[Pagina precedente]...s de goût, lues à l'Académie Françoise le 14 mars 1757.
E molte forti a Pluto alme d'eroi Spinse anzi tempo, abbandonando i corpi Preda a sbranarsi a' cani ed agli augelli. Foscolo. Molte anzi tempo all'Orco Generose travolse alme d'eroi, E di cani e d'augelli orrido pasto Lor salme abbandonò. Monti. E così gli altri. Ma Omero dice le anime (???(?) ed essi (?(??(?), cioè gli eroi, non i loro corpi. Differenza non piccola, e secondo me, non senza grande importanza a chi vuol conoscere veramente Omero, e i suoi tempi, e il loro modo di pensare. Questa infedeltà , non di stile e di voci solo, ma di sostanza [4306]e di senso, nata dall'applicare alle parole d'Omero le opinioni contemporanee a' traduttori; questa infedeltà , dico, commessa nel primo principio del poema, anche da' traduttori più fedeli, dotti ed accurati, e in un caso in cui le parole son chiare e note, mostra quanto sia ancora imperfetta l'esegesi omerica (e in generale degli antichi), e quanto spesso si debba trovare ingannato, quanto spesso insufficientemente informato, chi per conoscere Omero, e gli antichi, e i loro tempi, costumi, opinioni ec. si vale delle traduzioni sole, e fonda su di esse i suoi discorsi ec. come per lo più i più eruditi francesi d'oggidì ec. ec.
(Pisa. 10. Maggio. 1828. Sabato.)
Il est sans doute des lecteurs qui ne sont difficiles ni sur le fond ni sur le style de l'histoire; ce sont ceux dont l'ame froide et sans ressort, plus sujette au désoeuvrement qu'à l'ennui, n'a besoin ni d'être remuée, ni d'être instruite, mais seulement d'être assez occupée pour jouir en paix de son existence, ou plutôt, si on peut parler ainsi, pour la dépenser sans s'en appercevoir. D'Alembert, Réflexions sur l'histoire. I più degli oziosi sono piuttosto disoccupati che annoiati. Si dice male che la noia è un mal comune. La noia non è sentita che da quelli in cui lo spirito è qualche cosa. Agli altri ogni insipida occupazione basta a tenerli contenti; e quando non hanno occupazione alcuna, non sentono la pena della noia. Anche gli uomini sono, la più parte, come le bestie, che a non far nulla non si annoiano; come i cani, i quali ho ammirati e invidiati più volte, vedendoli passar le ore sdraiati, con un occhio sereno e tranquillo, che annunzia l'assenza della noia non meno che dei desiderii. Quindi è, che se voi parlate della noia inevitabile [4307]della vita ec. ec. non siete inteso ec. ec.
(Pisa. 15. Maggio. Ascensione. 1828.)
On peut dire en un sens de la Métaphysique que tout le monde la sait ou personne, ou pour parler plus exactement, que tout le monde ignore celle que tout le monde ne peut savoir. Il en est des ouvrages de ce genre comme des pieces de théatre; l'impression est manquée quand elle n'est pas générale. Le vrai en Métaphysique ressemble au vrai en matiere de goût; c'est un vrai dont tous les esprits ont le germe en eux-mêmes, auquel la plûpart ne font point d'attention, mais qu'ils réconnoissent dès qu'on le leur montre. Il semble que tout ce qu'on apprend dans un bon livre de Métaphysique, ne soit qu'une éspece de réminiscence de ce que notre ame a déjà su; l'obscurité, quand il y en a, vient toujours de la faute de l'auteur, parce que la science qu'il se propose d'enseigner n'a point d'autre langue que la langue commune. Aussi peut-on appliquer aux bons auteurs de Métaphysique ce qu'on a dit des bons écrivains, qu'il n'y a personne qui en les lisant, ne croie pouvoir en dire autant qu'eux. D'Alembert, Essai sur les élémens de philosophie, article 6. È facile il vedere che tutti questi periodi sono traduzioni l'uno dell'altro; ma la proposizione ch'essi contengono, è molto vera e notabile.
(Pisa. 19. Maggio. 1828.)
Alla p.4305. Pietro Aretino dice in una delle sue commedie: un cavalier senz'entrata è un muro senza croci, scompisciato da ognuno. [4308]Ginguené, t.6. p.229. not.
(Pisa. 19. Maggio. 1828.)
