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(13. Marzo. 2do Venerdì. 1829.)
Mille piacer non vagliono un tormento. Or come può un piacere valer mille tormenti? e pure così è la vita.
(14. Marzo. 1829.). Questo verso racchiude una sentenza capitale contro la vita umana, e contro chi consente a vivere, cioè tutti i viventi.
Monosillabi latini. Nix.
?(?????????(????. V. Orelli, loc. cit. qui sopra, p.279. fine, il qual luogo, come si dice nelle note, è copiato da Aristotele.
[4473]?( ?(?? o ?(?(?, come luego, per dunque, però, iccirco, conseguentemente, necessariamente V. Orelli ib. p.312. lin.8-9., e la nota p.697. Luogo notabile. Così, spesso, colla negazione: p.e., ?(??(???( ec. ??(???(????(?(????(, ovvero omesso il ??(???(??.
(23. Marzo. 1829.)
???(????, coi derivati e composti (v. Scapula in ?(???, e Orell. ib. p.752. fin.) - se moquer coi derivati ec. E notisi la forma neutra passiva, ossia reciproca, dell'uno e dell'altro verbo ec.
(25. Marzo. 1829.)
??(????????????????(????.
cauneas-cave ne eas.
Tenebrosus-tenebricosus. Nel dialetto popolare di Viterbo (Patrimon. di S. Pietro), menicare e trenicare, frequentativi di menare e tremare. (Orioli nell'Antologia di Firenze.)
(??????? per (???. Procop. Hist. arcan. p.31. ed. Alemanni. (I Lessici e Gloss. nulla.)
(???? da ?(??(? sembra essere stato considerato, e chiamato così, come un grado, un genere medio tra ?(???, da ?(????, orazione, prosa; e ?(???.
(27. Marzo. 1829.)
???(, (???(, usati in proposito d'istrumenti musici, ap. Orell. ib. p.292. lin.3., p.302, lin.13. 18. 23., p.336. lin.19. - tocco, toccare, toucher ec. nello stesso senso.
In generale la forma diminutiva (o disprezzativa o vezzeggiativa ec.) spagnuola in illo, e ico, ecillo, ecico, cillo, cico, e l'italiana in glio e chio (icchio, ecchio, acchio ec.), e la francese in il, ill; ail, aill; eil, eill ec.; sì de' nomi, che de' verbi (ne' quali suol esser chiamata frequentativa), non è altro (anche nelle voci di origine non latina) che la mera latina in aculus, iculus, culus, iculare, culare, uscul. ec. contratta prima in clus, clum, iclus, clare ec.
(27. Marzo. 1829.). V. p.4486.
Fama rerum. Tac. Vit. Agric. in fine. Frase che desta un'idea [4474]vastissima, o una moltitudine di idee, e nel modo il più indefinito. Di tali frasi, e, in generale, della facoltà di esprimersi in siffatta guisa, abbondano le lingue antiche; la latina specialmente, anche più della greca: e quindi è che la prosa latina, per l'espressione e il linguaggio (non per le idee, e lo stile, come la francese) è sovente più poetica del verso, non pur moderno, ma greco; benchè il latino non abbia lingua poetica a parte.
(28. Marzo. 1829.)
Monosillabi lat., opposti alle voci greche corrispondenti. Do??(??????, dal disusato ?(?.
Sufficiente detto di uomo, sufficienza ec. - (???(?, (???(??? ec.
Alla p.4442. Eremo sostant. da (???(? agg. sottint. ?(???. Deserto. V. Forcell. Nulla (res) per nihil. E per via di tali sottintendimenti, infiniti altri aggettivi, non sol di tempo o luogo, ma d'ogni genere, son passati, in ogni lingua, ad essere sostantivi, in vece de' sostantivi originali loro corrispondenti. Del resto anche il greco abbonda di tali ellissi negli aggettivi di tempo o luogo.
(28. Marzo. 1829.)
Error grande, non meno che frequentissimo nella vita, credere gli uomini più astuti e più cattivi, e le azioni e gli andamenti loro più doppi, di quel che sono. Quasi non minore nè meno comune che il suo contrario.
(28. Marzo. 1829.)
Tanto, inquit, melius. Fedro. - tant mieux, tant pis.
Ce que les intérêts particuliers ont de commun (nella società ) est si peu de chose, qu'il ne balancera jamais ce qu'ils ont d'opposé. Rousseau, Pensées, Amsterdam 1786. 1re part. p.23.
