi della metà , quando non possiamo dissimularci che ci è avvenuto per nostra colpa, aggrava pure nella stessa proporzione il dispiacere della perdita o mancanza di un bene, anzi molte volte cagiona del tutto esso solo questo dispiacere, che non proveremmo in verun modo, se mancassimo di quel bene senza nostra colpa, se non avessimo avuta occasione di acquistarlo ec. Il qual sentimento umano che si fa sentire o prevedere, nella stessa occasione, e ci spinge, anzi sforza a profittarne, quasi anche contro nostra voglia, ho cercato di esprimerlo nella Telesilla. Molte volte un'occasione perduta, ancorchè senza nostra colpa, ci addolora sommamente della mancanza di un bene, che per l'addietro nulla ci pesava. Ed allora la nostra consolazione, e l'ordinaria operazione della nostra mente, è cercare di persuaderci che noi non abbiamo veruna colpa nella perdita di quella occasione, e che essa non poteva servirci, e doveva necessariamente esserci inutile, [1401]e quasi non fosse stata ec.
(28. Luglio 1821.)
Mi dicono che io da fanciullino di tre o quattro anni, stava sempre dietro a questa o quella persona perchè mi raccontasse delle favole. E mi ricordo ancor io che in poco maggior età , era innamorato dei racconti, e del maraviglioso che si percepisce coll'udito, o colla lettura (giacchè seppi leggere, ed amai di leggere, assai presto). Questi, secondo me, sono indizi notabili d'ingegno non ordinario e prematuro. Il bambino quando nasce, non è disposto ad altri piaceri che di succhiare il latte, dormire, e simili. Appoco appoco, mediante la sola assuefazione, si rende capace di altri piaceri sensibili, e finalmente va per gradi avvezzandosi, fino a provar piaceri meno dipendenti dai sensi. Il piacere dei racconti, sebbene questi vertano sopra cose sensibili e materiali, è però tutto intellettuale, o appartenente alla immaginazione, e per nulla corporale nè spettante ai sensi. L'esser divenuto capace di questi piaceri assai di buon'ora, indica manifestamente una felicissima disposizione, pieghevolezza ec. degli organi intellettuali, o mentali, [1402]una gran facoltà e vivezza d'immaginazione, una gran facilità di assuefazione, e pronto sviluppo delle facoltà dell'ingegno ec.
(28. Luglio 1821.)
Alla p.1318. capoverso 1. Si può osservare che la lingua italiana ha coltivata l'antica filosofia, ed abbonda di scrittori (anche classici) che la trattino o exprofesso o incidentemente e per solo uso, più di qualunque altra lingua moderna. Le cagioni son queste. La detta filosofia col progresso delle scienze si spense. Non vale dunque che altre lingue moderne possano avere avuti più filosofi e più scrittori ancora dell'italiana. Bisogna vedere in qual tempo. Ora tutte le lingue moderne sono state applicate alla letteratura ec. assai più tardi dell'italiana. Quindi pochissimo hanno potuto dar opera all'antica filosofia. Laddove l'italiana dal 300 al 600, da Dante a Galileo, vale a dire dal risorgimento degli studi, alla rinnovazione della filosofia, coltivò sempre la filosofia antica, si arricchì delle sue voci ec. ec. Oltrechè avendo posto gl'italiani in detto spazio di tempo assai più amore ec. in ogni genere di studi che qualunque altra nazione, seguita che la filosofia [1403]antica che dopo quei tempi si spense, fiorisse in Italia più che altrove, dopo il risorgimento degli studi, coincidendo coll'epoca d'oro della letteratura italiana. Quindi anche i letterati puri n'erano studiosissimi, e ne solevano far grand'uso, mossi fors'anche dall'esempio di Dante, loro comune maestro, e dall'indole di tutti i tempi colti, che hanno sempre dato gran peso alla filosofia ec. Aggiungete che quelli stessi che nelle altre nazioni trattarono l'antica filosofia, non la trattarono nelle lingue volgari ma in latino, perchè le altre lingue volgari, eccetto l'italiana, no...
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