[Pagina precedente]...ue rien ne peut justifier. (Voir le n.21. du journal)... Champollion - Figeac. Ib. Mars, 1828. t.9 p.231 art.206.
(14. Sett. Domenica. 1828. Firenze.)
Alla p.4330. La 2e partie du travail de M. Petit-Radel (Examen analytique et tableau comparatif des synchronismes de l'histoire des temps héroïques de la Grèce, par L. C. F. Petit-Radel, de l'Institut royal de France. 1 vol. in-4° de 296 pages. Paris 1827.) est précédée d'une note de M. Saint-Martin, dans laquelle ce savant académicien fournit un extrait des raisons qui ont engagé son confrère à adopter, pour époque de la prise de Troie, l'an 1199 avant J. C., et à faire partir de cette base tous les calculs ascendans des dates portées sur le tableau. Ib. Avril. 1828. t.9. art.301. p.329.
(16. Sett. 1828.)
I SS. Cirillo e Metodio, fratelli, monaci greci, chiamati Apostoli degli Schiavoni, nel nono secolo, introducendo nella Moravia e nella Pannonia la liturgia schiavona, (la lithurgie slavonne), cioè gli uffici divini in lingua schiavona (le service divin en langue slavonne), inventarono per iscriverla l'alfabeto schiavone (l'alphabet slavon), che è ancora in uso comune, e che porta il nome di alfabeto cirilliano. Bull. de Féruss. ec. passim, e specialmente février, 1828. t.9. p.163-7. art.141.
(17. Sett. 1828.)
(???? (cioè ???(???. Hesych.) - sella. (????(?? ec. - sedeo. (?????(??? ec. - sedes.
(17. Sett. 1828.)
Foscolo, Discorso sul testo e su le opinioni diverse prevalenti intorno alla storia e alla emendazione critica della Commedia di Dante. - Prospetto (cioè sommario) del Discorso. L'abuso delle minime [4379]date d'anni, (cioè de' minimi indizi di tempo ne' libri antichi), rannuvola più che non illustra la storia letteraria; e il rigettarle tutte, o fondare sistemi sopra le incerte, ha diviso novellamente i tre critici maggiori della età nostra, in Epicurei, Pirronisti, e Stoici. Payne Knight, critico stoico. - Discorso, §.15. Un verso del libro sesto dell'Iliade basta a Wolfio, non solo a dare corpo, forza ed armi alla ipotesi del Vico, che Omero non abbia scritto poemi, ma inoltre a desumere in che epoca della civiltà del genere umano fosse incominciata la Iliade, e in quanti secoli, e per quali accidenti fosse continuata e finita, forse per confederazione del caso e degli atomi d'Epicuro. (apparentemente Foscolo non avea letto Wolfio). Heyne disponendo fatti, tempi e argomenti a cozzar fra di loro, forse per investire la filologia del diritto di asserire e negare ogni cosa, indusse il pirronismo nell'arte critica; e chi lo consulta,
mussat rex ipse Latinus
Quos generos vocet aut quae sese ad foedera flectat.
(Vuol dir che Heyne intorno alle questioni sopra Omero, non si decide, e tiene il metodo dell'Accademia, in utramque partem disputandi.) Al caso e agli atomi di Wolfio e al pirronismo di Heyne si aggiunse con alleanza stranissima lo stoicismo affermativo di Payne Knight illustratore recente di Omero; e incomincia: Octogesimo post Trojam captam anno, Mycenarum regnum tenente Tisameno Orestis filio jam sene, magna et infausta mutatio rerum toti Graeciae oborta est ex irruptione Dorum (Carmina Homerica a Rhapsodorum interpolationibus [4380]repurgata et in pristinam formam, quatenus recuperanda esset, tam e veterum monumentorum fide et auctoritate, quam ex antiqui sermonis indole ac ratione, redacta. Nota. È il titolo dell'Om. di Knight col digamma, Lond. 1820.) - e dalla irruzione de' Doriesi, i quali costrinsero molto popolo Greco a rifuggirsi nell'Asia minore, la storia critica della lingua e della poesia omerica, e l'epoca e l'indole e la fortuna finor ignotissime del poeta, sono dedotte con arte e dottrina e perseveranza, e