[Pagina precedente]...s qu'un bon mot ne pouvoit éclore que sous le nom de Bruscambille ou de Tabarin. Ib. note, p.68-9.
(Firenze. 26. Ottob. 1828.)
Ho preso un poco di vino, quanto per dormire (????????(????? o ??(???(?????(???? ec.
(3. Nov. 1828.)
?(??? - vicus.
De' diascheuasti italiani e latini v. Perticari (Scritt. del 300) dove parla della pessima ortografia autografa del Petrarca Tasso ec., e dove prova che i latini del buon secolo, copiando o citando Ennio e gli altri antichi, li riducevano in gran parte alla moderna.
(3. Nov. 1828.)
La Divina Commedia non è che una lunga Lirica, dov'è sempre in campo il poeta e i suoi propri affetti.
(Firenze. 3. Novembre. 1828.)
'???(?????????(???, (??(????????(???, ???(??(?(??????, ?(??? e simili; frasi frequentissime di Erodoto, nel semplicissimo senso del francese comme je vais dire ec.
(Firenze. 8. Nov. 1828. Sabato.)
Fratta -???(???,??????????(? ec.
(Recanati. 30. Nov. 1828. Domenica.)
Non saprei come esprimere l'amore che io ho sempre portato a mio fratello Carlo, se non chiamandolo amor di sogno. (30. Nov.)
Memorie della mia vita. - Felicità da me provata nel tempo [4418]del comporre, il miglior tempo ch'io abbia passato in mia vita, e nel quale mi contenterei di durare finch'io vivo. Passar le giornate senza accorgermene; parermi le ore cortissime, e maravigliarmi sovente io medesimo di tanta facilità di passarle. V. p.4477. - Piacere, entusiasmo ed emulazione che mi cagionavano nella mia prima gioventù i giuochi e gli spassi ch'io pigliava co' miei fratelli, dov'entrasse uso e paragone di forze corporali. Quella specie di piccola gloria ecclissava per qualche tempo a' miei occhi quella di cui io andava continuamente e sì cupidamente in cerca co' miei abituali studi.
(30. Nov.)
All'uomo sensibile e immaginoso, che viva, come io sono vissuto gran tempo, sentendo di continuo ed immaginando, il mondo e gli oggetti sono in certo modo doppi. Egli vedrà cogli occhi una torre, una campagna; udrà cogli orecchi un suono d'una campana; e nel tempo stesso coll'immaginazione vedrà un'altra torre, un'altra campagna, udrà un altro suono. In questo secondo genere di obbietti sta tutto il bello e il piacevole delle cose. Trista quella vita (ed è pur tale la vita comunemente) che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione.
(30. Nov. I.a Domenica dell'Avvento.). V. p.4502.
È cosa notata che il gran dolore (come ogni grande passione) non ha linguaggio esterno. Io aggiungo che non ne ha neppure interno. Vale a dire che l'uomo nel grande dolore non è capace di circoscrivere, di determinare a se stesso nessuna idea, nessun sentimento relativo al suggetto della sua passione, la quale idea o sentimento egli possa esprimere a se medesimo, e intorno ad essa volgere ed esercitare, per dir così, il pensiero nè dolor suo. Egli sente mille sentimenti, vede [4419]mille idee confuse insieme, o piuttosto non sente, non vede, che un sentimento, un'idea vastissima, dove la sua facoltà di sentire e di pensare resta assorta, senza potere, nè abbracciarla tutta, nè dividerla in parti, e determinar qualcuna di queste. Quindi egli allora non ha propriamente pensieri, non sa neppur bene la causa del suo dolore; egli è in una specie di letargo; se piange (e l'ho osservato in me stesso), piange come a caso, e in genere, e senza saper dire a se stesso di che. Quei drammatici, e simili, che in circostanze di grandi passioni introducono de' soliloqui, fondandosi sulla convenzione che permette a' suoi personaggi di dire alto quello che essi direbbero tra se medesimi se fossero reali, sappiano che in tali circostanze l'uomo tra se non dice nulla, non parla punto neppur seco stesso. E fra tali drammatici ve n'ha de' sommi (Shakespeare medesimo), se non son tali tutti.
(30. Nov. 1828. Recanati.)
