[Pagina precedente]...bus in terris fama vitaque probatus
Hic fuit ad superos felix quo non felicior alter
Aut fuit aut vixit simplex bonus atque beatus
Nunquam tristis erat laetus gaudebat ubique
Nec senibus similis mortem cupiebat obire
Set timuit mortem nec se mori posse putabat
Hunc coniunx posuit terrae et sua tristia flevit
Volnera quae sic sit caro biduata marito.
Vivo specchio del dir di Democrito, e di quel che, secondo ogni verisimiglianza, furono le prime prose greche. E quell'altra, edita dal med. ib. p.236-7. Dis manibus Meviae Sophes C. Maenius (sic) Cimber coniugi sanctissimae et conservatrici desiderio spiritus mei quae vixit mecum an. XIX. menses III. dies XIII. quod vixi cum ea sine querella nam nunc queror aput manes eius et flagito Ditem aut et me reddite coniugi meae quae mecum vixit tan concorde [4467]ad fatalem diem. Mevia Sophe impetra si quae sunt manes ni (cioè ne) tam scelestum discidium experiscar diutius. Hospes ita post obitum sit tibe terra levis ut tu hic nihil laeseris aut si quis laeserit nec superis comprobetur nec inferi recipiant et sit ei terra gravis.
(24. Feb. 1829.)
Alla p.4354. Probabilissimamente nella primitiva e vera scrittura, nella quale le vocali oggi dette lunghe, erano veramente doppie, cioè 2 vocali brevi, in tali casi si scriveva omettendo la 2da breve: p. es. in vece d'(?(?(??(??????si scriveva (???(??(?????, ovvero (????(??(?????, giacchè la scrittura ordinaria di (?( era (??(, di (???((??? ec. In somma le vocali ora dette lunghe, eran veri dittonghi, due suoni brevi; l'uno de' quali si poteva elidere ec.
(25. Febbr. 1829.). V. p.4469.
Alla p.4403. Senofonte nell'Anabasi, al principio dei libri 2. 3. 4. 5. 7., riepiloga brevissimamente tutto il narrato prima, e dice: queste cose (???(???(???? (lib.2 (???????) ?(?(????(?????, cioè, non già nel libro precedente, il quale non contiene tutta quella narrazione ch'egli dice ed epiloga (e la divisione dell'Anabasi in libri forse è più recente di Senofonte), ma nella parte precedente di questa istoria, appunto come è usato ?(??? da Erodoto. Il Leunclavio male traduce, lib.2. e 3. superiore libro, men male lib.4. superioribus commentariis, bene lib.5. hactenus hoc commentario, e lib.7. superiore commentario. Il lib.6. comincia ex abrupto come il primo, e senza epilogo, nè proemio di sorta.
(25. Feb. 1829.)
Alla p.4462. E già le destinazioni, le cause finali della natura, in molte anco di quelle cose in cui è manifesta la volontà intenzionale di essa natura come loro autrice, o non si possono indovinare, o sono (se pur veramente vi sono) affatto diverse e lontane da quelle che parrebbono dover essere. Per un esempio [4468]a che servono in tante specie d'animali quegli organi che i naturalisti chiamano rudimenti, organi imperfetti, incoati solamente, ed insufficienti all'uso dell'animale; in certe specie di serpenti due, in altri quattro piedicelli, che non servono a camminare, anzi non toccano nè pur terra, benchè sieno accompagnati da tutto l'apparato per camminare, cioè pelvi, scapule, clavicole, e simili cose? in certe specie di uccelli, ale che non servono per volare? e così discorrendo. Il sig. Hauch, professore di storia naturale in Danimarca, in una sua dissertazione "Degli organi imperfetti che si osservano in alcuni animali, della loro destinazione nella natura, e della loro utilità riguardo la storia naturale", composta in italiano, e pubblicata in Napoli 1827. (Giorn. arcad. t.38., 2do del 1828. p.76-81.), crede che siffatti organi servano di nesso tra i diversi ordini di animali (p.e. quei piedicelli, tra i serpenti e le lucerte), di scalino o grado intermedio, per evitare il salto; e che essi sieno quasi abbozzi con cui la natura si provi e si eserciti per poi fare simili organi più sviluppati e perfetti di mano in mano in altri ordini vicini di animali. Non so quanto quest'oggetto, questa causa finale, possa parere utile, e degna della natura e della cosa. V. p.4472. Ma ricevuta tale ipotesi (ch'è l'argomento e lo scopo di quel libro), vedesi quanto le cause finali della natura sarebbero in tali casi lontane da ogni apparenza, e da tutto il nostro modo di pensare. Giacchè chi di noi non tiene per evidente che i piedi sono fatti per camminare? (come l'occhio per vedere). E pure quei piedicelli con tutto il loro apparato da camminare, non sarebbero fatti per camminare, nè poco nè punto; ma per un tutt'altro fine. E in fatti non camminano; perchè vi sono insufficienti. E quelle ali non volano, benchè per altro perfettamente organizzate (Hauch: il quale nota ancora che in alcuni di quegli uccelli [4469]esse non bastano nè anche nè servono punto a bilanciarli ed aiutare il corso, come si dice di quelle dello struzzo): and so on.