affermate con la dignità d'uomo che sente di avere trovato il vero. Onde taluni che non possono persuadersi mai della probabilità di que' fatti, si sentono convinti alle volte dagli argomenti, e ascoltano con riverenza lo storico (sic) al quale non possono prestar fede. (questo è il sistema esposto e seguito da Capponi, Lez. 2.a sulla lingua, Antologia, maggio 1828.) §.16. Questo Payne Knight era uomo di forte intelletto; di non vaste letture, ma che parevano immedesimate ne' suoi pensieri e raccolte non tanto per nudrire i suoi studi, quanto per essere nudrite dalla sua mente. Era nuovo e luminosissimo in molte idee; e quantunque ei potesse dimostrarne alcune e ridurle a principj sicuri, intendeva che tutte fossero assiomi ai quali non occorrono prove; e dalle conseguenze ch'ei ne traeva escludeva inflessibile qualunque eccezione, ond'erano inapplicabili, e sembravano assurde: ma quantunque ei parlasse energicamente ad esporle, non pareva o non voleva essere eloquente a difenderle; e quando s'accorse d'avere errato, lo confessò. (Ob multos errores in libro de hac re Anglice scripto piacularem esse profiteor. Prolegom. in Homerum, sect. CLI. Nota.) Aveva [4381]signorili costumi, e animo libero e sdegnoso d'applausi; nè fra molti avversarj gli mancarono nobili lodatori: ed Heyne non lo cita che non lo esalti. E certo se molti seppero notomizzare la poesia e la lingua Greca meglio di lui, pochi hanno potuto conoscerne l'indole al pari di lui; e nessuno lo ha mai preceduto, e pochi potranno seguirlo a investigarle nelle loro remotissime fonti. Studiando le reliquie dell'antichità ad illustrare i tempi omerici ne radunò molte a grandissimo prezzo, e sono da vedersi nel Museo Britannico ov'ei per amore di letteratura e di patria, e con giusta ambizione di nome le lasciò per legato. Venne, pochi mesi addietro, a visitarmi; e discorrendo egli intorno agli eroi più o meno giovani dell'Iliade, io notai che stando a' suoi computi, Achille sarebbe stato guerriero imberbe. Risposemi, ch'ei non si dava per vinto; ma ch'ei cominciava a sentire la vanità della vita, e non gl'importava oggimai di vittorie. Nè la poesia nè la realtà delle cose giovavano più a liberarlo dal tedio che addormentava in lui tutti i sentimenti dell'anima; e dopo non molti giorni, morì: ed io ne parlo perchè i suoi concittadini ne tacciono. §.17. Or quando scrittori di tanta mente per via di date congetturali prestano forme e certezza a nozioni vaghe e oscurissime, e le fanno risplendere come vere, ei costringono l'uomo, o alla credulità ed al silenzio, o a meschine fatiche e al pericolo di controversie, e per cose di poco momento al più de' lettori.
(Firenze. 19. Sett. 1828.)
[4382]Ivi, §.150. Senza ritoccare la questione (e ne discorro altrove (forse nell'articolo sull'Odissea di Pindemonte), e la tengo oggimai definita) se i due poemi sgorgavano da un solo ingegno nella medesima età , (Payne Knight, Carmina Homerica, Prolegomena, sect. LVIII. - e il volumetto, "A History of the text of the Iliad." Nota.) chi non vede che sono dissimili in tutto fra loro, e che tendevano a mire diverse? Perciò nell'Iliade la realtà sta sempre immedesimata alla grandezza ideale, sì che l'una può raramente scevrarsi dall'altra, nè sai ben discernere quale delle due vi predomini; e chi volesse disgiungerle, le annienterebbe. Bensì nell'Odissea la natura reale fu ritratta dalla vita domestica e giornaliera degli uomini, e la descrizione piace per l'esattezza; mentre gli incanti di Circe, e i buoi del Sole, e i Ciclopi,
Cetera quae vacuas tenuissent carmine mentes,
compiacciono all'amore delle meraviglie: ma l'incredibile vi sta da sè; e il vero da sè.
(19. Sett. 1828.)