Alla p.4280. Ho veduto io stesso un canarino domestico e mansuetissimo, appena presentato a uno specchio, stizzirsi colla propria immagine, ed andarle contro colle ali inarcate e col becco alto.
Alla p.4241. Vedesi l'uomo nato nobile nella critica libera, franca, spregiudicata ed originale, ed anche nella ragionevole e spregiudicata morale teologica del marchese Maffei; nello stile originale, nel modo individuale di pensare e di poetare, nel tuono ardito e sicuro, nella stessa fermezza e forza d'opinion religiosa e superstiziosa del Varano.
(1. Dicembre. 1828. Recanati.)
[4420]Memorie della mia vita. - Andato a Roma, la necessità di conviver cogli uomini, di versarmi al di fuori, di agire, di vivere esternamente, mi rese stupido, inetto, morto internamente. Divenni affatto privo e incapace di azione e di vita interna, senza perciò divenir più atto all'esterna. Io era allora incapace di conciliar l'una vita coll'altra; tanto incapace, che io giudicava questa riunione impossibile, e mi credeva che gli altri uomini, i quali io vedeva atti a vivere esternamente, non provassero più vita interna di quella ch'io provava allora, e che i più non l'avessero mai conosciuta. La sola esperienza propria ha potuto poi disingannarmi su questo articolo. Ma quello stato fu forse il più penoso e il più mortificante che io abbia passato nella mia vita; perch'io, divenuto così inetto all'interno come all'esterno, perdetti quasi affatto ogni opinione di me medesimo, ed ogni speranza di riuscita nel mondo e di far frutto alcuno nella mia vita.
(1. Dic. 1828.)
Il giovane, per la stessa veemenza del desiderio che ne sente è inabile a figurare nella società. Non diviene abile se non dopo sedato e pressochè spento il desiderio, e il rimovimento di quest'ostacolo ha non piccola parte nell'acquisto di tale abilità. Così la natura delle cose porta che i successi sociali, anche i più frivoli, sieno impossibili ad ottenere quando essi cagionerebbero un piacere ineffabile; non si ottengano se non quando il piacere che danno è scarso o nessuno. Ciò si verifica esattamente: perchè se anco una persona arriva ad ottener de' successi nella prima gioventù, non vi arriva se non perchè il suo animo percorrendo rapidamente lo stadio della vita, [4421]è giunto assai tosto (come spesso accade) a quello stato nel quale i successi sociali si desiderano leggermente, e poco o niun piacere cagionano.
(1. Dic. 1828.)
Nelle mie passeggiate solitarie per le città, suol destarmi piacevolissime sensazioni e bellissime immagini la vista dell'interno delle stanze che io guardo di sotto dalla strada per le loro finestre aperte. Le quali stanze nulla mi desterebbero se io le guardassi stando dentro. Non è questa un'immagine della vita umana, de' suoi stati, de' beni e diletti suoi?
(1. Dicembre. 1828. Recanati.)
La Natura è come un fanciullo: con grandissima cura ella si affatica a produrre, e a condurre il prodotto alla sua perfezione; ma non appena ve l'ha condotto, ch'ella pensa e comincia a distruggerlo, a travagliare alla sua dissoluzione. Così nell'uomo, così negli altri animali, ne' vegetabili, in ogni genere di cose. E l'uomo la tratta appunto com'egli tratta un fanciullo: i mezzi di preservazione impiegati da lui per prolungar la durata dell'esistenza o di un tale stato, o suo proprio o delle cose che gli servono nella vita, non sono altro che quasi un levar di mano al fanciullo il suo lavoro, tosto ch'ei l'ha compiuto, acciò ch'egli non prenda immantinente a disfarlo.
(2. Dic. 1828.)
Memorie della mia vita. - Sempre mi desteranno dolore quelle parole che soleva dirmi l'Olimpia Basvecchi riprendendomi del mio modo di passare i giorni della gioventù, in casa, senza vedere alcuno: che gioventù! che maniera di passare cotesti anni! Ed io concepiva intimamente e perfettamente anche allora tutta la ragionevolezza di queste parole. Credo [4422]però nondimeno che non vi sia giovane, qualunque maniera di vita egli meni, che pensando al suo modo di passar quegli anni, non sia per dire a se medesimo quelle stesse parole.
(2. Dicembre. 1828. Recanati.)
