[Pagina precedente]...osthène lui-même n'est plus aussi pur (così puro scrittore attico) que Xénophon et Platon. Bull. de Féruss. loco cit. alla p.4312. Juillet, 1824. t.2. art.13. p.12. [4328]Sui pretesi dialetti d'Omero, v. la p.4319. capoverso 1.
(Fir. 31. Lugl. 1828.)
Alla p.4318. Infatti Femio e Demodoco nell'Odissea cantano i loro versi narrativi accompagnandosi colla lira. Del resto queste mie osservazioni tendono a rivendicar come antica la differenza ora e da gran tempo riconosciuta fra le poesie lodative, passionate ec. dette liriche, meliche ec. e le narrative, dette epiche.
(31. Lug. 1828.)
Alla p.4326. La mancanza dell'arte necessaria per ottenere il semplice, fu una delle cause che ritardarono nella letteratura greca, già ricca di versi, la produzione di buone prose. Chi non voleva scriver plebeo, chi non era affatto ignorante, sapeva scrivere ornatamente (come sta bene in poesia), ma non (come vuolsi alla prosa) pianamente. La lingua de' numi, dice il Courier (pref. al Sag. dell'Erodoto), era benissimo posseduta, mentre la lingua degli uomini non si sapeva ancora usare. I primi saggi di prosa greca, come quelli di Ecateo Milesio e di Ferecide, peccano principalmente, come osserva esso Courier, per il poetico che hanno, anche nella dizione. Lo stile riusciva gonfio, non se ne sapevano guardare: in poesia si trovavan più a loro agio, perchè quivi non era gonfiezza quel che lo era nella prosa. Anche Erodoto, a ben guardarlo, ha del poetico e del gonfio in mezzo alla naturalezza propria del tempo. Così noi avevamo Dante, e nessuna prosa di conto fino al Boccaccio. Le migliori erano le più plebee, scritte da' più ignoranti, senza pretensione, senza neppure intenzione (per dir così), di scrivere. Ma i prosatori che volevano scrivere, riuscivano stranamente gonfi (in mezzo alla naturalezza effetto del tempo e della pochissima lettura), come Dino Compagni, similissimi per la meschina gonfiezza e declamazione, ai fanciulli di rettorica.
(31. Lug. 1828.)
[4329]Se un buon libro non fa fortuna, il vero mezzo è di dire che l'ha fatta; parlarne come di un libro famoso, noto all'Italia ec. Queste cose diventano vere a forza di affermarle. Molti che l'affermino e lo ripetano, lo rendono vero senz'alcun dubbio. Se, per qualunque ragione, questo mezzo non si può usare, il miglior partito è di tacere, dissimulare, e aspettare se il tempo facesse qualche cosa. Ma niente di peggio che de se fâcher avec le public, gridare all'ingiustizia, al cattivo gusto de' contemporanei, perchè non fanno caso del libro. Siano giustissime queste querele, sia classico il libro; dal momento che il suo cattivo esito è confessato e pubblicato, la miglior sorte che gli possa toccare è di essere riguardato come quei pretendenti che, privi di baionette, non hanno per se che i diritti e la legittimità.
(Firenze. 10. Agosto. 1828. S. Lorenzo.)
Alfabeti. Ortografia. Difficoltà ed imperfezioni della scrittura de' dialetti p. es. italiani, abbondanti di suoni mancanti all'alfabeto nazionale scritto ec. Arbitrario dell'applicazione dei segni di questo alfabeto ai detti suoni: due persone che si ponessero a scrivere uno stesso dialetto senza saper l'uno dell'altro, nè seguire un metodo già ricevuto, si può scommettere che non iscriverebbero una parola sola nello stesso modo. La più parte dei nostri dialetti hanno un alfabeto di suoni più ricco assai del comune.
(Fir. 10. Agos. 1828.)
In letteratura, tutto quello che porta scritto in fronte bellezza, è bellezza falsa, è bruttezza. Verità fecondissima, e ricchissima di applicazioni, che occorrono ad ogni ora.
(Fir. 10. Agos. 1828.)
[4330]Alla p.4326. e il cui soggetto fu il vero, e non in gran parte il finto, come in Omero e ne' poeti.
(10. Agos. 1828.)