(26. Feb. giovedì grasso. 1829.)
Per un Discorso sopra lo stato attuale della letteratura ec. - Togliere dagli studi, togliere dal mondo civile la letteratura amena, è come toglier dall'anno la primavera, dalla vita la gioventù.
(6. Marzo. 1829.)
?(??(??? (Boristenita, filosofo) ????(??(??????(???(??????(???????(??(?(?????, ?(??(??????(???????(????? (?((????. Dio Chrys. Orat. 66. de gloria. p.612. ed. Reisk. Bione diceva: non è possibile piacere ai più, se tu non divieni un pasticcio o un vin dolce.
(8. Marzo. Domenica. 1829.). Può servire al Galateo morale, o al Macchiavellismo.
Alla p.4245. Di questi (????? discorre (mi pare) di proposito, e può vedersi, il Coray, Notes sur les Caractères de Théophraste.
(8. Marzo. 1829.)
Sinizesi. V. Forcell. ec. in Suavis e simili voci.
Sperno is - aspernor aris.
Contemtus, despectus, neglectus ec. per contemnendus, contemnibilis ec. E così in italiano francese e spagnuolo. - Scitus, scite, scitulus, scitule ec. saputo, saputello ec.
Alla p.4467. E così i dittonghi. I quali altresì, quando eran fatti brevi, si doveano scrivere senza l'ultima vocale: ?(???' (?(??????(??(, per ?(????, come oggi si scrive. E similmente nel mezzo delle parole, i dittonghi e le vocali dette lunghe, quando eran fatte brevi, doveano scriversi semplici: ? per ?, ?? ec.; ? per ?, ?? ec. ec.
(8. Marzo. 1829.)
Alla p.4430. Similmente quei tanti motti che sotto nome di Diogene cinico si trovano nel Laerzio, e nello Stobeo, Antonio e Massimo, ed altri, raccolti dall'Orelli, loc. cit. p.4431., t.2. Lips. 1821.; moltissimi de' quali si trovano attribuiti in altri luoghi ad altri diversissimi personaggi; mostrano che a Diogene si riferivano popolarmente [4470]tutti i detti mordaci, arguti ec. non solo morali o filosofici, ma qualunque.
(8. Marzo. 1829.)
Il luogo del Laerz. ap. l'Orelli, loc. cit. nel pensiero preced., p.84. num.111. da nessuno inteso, e peggio dal Kuhnio (la cui spiegazione è data per ottima dall'Orelli, ib. p.585-6. dove chiama questo luogo difficilissimo), secondo il quale (v. l'Orelli p.586.) avremmo dei galli ?(????????(?(???(?? caduti boccone, cioè sul becco, cosa finora non mai veduta; a me par chiarissimo, e contiene una satira contro i medici (dei quali Esculapio è il dio), che finiscono di ammazzare chi cade malato. Quel ??(???? non era gallo, ma uomo, un lottatore, non reale, ma figurato, probabilmente in cera, secondo l'uso degli antichi, specialmente poveri, in tali (???(????. V. un luogo analogo, e confermante questa spiegazione, ib. p.102. n.216.; e la nota, p.595.: anche questo luogo spetta a Diogene. Il gallo promesso da Socrate ad Esculapio, è venuto in mente al Kuhnio in questo proposito assai male a proposito, e l'ha indotto nell'errore.
(9. Marzo. 1829.)
Alla p.4464. Filone giudeo ha un luogo simile (?(???(???) ap. Orell. ib. t.2. p.116. num.269. Del resto, v. il Forcell. ec.
(9. Marzo. 1829.)