(28. Marzo. 1829.)
On n'a de prise sur les passions, que par les passions; c'est par leur empire qu'il faut combattre leur tyrannie, et c'est toujours de la nature elle-même qu'il faut tirer les instrumens propres à la régler. ib. p.46.
Strascicare e strascinare, sono certamente frequentativi corrotti da trahere.
[4475]Alla p.4446. Verissima osservazione, siccome l'altra analoga, p.4459., sopra i drammi. Ma tali memorie, leggende e canti, non possono trovarsi se non in popoli che abbiano attualmente una vita e un interesse nazionale; dico vita e interesse che risieda veramente nel popolo: e però non possono trovarsi se non che in istati democratici, o in istati di monarchie popolari o semipopolari, (come le antiche e del medio evo), o in istati di lotta nazionale con gente forestiera odiata popolarmente (come, al tempo del Cid, degli spagnuoli cogli arabi), o finalmente in istati di tirannie combattute al di dentro (come nella Grecia moderna, e in più provincie ed epoche della Grecia antica e sue colonie). Ma nello stato in cui le nazioni d'Europa sono ridotte dalla fine del 18° secolo, stato di tranquilla monarchia assoluta, i popoli (fuorchè il greco) non hanno potuto nè possono avere di tali tradizioni e poesie. Le nazioni non hanno eroi; se ne avessero, questi non interesserebbero il popolo; e gli antichi che si avevano, sono stati dimenticati da' popoli, da che questi, divenendo stranieri alla cosa pubblica, sono anche divenuti stranieri alla propria storia. Se però si può chiamare lor propria una storia che non è di popolo ma di principi. In fatti nessuna rimembranza eroica, nessuna affezione, perfetta ignoranza della storia nazionale, sì antica, sì ancora recentissima, ne' popoli della moderna Europa. In siffatti stati, gli eroi delle leggende popolari non sono altri che Santi o innamorati: argomenti, al più, di novelle, non di poemi o canti eroici, nè di tragedie eroiche.
Quindi apparisce che il poema epico, anzi ancora il dramma nazionale eroico, di qualunque sorta, e sia classico o romantico, è quasi impossibile alle letterature moderne. Il vizio notato da Niebuhr nell'Eneide, è comune alle moderne epopee, al Goffredo particolarmente. Meglio, per questo capo, i Lusiadi; i cui fatti anco, benchè recentissimi, abbondavano di poetico popolare, per la gran lontananza, ch'equivale [4476]all'antichità , massime trattandosi di regioni oscure, e diversisime dalle nostrali. Meglio ancora l'Enriade, il cui protagonista vivea nella memoria del popolo, non veramente come eroe, ma come principe popolare.
Oltracciò quelle tradizioni di cui parla Niebuhr, dubito che possano aver luogo se non in tempi di civiltà men che mezzana (come gli omerici, quei de' romani sotto i re, de' bardi, il medio evo); nei quali hanno credito i racconti maravigliosi che corrono dell'antichità , e il moderno diviene antico in poco tempo. Ma in giorni di civiltà provetta, come quei di Virgilio e i nostri, l'antico, per lo contrario, divien come moderno; ed anche tra il popolo non corrono altre leggende che quelle che narransi ai fanciulli, gli uomini non ne hanno più, non pur dell'eroiche, ma di sorta alcuna; e non v'hanno luogo altre poesie fondate in narrative popolari, se non del genere del Malmantile.
(29. Mar. 1829.)
Da queste osservazioni risulterebbe che dei 3 generi principali di poesia, il solo che veramente resti ai moderni, fosse il lirico; (e forse il fatto e l'esperienza de' poeti moderni lo proverebbe); genere, siccome primo di tempo, così eterno ed universale, cioè proprio dell'uomo perpetuamente in ogni tempo ed in ogni luogo, come la poesia; la quale consistè da principio in questo genere solo, e la cui essenza sta sempre principalmente in esso genere, che quasi si confonde con lei, ed è il più veramente poetico di tutte le poesie, le quali non sono poesie se non in quanto son liriche.
(29. Marzo 1829.)
- Ed anco [4477]in questa circostanza di non aver poesia se non lirica, l'età nostra si riavvicina alla primitiva. - Del resto quel che della poesia epica e drammatica, è anche della storia. Che importerebbe, che impressione, che effetto farebbe al popolo di Milano, di Firenze o di Roma, se oggi un nuovo Erodoto venisse a leggergli la storia d'Italia?