Dalle mie osservazioni su quel passo di Agatarchide comparato alla storiella di Muzio Scevola, si può dedurre che una delle principali fonti del favoloso trovato, massimamente dal Niebuhr, nella storia romana de' primi tempi, sia l'avere i primi storici romani (seguiti poi dagli altri) copiato nella narrazione delle origini e de' tempi oscuri di Roma, le storie o le favole de' Greci, mutando i nomi. Così hanno fatto i primi storici di quasi tutte le nazioni, anche più recentemente, e ne' bassi tempi ec. fra' quali è insigne esempio quel Saxo nella Historia Danica.
(10. Agos.)
Alla p.4323. La presa di Troia, secondo i marmi di Paro, la cui cronologia è ora la più, anzi la generalmente seguìta, si pone nell'anno 108 avanti l'era Cristiana. Bull. de Féruss. ec. loc. cit. alla p.4312. tom.3. art.235. p.275. fin.
(10. Agos. 1828.). V. p.4378.
Tutti dicono che la buona gente è rara assai. Questo in generale. Ma quando si viene al particolare, niente di più comune che il sentirsi dire di una famiglia: è buona gente, di un individuo: è un buon uomo, un buonissim'uomo. Rare volte il contrario: non sarà appena come uno a dieci. E nella pratica, io ho trovato buona gente da per tutto, anche per convivere: tanto che ora, di niente sono meno in pena che di trovar buona gente quella con cui debbo o dovrò avere a fare. Io credo che la bontà negli uomini sia men [4331]rara assai che non si crede: anzi, che abitualmente quasi tutti sieno buona gente. E credo che per trovar buona gente da per tutto, e senz'altri esami, non bisogni altro che esser buon uomo esso, ed aver buone maniere.
(10. Agos. 1828. dì di S. Lorenzo. Firenze.). V. p.4333.
Esse erano ancora in età ben giovanile, ma l'amore era scancellato dal loro volto; si vedeva che la gioventù n'era sparita per sempre. (M.lles Busdraghi).
(10. Agos. 1828.)
Sur l'idiome moldave; extrait d'un manuscrit de M. le C.te d'Hauterive (Wilkinson, Tableau de la Moldavie et de la Valachie; traduit par M. de La Roquette, 2e édit., appendix, n.9.) Cette langue, rude et grossière, est évidemment d'origine romaine; mais à ce sujet l'auteur établit une hypothèse particulière. Il suppose qu'il existait d'abord à Rome une langue populaire qui avait des articles, des verbes auxiliaires et toutes les formes embarrassantes qui, selon l'auteur, annoncent l'enfance de la civilisation. Pendant que les orateurs et les écrivains créèrent la langue classique, remarquable par sa précision et son élégance, la langue du peuple se propagea dans les provinces de l'empire et s'y modifia dans la suite d'après le génie, ou les relations des habitans. Ainsi, selon le comte d'Hauterive, le français, l'italien, l'espagnol, le moldave, ne sont pas dérivés de la langue de Cicéron et d'Auguste: ces idiomes ont une origine plus ancienne; ils viennent d'une langue antérieure, celle des premiers habitans de Rome. Le moldave surtout lui paraît être un reste de ce langage grossier. À l'appui de cette hypothèse l'auteur donne 6 tableaux, [4332]dont les deux premiers font connaître les temps des verbes auxiliaires être et avoir, en français et en moldave. On y voit que le moldave a des temps composés comme le français. Le troisième tableau comprend le verbe moldave iou laud, je loue. Le quatrième tableau tend à prouver que les 4 langues romaines vivantes, c'est-à dire le français, l'italien, l'espagnol et le moldave ont plus de rapport l'une avec l'autre qu'avec le latin. Il semble pourtant que ces exemples ne sont pas tous bien choisis; par exemple, le mot moldave zoon est aussi éloigné du mot français jour que du latin, et le mot moldave pugn ressemble encore plus au latin pugnus qu'au français poing. Dans le cinquième tableau l'auteur a rassemblé des mots communs aux quatre langues modernes, et qui, bien que romains, ne s'accordent pas avec le latin classique: par exemple ignis, se rend dans les quatre langues par feu, fuoco, fuego et fuoc; ensis par sabre (il fallait dire epée), sciabla, espada, sabbia; humerus par épaule, spale (sic), espala (sic), espal. Ces exemples ne prouvent pourtant pas que les 4 langues aient puisé dans un idiome plus ancien que le latin classique, car les mots cités par l'auteur peuvent tout aussi bien dater du temps de la décadence de l'empire et de la langue latine; ainsi feu, fuoco, fuego et fuoc sont du temps de la basse latinité, lorsque les mots anciens étaient déjà détournés en partie de leur véritable acception, et lorsque le mot de foyer (focus), qui désignait d'abord le lieu du feu, fut employé par les barbares pour exprimer le feu même. Enfin, dans le dernier tableau, l'auteur a voulu rassembler des mots [4333]communs au latin et moldave, et manquant aux trois autres langues, afin de prouver que le moldave ne dérive pas des langues modernes. Parmi ces exemples se trouvent verbum, verbe; magis, moi (sic). Cependant verbe et mais (autrefois dans le sens de magis) sont aussi français. Ces exemples ne peuvent donc servir de preuve. D-G. (Depping.) Bull. de Féruss. loc. cit. alla p.4312. Févr. 1825. t.3. art.152. p.118-9.