Alla p.4437. fin. Non per ignoranza nè per negligenza, ma volutamente e a bello studio, si accostò a quel dir perplesso ec. a quella maniera democritea anzi senz'ordine o regola alcuna di frase, e ciò esageratamente e fuor di misura, l'autore di quelle cinque ????(???? (Orell. Dissertationes, Fabric. Disputationes) in dialetto dorico, d'argomento morale, che si trovano appiè di parecchi mss. delle opp. di Sesto Empirico, e che furon pubblicate da E. Stefano, dal Gale, dal Fabricio, e ultimamente da Gio. Corrado Orelli (loc. cit. nella pag. qui dietro, fin.): il quale autore, certo non molto antico, ma che intese di farsi creder tale, volle usare quel modo per contraffare anche in questo l'antichità.
(10. Marzo. 1829.). V. p.4479.
[4471]Se gli scrittori conoscessero personalmente a uno a uno i lor futuri lettori, è credibile che non si prenderebbero troppa pena di proccurarsi la loro stima scrivendo accuratamente, nè forse pure scriverebbero. Il considerarli coll'immaginazione confusamente e tutti insieme, è quello che, presentandoli loro sotto il collettivo e indefinito nome e idea di pubblico, rende desiderabile o valutabile la loro lode o stima ec.
(10. Marzo. 1829.)
Alla p.4426. Notano quelli che hanno molto viaggiato (Vieusseux parlando meco), che per loro una causa di piacere viaggiando, è questa: che, avendo veduto molti luoghi, facilmente quelli per cui si abbattono a passare di mano in mano, ne richiamano loro alla mente degli altri già veduti innanzi, e questa reminiscenza per se e semplicemente li diletta. (E così li diletta poi, per la stessa causa, l'osservare i luoghi, passeggiando ec., dove fissano il loro soggiorno.) Così accade: un luogo ci riesce romantico e sentimentale, non per se, che non ha nulla di ciò, ma perchè ci desta la memoria di un altro luogo da noi conosciuto, nel quale poi se noi ci troveremo attualmente, non ci riescirà (nè mai ci riuscì) punto romantico nè sentimentale.
(10. Marzo. 1829.)
Alla p.4365. Certo, siccome la letteratura e le scienze greche, la filosofia ec., passando in Italia, furono causa che moltissime parole greche, appartenenti a tali rami, acquistassero cittadinanza latina, e di là sien divenute proprietà delle lingue moderne, non solo scritte, ma eziandio parlate; così anche la religione cristiana: e non dico delle voci tecniche della teologia, ma di tante altre voci proprie del cristianesimo traspiantate nel latino, e di là passate nelle lingue moderne (anche non figlie della latina), e in esse volgarissime d'uso, tanto che molte di loro sono sfiguratissime (o di forma o di significato) e appena lasciano scorgere la loro etimologia: come (in italiano) chiesa, clero, chierico, prete, canonico, vescovo, papa, battesimo, battezzare, cresima, eucaristia, catechismo, parroco, parrocchia, epifania, pentecoste, elemosina (limosina, limosinare ec.), accidia ec. (10. Marzo. 1829.), angelo, arcangelo, demonio, diavolo, [4472]patriarca, profeta, profezia, apostolo, martire, martirio, martìre, martoro, martoriare ec., cattolico, eretico, eresia (resia ec.), evangelo (vangelo), monaco, monastico, monasterio, eremo (ermo ec. eremita, romito, romitorio, ec.) anacoreta, mistero (trasportato anche ad ogni sorta di cose ignote, e fuor della religione), ec. Molte anche tradotte, come ?????(???, ???(?????, compungo, compunctio, prese nel senso morale; ???????(? tentatio; ed altre tali infinite, non pur voci, ma frasi e frasario della scrittura (gran fonte di grecismo al basso latino e alle lingue moderne) o de' padri greci, passate nelle nostre lingue, e coll'andar del tempo applicate anco a sensi ed usi affatto profani.286
(12. Marzo. 1829.)
Alla p.4468. Tale osservazione potrà parere soddisfacente come spiegazione del fenomeno, non del fine di esso.
(12. Marzo.)
(??(?????( frammento di Archita, o sotto nome di Archita, ap. Orelli, l.c. p.4469. fine, p.248. lin.13. - à l'égal de. La Bruyère, e contemporanei - locuzione avverbiale, in senso di aeque ac.
(12. Marzo. 1829.)
Galateo morale. Il y a des ménagements que l'esprit même et l'usage du monde n'apprennent pas, et, sans manquer à la plus parfaite politesse, on blesse souvent le coeur. Corinne, liv.3. ch. I. 5me éd. Paris 1812. t. I. p.92. Les Anglais sont les hommes du monde qui ont le plus de discrétion et de ména...
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