[Pagina precedente]... della medesima, fugge la vita, segue la morte; il che egli non fa nè può fare mai, nè pure un momento, verso la sua propria felicità , ossia piacere, da un lato, e la sua propria infelicità dall'altro; nè anche quando egli sia pazzo e furioso; nel quale stato bene egli talvolta volontariamente si uccide, ma non lascia mai di amare sopra ogni cosa e proccurare altresì quello che egli giudica essere sua felicità , e sua maggiore felicità .
(5-6. Aprile. 1825.)
Sa-v-ona. Molti antichi, come G. Villani (per es. l.7. c.23.) Sa-ona, come Faenza anche oggi per Faventia, dicendosi però dal Guicc. e altri antichi Faventino per Faentino, del che altrove.
(6. Aprile. 1825.)
[4133]Diminutivi positivati. ?????-?????. V. Du Cange Gloss. graec. e Fabric. B. G. ed. vet. t.7. p.682. not. a. Probabilmente corrotto da Domna (siccome il Nonne dei Francesi), come stima il Du Cange, Gloss. lat. in Nonnus, e non venuto dall'egiziano, come dice il Fabricio, se pure anche in Egitto non si usò questa medesima corruzione, o se ella non fu fatta originariamente in Egitto, cioè nella lingua copta, ma sempre però dalla voce latina Domnus e Domna. (6. Aprile. 1825.). I francesi hanno anche Nonnette, ma Nonne e Nonnette sono ambedue burleschi e disprezzativi al presente, sicchè tra l'uno e l'altro vi ha poca o niuna differenza di significato. (6. Apr. 1825.). - ???????-????????. V. l'indice graecitatis di Dione Cassio.
(8. Apr. 1825.)
Tutta la natura è insensibile, fuorchè solamente gli animali. E questi soli sono infelici, ed è meglio per essi il non essere che l'essere, o vogliamo dire il non vivere che il vivere. Infelici però tanto meno quanto meno sono sensibili (ciò dico delle specie e degli individui) e viceversa. La natura tutta, e l'ordine eterno delle cose non è in alcun modo diretto alla felicità degli esseri sensibili o degli animali. Esso vi è anzi contrario. Non vi è neppur diretta la natura loro propria e l'ordine eterno del loro essere. Gli enti sensibili sono per natura enti souffrants, una parte essenzialmente souffrante dello universo. Poichè essi esistono e le loro specie si perpetuano, convien dire che essi siano un anello necessario alla gran catena degli esseri, e all'ordine e alla esistenza di questo tale universo, al quale sia utile il loro danno, poichè la loro esistenza è un danno per loro, essendo essenzialmente una souffrance. Quindi questa loro necessità è un'imperfezione della natura, e dell'ordine universale, imperfezione essenziale ed eterna, non accidentale. Se però la souffrance d'una menoma parte della [4134]natura, qual è tutto il genere animale preso insieme, merita di esser chiamata un'imperfezione. Almeno ella è piccolissima e quasi un menomo neo nella natura universale nell'ordine ed esistenza del gran tutto. Menomo perchè gli animali rispetto alla somma di tutti gli altri esseri, e alla immensità del gran tutto sono un nulla. E se noi li consideriamo come la parte principale delle cose, gli esseri più considerabili, e perciò come una parte non minima, anzi massima, perchè grande per valore se minima per estensione; questo nostro giudizio viene dal nostro modo di considerar le cose, di pesarne i rapporti, di valutarle comparativamente, di estimare e riguardare il gran sistema del tutto; modo e giudizio naturale a noi che facciamo parte noi stessi del genere animale e sensibile, ma non vero, nè fondato sopra basi indipendenti e assolute, nè conveniente colla realtà delle cose, nè conforme al giudizio e modo (diciamo così) di pensare della natura universale, nè corrispondente all'andamento del mondo, nè al vedere che tutta la natura, fuor di questa sua menoma parte, è insensibile, e che gli esseri sensibili sono per necessità souffrants, e tanto più sempre, quanto più sensibili. Onde anzi si dovrebbe conchiudere, che essi stessi, o la sensibilità astrattamente, sono una imperfezione della natura, o vero gli ultimi, cioè infimi di grado e di nobiltà e dignità nella serie degli esseri e delle proprietà delle cose.
(9. Aprile. Sabato in Albis. 1825.). V. p.4137.
Sentido de la perdita per que siente (senziente, che si duole) la perdida. Penato per penante. Crus. in penato e in penare es. ult.
Halo as-halitans.
(10. Apr. Domenica in Albis. 1825.). Alitare.
????? ????, forse in origine diminutivo, poscia positivato.
Più tempo per del tempo, frase frequente presso i nostri (p.e. Ricordano, [4135]cap.178. Villani l.6. c.88. principio) sì del 300, sì del 500. - ??????? ?????? nello stesso senso. V. le mie osservazioni a Flegonte de mirabil. c.1. col.81. lin.2.
(14. Aprile. 1825.)
Calza-calzetta, calzino. Bruzzo-bruzzolo.
Filo-fila. Uova.
Senza altra (cioè niuna) considerazione avere dei suoi meriti. Casa Galateo c.14. opp. Ven. 1752. t.3. p.261. fine.
????, ?????, sottinteso ???, per ????, ???????. V. Toup. ad Longinum sect.2. init. sect.9. init. sect.29. fin. 44. p.234. fin. dove non approvo le sue emendazioni.