La lingua spagnuola pare e parrà sempre ridicola agl'Italiani per la stessa ragione per cui la scimmia riesce un animale ridicolo all'uomo: estrema similitudine con gravi differenze. Ma questo ridere dello spagnuolo, assolutamente parlando, è per lo meno così irragionevole come il ridere della scimmia; e di più, è soggetto a reciprocità; giacchè è naturale che l'italiano riesca, e con altrettanta ragione, altrettanto ridicolo agli Spagnuoli. Lo spagnuolo ci riesce ridicolo nel modo e per la ragione che ci riesce tale un dialetto dell'italiano. Similmente l'italiano dee riuscire ridicolo agli spagnuoli come un dialetto della lingua spagnuola. Egli è dunque un vero pregiudizio negl'Italiani il considerar lo spagnuolo come lingua o pronunzia che abbia qualcosa di ridicolo in se, argomentando dall'effetto che essa fa in noi.
(2. Dic. 1828.). Vedi la pag.4506.
Alla p.4248. fine. I greci molto ragionevolmente, checchè ne dica Cicerone, che preferisce la voce latina convivio, chiamavano il convito simposio, cioè compotazione, perchè in esso non era veramente comune, e fatto in compagnia, se non solo il bere, cosa ragionevolissima, e non il mangiare, come forse tra' Romani ec. (V. il luogo di Cic. nel Forcell. in Convivium, o Sympos. o Compotat. ec.).
(2. Dic. 1828.)
Guadagnoli recitante in mia presenza all'Accademia de' Lunatici in Pisa, presso Mad. Mason, le sue Sestine burlesche sopra la propria vita, accompagnando il ridicolo dello stile e del soggetto con quello dei gesti e della recitazione. Sentimento doloroso che io provo in casi simili, vedendo un uomo giovane, ponendo in burla se stesso, la propria gioventù, le [4423]proprie sventure, e dandosi come in ispettacolo e in oggetto di riso, rinunziare ad ogni cara speranza, al pensiero d'ispirar qualche cosa nell'animo delle donne, pensiero sì naturale ai giovani, e abbracciare e quasi scegliere in sua parte la vecchiezza spontaneamente e in sul fiore degli anni: genere di disperazione de' più tristi a vedersi, e tanto più tristo quanto è congiunto ad un riso sincero, e ad una perfetta gaieté de coeur.
(Recanati. 3. Dic. festa di S. Fr. Saverio. 1828.)
Io abito nel bel mezzo d'Italia, nel clima il più temperato del mondo; esco ogni giorno a passeggiare nelle ore più temperate della giornata; scelgo i luoghi più riparati, più acconci ed opportuni; e dopo tutto questo, appena avverrà due o tre volte l'anno, che io possa dire di passeggiare con tutto il mio comodo per rispetto al caldo, al freddo, al vento, all'umido, al tempo e simili cose. E vedete infatti, che la perfetta comodità dell'aria e del tempo è cosa tanto rara, che quando si trova, anche nelle migliori stagioni, tutti, come naturalmente, sono portati a dire: che bel tempo! che buon'aria dolce! che bel passeggiare! quasi esclamando, e maravigliandosi come di una strana eccezione, di quello che, secondo il mio corto vedere, dovrebbe pur esser la regola, se non altro, nei nostri paesi. Gran benignità e provvidenza della natura verso i viventi!
(3. Dic. 1828.)
L'esclusione dello straniero e del suddito dai diritti (quantunque naturali e primitivi) del cittadino e della nazion dominante, esclusione caratteristica di tutte le legislazioni antiche, di tutte le legislazioni appartenenti ad una mezza civiltà; esclusione fondata implicitamente in una opinione d'inferiorità di natura delle [4424]altre razze d'uomini alla dominante o cittadina, ed esplicitamente basata sopra questo principio, e ridotta a teoria e dottrina scientifica e filosofica per la prima volta che si sappia (come tante altre opinioni e cognizioni del suo tempo) da Aristotele nella Politica (opera citata spesso da Niebuhr nella Storia Romana come genuina d'Aristotele); questa esclusione, dico, è manifestissima in tutte le legislazioni de' bassi tempi, nelle quali il favor della legge in difesa delle proprietà o delle persone, ed ogni altro diritto, era quasi esclusivamente per li soli nobili. In Francia un nobile che ...
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