Corpusculum per corpus. M. Aurelio in Frontone (ad Marcum Caesarem et invicem, lib.5. ep.47. 55. ed. Rom. 1823. p.135-37.). Notisi che M. Aurelio era stoico.
Expergitus per experrectus. Fronto Princip. histor. ed. Rom. p.319. v.9.
Arcus intenditus per intentus. Ib. De Feriis alsiensibus, ep.3. p.208. v.15.
Il codice frontoniano ha dilibutus, e 3 volte dilectus per delibutus e delectus. Così noi dilicato, e di preposiz. per de. Al che spettano que' verbi latini digredior, diverto, diminuo, distillo, distringo, divello (e simili): tutti i quali nel detto codice si trovano scritti per de.
M. Aurelio nelle lett. a Frontone chiama costantemente Faustina sua moglie, domina mea (la mia donna). V. il luogo di Epitteto di cui altrove.
Leggendo la curiosa lettera di Vero a Frontone (ad Ver. imp. ep.3. ed. Rom.) in cui lo prega di scrivere la storia delle gesta di esso Vero nella guerra partica, mi par proprio di leggere una lettera di qualche moderno scrittore a un giornalista sopra qualche sua opera. Lo stesso amor proprio, esagerazione, noncuranza del vero ec. E in verità quella lettera (v. anche quella di Cic. a Lucceio) ci mostra quanto dobbiamo fidarci di storie, anche contemporanee. Ma che differenza tra gli antichi e i moderni ancor qui! Questi raccomandano 1. delle operucce, 2. a un giornalista, 3. per un articolo; quelli 1. de' fatti militari o civili, 2. a uomini famosi, 3. per una storia ec. ec. La lett. di Vero è senza niuna diversità nell'ediz. milanese e meriterebbe di esser citata tradotta.
(Firenze. 21. Giugno, anniversario del mio primo arrivo a Firenze. 1828.)
[4309]Tanto è vero che tra gli antichi la prima lode era quella della felicità , che noi vediamo nelle Orazioni funebri, e in simili casi, gli Oratori dovendo lodare, p.e. de' soldati morti per la patria, cominciar dal mostrare che essi non sono stati infelici, che la loro morte non è stata una sventura. Oggi al contrario: si cercherebbe d'intenerir gli uditori sopra il loro caso: il muover la compassione in tali circostanze era cosa al tutto ignota, era un vero controsenso presso gli antichi. Le loro Oraz. fun. sono tutte consolatorie.
Dionigi D'Alic. nei giudizi sopra gli scrittori antichi biasima Tucidide per aver preso un argomento di storia che conteneva le sventure della sua patria (Atene), e loda al paragone Erodoto per aver preso a tema le vittorie de' greci sui barbari. Anche nelle storie questi rispetti, e a' tempi di Dionigi.
(Firenze 29. Giugno, dì di S. Pietro, e mio natalizio. 1828.)
Solone appo Erodoto 1. c.32. parlando a Creso della costui prosperità chiama la divinità invidiosa ?????(????(??((? (cioè (????????(?).
(29. Giu. 1828.)
Paul-Louis Courier, Lettre à M. Renouard, libraire, sur une tache faite à un manuscrit de Florence, parlando del Longo di Amyot, da lui corretto nei luoghi dove la traduzione non rispondeva al testo, e supplito colla traduzione nuova del frammento fiorentino: Mais ce n'est pas seulement le grec et le français qui m'ont servi à terminer cette belle copie (la traduzione d'Amyot), après avoir si heureusement [4310]rétabli l'original (cioè completato il testo colla scoperta del supplemento fiorentino); ce sont encore plus les bons auteurs italiens, d'où j'ai tiré (per questo lavoro) plus que des nôtres, et qui sont la vraie source des beautés d'Amyot; car il fallait, pour retoucher et finir le travail d'Amyot, la réunion assez rare des trois langues qu'il possédait et qui ont formé son style.
(Fir. 30. Giug. 1828.)