Ivi, §.201. Ma quale si fosse il tenore della lingua e della verseggiatura di Dante, non è da trovarlo in codice veruno; e in ciò la Volgata con la dottrina e la pratica dell'Accademia predomina sempre in qualunque edizione ed emendazione. Avvedendosi "Che per difetto comune di quell'età " - e chi mai non se ne avvedrebbe quand'è più o meno difetto delle altre? - "l'ortografia era dura, manchevole, soverchia, confusa, varia, incostante, e finalmente senza molta ragione" (Salviati, Avvertim. vol.1. lib.3. cap.4. Nota) - anzi [4383]vedendola migliore di poco nel miracoloso fra' testi del Decamerone ricopiato dal Mannelli (Discorso sul Testo del Decam. p. XI. seg. pag. CVI. Nota) - parve agli Accademici di recare tutte le regole in una, ed è: - "che la scrittura segua la pronunzia, e che da essa non s'allontani un minimo che". (Prefazione al Vocabolario, sez. VIII. Nota). Guardando ora agli avanzi della Volgata Omerica di Aristarco, parrebbe che gli Accademici de' Tolomei fossero di poco più savj, o meno boriosi de' nostri. La prosodia d'Omero, per l'amore di tutte le lingue primitive alla melodia, gode di protrarre le modulazioni delle vocali. L'orecchio Ateniese, come avviene ne' progressi d'ogni poesia, faceva più conto dell'armonia, e la congegnava nelle articolazioni delle consonanti; e tanto era il fastidio delle troppe modulazioni, chiamate iati dagli intendenti, che ne vennero intarsiate fra parole e parole le particelle che hanno suoni senza pensiero. Quindi gli Alessandrini alle strette fra Omero e gli Attici, e non s'attentando di svilupparsene, emendarono l'Iliade così che ne nasceva lingua e verseggiatura la quale non è di poesia nè primitiva, nè raffinata. I Greci ad ogni modo s'ajutavano tanto quanto come i Francesi e gl'Inglesi; ed elidendo uno o più segni alfabetici nel pronunziare, non li sottraevano dalla scrittura; così le apparenze rimanevano quasi le stesse. Ma che non pronunziassero come scrivevano, n'è prova evidentissima che ogni metro ne' poeti più tardi, e peggio negli Ateniesi, ridonderebbe; nè sarebbero versi, a chi recitandoli dividesse le vocali quanto il [4384]metro desidera ne' libri Omerici: e l'esametro dell'Iliade s'accorcerebbe di più d'uno de' suoi tempi musicali, se avesse da leggersi al modo de' Bisantini, snaturando vocali, o costringendole a far da dittonghi. Però i Greci d'oggi a' quali la pronunzia letteraria venne da Costantinopoli, e serbasi nel canto della loro Chiesa, porgono le consonanti armoniosissime; ma non versi, poichè secondano accenti semplici e circonflessi, e spiriti aspri, e soavi - come che non ne aspirino mai veruno - ed apostrofi ed espedienti parecchi moltiplicatisi da que' semidigammi ideati in Alessandria, talor utili in quanto provvedono alla etimologia e alle altre faccende della grammatica. Non però è da tenerne conto in poesia, dove la guida vera alla prosodia deriva dal metro; e il metro dipendeva egli fuorchè dalla pronunzia nell'età de' poeti? Ad ogni modo i grammatici Greci sottosopra lasciarono stare i vocaboli come ve gli avevano trovati, sì che ogni lettore li proferisse o peggio o meglio a sua posta. Ma i Fiorentini non ricordevoli di passati o di posteri, uscirono fuor delle strette medesime con la regola universale - Che la scrittura non s'allontani dalla pronunzia un minimo che; e non trapelando lume, nè cenno di pronunzia certa dalle scritture, pigliarono quella che udivano. Però mozzando vocali, e raddoppiando consonanti, e ajutandosi d'accenti e d'apostrofi, stabilirono un'ortografia, la quale facesse suonare all'orecchio non Io, nè lo Imperio, o lo Inferno; ma I', lo 'Mpero, lo 'Nferno: e con mille altre delle sconciature [4385]del dialetto Fiorentino de' loro giorni, acconciarono versi scritti tre secoli addietro.
§.202. Queste loro squisitezze erano favorite dalla dottrina, che la lingua letteraria d'Italia fioriva tutta quanta nella loro città . Lasciamo che ove fosse vera s'oppone di tanto alle dottrine di Dante, che non sarebbe mai da applicarla ad alcuna delle opere sue. Ma avrebb'essa potuto applicarsi se non da critici ch'avessero udito recitare i versi di Dante a' suoi giorni? L'occhio umano, paziente, fedelissimo organo, è agente più libero e più intelligente degli altri, perchè vive più aderente alla memoria; ma non per tanto non può fare che passino cent'anni e che le penne tutte quante non si divezzino dalle forme correnti dell'alfabeto. Così ogni età n'usa di distinte e sue proprie; onde per chiunque ne faccia pratica bastano ad accertarlo del secolo d'ogni scrittura. Ma sono divarj permanenti nelle carte; arrivano a' posteri; e si las...
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