(30. Mar.)
Alla p.4418. Anche qui, come in tante altre cose della nostra vita, i mezzi vagliono più che i fini.
(29. Mar. 1829.)
La felicità si può onninamente definire e far consistere nella contentezza del proprio stato: perchè qualunque massimo grado di ben essere, del quale il vivente non fosse soddisfatto, non sarebbe felicità , nè vero ben essere; e viceversa qualunque minimo grado di bene, del quale il vivente fosse pago, sarebbe uno stato perfettamente conveniente alla sua natura, e felice. Ora la contentezza del proprio modo di essere è incompatibile coll'amor proprio, come ho dimostrato; perchè il vivente si desidera sempre per necessità un esser migliore, un maggior grado di bene. Ecco come la felicità è impossibile in natura, e per natura sua.
(30. Marzo. 1829.)
Alla p.4366. Quindi l'aridità , il nessun interesse, la noia delle novelle, narrazioni, poesie allegoriche, come il Mondo morale del Gozzi, la Tavola di Cebete ec. Non parlo delle personificazioni ed enti allegorici introdotti come macchine in poemi, come nell'Enriade: perchè a quelli il poeta mostra di credere veramente, come farebbe ad altri enti favolosi e fittizi, umani o soprumani ec.
(30. Marzo. 1829.)
Piombato, plombé (del color del piombo), per plumbeo.
Dépiter, se dépiter.
Vouloir per potere e per dovere. V. Alberti in vouloir fine.
Errori popolari degli antichi. - Parlerò di quegli errori che furono, o si può creder che fossero, propri de' volgari, e di quella sorta di persone [4478]che in tutte le nazioni vanno considerate come appartenenti al volgo; non già di quegli errori che il popolo ebbe comuni coi saggi; molto meno di quelli che furono proprii de' saggi; materia che sarebbe infinita. Gli errori de' saggi, antichi e moderni, sono innumerabili. Il popolo ha pochi errori, perchè poche cognizioni, con poca presunzion di conoscere. Oltre che la natura, voglio dir la ragione semplice, vergine e incolta, giudica spessissime volte più rettamente che la sapienza, cioè la ragione coltivata e addottrinata. E però non è raro che le genti del volgo e i fanciulli abbiano di molte cose opinioni migliori o più ragionevoli che i sapienti; e non è temerario il dire che, generalmente, nelle materie speculative e in tutte le cose il conoscimento delle quali non dipende da osservazione e da esperienza materiale, i filosofi antichi errassero dalla verità , o dalla somiglianza del vero, meno che i filosofi moderni: se non in quanto i moderni, quando scientemente e quando senza avvedersene, sono tornati in queste cose all'antico.
(31. Marzo. 1829.)
On ne s'égare point parce qu'on ne sait pas, mais parce qu'on croit savoir. Rousseau, pensées, II. 219. V. p.4502.
Il dogma dell'invidia degli Dei verso gli uomini, celebrato in Omero, e soprattutto in Erodoto e suoi contemporanei, sembra essere di origine orientale, o divulgato principalmente in oriente. Poichè esso tiene alla dottrina del principio cattivo, ed a quelle idee che rappresentavano le divinità come malefiche e terribili; dottrina e idee aliene dalla religione della Grecia a' tempi omerici ed erodotei, come ho osservato altrove. Ed esso è l'origine de' sacrifizi, e delle penitenze, sì comuni in oriente, quasi ignote in Grecia. L'atto di Policrate samio (ap. Erodoto) che getta in mare il suo anello per proccurare a se medesimo una sventura, non è che una penitenza.
(31. Marzo. 1829.)
[4479]Scherzava sul poetar suo in questa forma: diceva ch'egli seguia Cristofaro Colombo, suo cittadino; ch'egli volea trovar nuovo mondo, o affogare. Chiabrera, Vita sua. Questo motto pare oggi una smargiassata, e ci fa ridere. Che grande ardire, che gran novità nel poetar del Chiabrera. Un poco d'imitazione di Pindaro, in luogo dell'imitazione del Petrarca seguita allora da tutti i così detti lirici. E pur tant'è: a que' tempi questa novità pareva somma, arditissima, facea grand'eff...
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