Una donna di 20, 25 o 30 anni ha forse più d'attraits, più d'illecebre, ed è più atta a ispirare, e maggiormente a mantenere, una passione. Così almeno è paruto a me sempre, anche nella primissima gioventù: così anche ad altri che se ne intendono (M. Merle). Ma veramente una giovane dai 16 ai 18 anni ha nel suo viso, ne' suoi moti, nelle sue voci, salti ec. un non so che di divino, che niente può agguagliare. Qualunque sia il suo carattere, il suo gusto; allegra o malinconica, capricciosa o grave, vivace o modesta; quel fiore purissimo, intatto, freschissimo di gioventù, quella speranza vergine, incolume che gli si legge nel viso e negli atti, o che voi nel guardarla concepite in lei e per lei; quell'aria d'innocenza, d'ignoranza completa del male, delle sventure, de' patimenti; quel fiore insomma, quel primissimo fior della vita; tutte queste cose, anche senza innamorarvi, anche senza interessarvi, fanno in voi un'impressione così viva, così profonda, così ineffabile, che voi non vi saziate di guardar quel viso, ed io non conosco cosa che più di questa sia capace di elevarci l'anima, di trasportarci in un altro mondo, di darci un'idea d'angeli, di paradiso, di divinità , di felicità . Tutto [4311]questo, ripeto, senza innamorarci, cioè senza muoverci desiderio di posseder quell'oggetto. La stessa divinità che noi vi scorgiamo, ce ne rende in certo modo alieni, ce lo fa riguardar come di una sfera diversa e superiore alla nostra, a cui non possiamo aspirare. Laddove in quelle altre donne troviamo più umanità , più somiglianza con noi; quindi più inclinazione in noi verso loro, e più ardire di desiderare una corrispondenza seco. Del resto se a quel che ho detto, nel vedere e contemplare una giovane di 16 o 18 anni, si aggiunga il pensiero dei patimenti che l'aspettano, delle sventure che vanno ad oscurare e a spegner ben tosto quella pura gioia, della vanità di quelle care speranze, della indicibile fugacità di quel fiore, di quello stato, di quelle bellezze; si aggiunga il ritorno sopra noi medesimi; e quindi un sentimento di compassione per quell'angelo di felicità , per noi medesimi, per la sorte umana, per la vita, (tutte cose che non possono mancar di venire alla mente), ne segue un affetto il più vago e il più sublime che possa immaginarsi.
(Fir. 30. Giu. 1828.)
DANSKE FOLKEEVENTYR. Contes populaires des Danois; recueillis per M. Winther. 1re part.; Copenhague; 1823. Récemment M. Thiele a publié 2 volumes de traditions et croyances populaires des Danois. Le recueil de M. Winther est à peu près du même genre. L'auteur a recueilli les contes qui amusent le paysan pendant les longues soirées d'hiver; il est assez remarquable que les Danois se soient appropriés de bonne heure les contes et [4312]fables des anciens, en transportant la scène sur leur territoire; c'est ainsi que le héros du conte d'Apulée, l'Âne d'or, est devenu un bondekard, ou jeune paysan danois, sous le nom de Hans: le principal personnage de la fable d'Amour et Psyché s'est transformé en prince Hvidbjaern (ae) dans lequel les Grecs auraient de la peine à reconnaître leur Amour. Les contes des Fées qui, dans l'ouvrage de Perrault, ont presque tous un caractère français, deviennent également danois sur les bords de la Baltique: Cendrillon est transformée en Kokketoes (oe), etc. D-G. (Depping). Bulletin Universel des sciences et de l'industrie, publié sous la direction de M. le B.on de Férussac. 7me Section. Bulletin des sciences historiques, antiquités, philologie. 1re année; 1824; Avril. tome 1r article 241. p.209-10.
(Firenze. 23. Luglio. 1828.)
M. Bredsdorff (Om Rune skriften oprindelse. i.e. Sur l'origine des caractères runiques; par Jacq. Hornemann Bredsdorff. In-4. 19 pag. Copenhague 1822.) pense que l'alphabet runique est dérivé de l'alphabet moesogothique (oe), dont on attribue l'invention à l'evêque Ulphilas, qui s'en servit pour écrire sa traduction du Nouveau-Testament, au 4e siècle. Bulletin de Férussac, lieu cité ci-dessus, art.243. 244. p.211.
(23. Luglio. 1828.). V. p.4362.
De invidia, diis ab Herodoto et aequalibus attributa, pauca commentatus est P. M"ller. 31. p. In-4. Copenhague. Bulletin de Férussac, l.c. art.279. p.240.
(24. Luglio. 1828.)
Da applicarsi alle mie riflessioni sopra Omero e l'epopea. [4313]Avant de passer aux ouvrages d'Homère, l'auteur (Ideen über Homer, etc. Idées sur Homère et sur son époque; par C. E. Schubarth. In-8° de 364 pag.; Breslau; 1821.) dépeint (p.108-134.) le caractère et les moeurs des deux nations qui combattent devant Troie. Il résulte de ce parallèle ...
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