(10-11. Agos. 1828.)
Alla p.4331. E credo che i cattivi sieno assai più rari che i buoni uomini, purchè non si chiamino cattivi (come si fa sempre) quelli che trattano male noi perchè noi trattiamo male o indiscretamente loro; perchè non vogliamo, o non sappiamo (cosa frequentissima), trattarli bene.
La salute è considerata generalmente dalla società come il minimo de' beni umani, se pur ne è fatto conto in modo veruno. Fra le mille prove (e non parlo qui d'individui, ma di corporazioni), osservate che non troverete mai un luogo, una città che sia cominciata ad abitarsi, che cresca giornalmente di popolazione, per rispetto della salubrità del sito, e neanche della clemenza dell'aria. Opportunità di commercio, vicinanza di mare, centralità, presenza della corte, mille cose fanno e che si scelga a principio un luogo per popolarlo, per fondarvi una città, e che una città cresca via via d'abitanti: ma la salubrità non mai. Non v'è città che debba la sua nascita a questa causa, nessuna che le debba il suo accrescimento. Troverete spesso un [4334]sito saluberrimo, con aria comodissima, affatto deserto, in vicinanza d'una o di più città, pessimamente situate e popolatissime. Tra Livorno e Firenze (di scellerata situazione) vedete un sito che par quasi miracolosamente favorito dalla natura; ci trovate anche una città, che è Pisa; una città che fu anche popolatissima. Livorno pel suo mare, Firenze per cento altri vantaggi, si accrescono ogni giorno prodigiosamente di popolo; e sulle loro porte, Pisa, da che ha perduto la sua potenza, il commercio, i vantaggi estranei alla salubrità, si spopola, divien sensibilmente deserta ogni giorno più.
(Firenze. 11. Agos. 1828.)
Alla p.4322. fin. Io per me sono persuaso che questo sia il vero e solo modo di render ragione delle irregolarità di misura che malgrado tutte le regole e sopraregole ed eccezioni arbitrariamente stabilite dagli antichi e dai moderni grammatici, malgrado tutti i sistemi, come quello del digamma eolico ec., si trovano sempre ne' versi omerici. - Richard Bentley est le premier qui, s'étant aperçu de quelques irrégularités dans la mesure des vers d'Homère, supposa que ces irrégularités ne provenaient que de ce qu'on avait négligé le Digamma, dont sans doute la prononciation était tombée en désuétude quand on copia pour la première fois l'Iliade et l'Odyssée. Du Digamma dans les Poésies homériques. (Extrait d'un Nouveau Commentaire sur Homère); par M. Dugas-Montbel. Bull. de Féruss. loc. cit. Janv. 1825. art.7. p.9. - Le fait est que, malgré l'adoption du Digamma, on ne résout pas toutes les difficultés, et que M. Knight lui-même (Payne Knight, il quale nel 1820 pubblicò in Inghilterra un'edizione intera [4335]dell'Iliade e dell'Odissea col digamma, et avec une orthographe particulière qu'il suppose avoir été dans le principe celle d'Homère; dopo che Upton e Salter avevano dato degli specimen di edizioni d'Omero col digamma, e che Heyne già nel suo Omero del 1802, au bas de son texte, où il suit l'orthographe ordinaire, aveva placé les mots avec le Digamma, in cui favore egli si è dichiarato) a laissé subsister des passages qui blessent son système (cioè, co...
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