La società contiene ora più che mai facesse, semi di distruzione e qualità incompatibili colla sua conservazione ed esistenza, e di ciò è debitrice principalmente alla cognizione del vero e alla filosofia. Questa veramente non ha fatto quasi altro, massime nella moltitudine, che insegnare e stabilire verità negative e non positive, cioè distruggere pregiudizi, insomma torre e non dare. Con che ella ha purificato gli animi, e ridottigli quanto alle cognizioni in uno stato simile al naturale, nel quale niuno o ben pochi esistevano dei pregiudizi che ella ha distrutto. Come dunque può ella aver nociuto alla società ? La verità , vale a dire l'assenza di questo o di quell'errore, come può nuocere? Sia nociva la cognizione di qualche verità che la natura ha nascosto, ma come sarà nocivo l'esser purificato da un errore che gli uomini per natura non avevano, e che il bambino non ha? Rispondo: l'uomo in natura non ha nemmeno società stretta. Quegli errori che non sono necessari all'uomo nello stato naturale, possono ben essergli necessari nello stato sociale; egli non gli aveva per natura; ciò non prova nulla; mille altre cose egli non aveva in natura, che gli sono necessarie per conservar lo stato sociale. Ritornare gli uomini alla condizione naturale [4136]in alcune cose, lasciandolo nel tempo stesso nella società , può non esser buono, può esser dannosissimo, perchè quella parte della condizione naturale può essere ripugnante allo stato di stretta società , il quale altresì non è in natura. Non sono naturali molte medicine, ma come non sono in natura quei morbi a cui elle rimediano, può ben essere ch'elle sieno convenienti all'uomo, posti quei morbi. La distruzione delle illusioni, quantunque non naturali, ha distrutto l'amor di patria, di gloria, di virtù ec. Quindi è nato, anzi rinato, uno universale egoismo. L'egoismo è naturale, proprio dell'uomo: tutti i fanciulli, tutti i veri selvaggi sono pretti egoisti. Ma l'egoismo è incompatibile colla società . Questo effettivo ritorno allo stato naturale per questa parte, è distruttivo dello stato sociale. Così dicasi della religione, così di mille altre cose. Conchiudo che la filosofia la quale sgombra dalla vita umana mille errori non naturali che la società aveva fatti nascere (e ciò naturalmente), la filosofia la quale riduce gl'intelletti della moltitudine alla purità naturale, e l'uomo alla maniera naturale di pensare e di agire in molte cose, può essere, ed effettivamente è, dannosa e distruttiva della società , perchè quegli errori possono essere, ed effettivamente sono, necessari alla sussistenza e conservazione della società , la quale per l'addietro gli ha sempre avuti in un modo o nell'altro, e presso tutti i popoli; e perchè quella purità e quello stato naturale, ottimi in se, possono esser pessimi all'uomo, posta la società ; e questa può non poter sussistere in compagnia loro, o sussisterne in pessimo modo, come avviene in fatti al presente.
(18. Aprile 1825.)
?????? per luego. V. Toup. ad Longin. sect.23. init.
?????? ????. V. ib. p.229. fine. Diminutivo positivato.
(27. Apr. 1825.)
[4137]Alla p.4134. Siccome la felicità non pare possa sussistere se non in esseri senzienti se medesimi, cioè viventi; e il sentimento di se medesimo non si può concepire senza amor proprio; e l'amor proprio necessariamente desidera un bene infinito; e questo non pare possa essere al mondo, resta che non solo gli uomini e gli animali, ma niun essere vi sia, che possa essere nè sia felice, che la felicità (la quale di natura sua non potrebb'essere altro che un bene ossia un piacere infinito) sia di sua natura impossibile, e che l'universo sia di propria natura incapace della felicità , la quale viene a essere un ente di ragione e una pura immaginazione degli uomini. E siccome d'altronde l'assenza della felicità negli esseri amanti se medesimi importa infelicità , segue che la vita, ossia il sentimento di questa esistenza divisa fra tutti gli esseri dell'universo, sia di natura sua, e per virtù dell'ordine eterno e del modo di essere delle cose, inseparabile e quasi tutt'uno colla infelicità e importante infelicità , onde vivente e infelice sieno quasi sinonimi.
(3. Maggio. Festa della Invenzione della Santa Croce. 1825.). V. p.4168.
Una corona d'oro, che, secondo una tradizione degli Ungheri era discesa dal cielo, e che conferiva a chi la portava un diritto incontrastabile al trono. Robertson Stor. del regno dell'Imp. Carlo V. lib.10. traduz. ital. dal franc. Colonia 1788. t.5. p.440. Ecco pur finalmente il vero fondamento dei diritti al trono e della legittimità di tutti i Sovrani antichi e moderni. Esso consiste nella corona che portano. E chiunque la toglie loro e se la può mettere in capo, sottentra ipso facto nella pienezza dei loro diritti e legittimità .
(3. Mag. 1825.)
[4138] Pauso as forse da un antico pauo o pavo (????, ???????), pausum.
(7. Mag. 1825.)
Quanto più l'uomo cresce (massime di esperienza e di senno, perchè molti sono sempre bambini), e crescendo si fa più incapace di felicità , tanto egli si fa più proclive e domestico al riso, e più straniero al pianto. Molti in una certa età (dove le sventure sono pur tanto maggiori che nella fanciullezza) hanno quasi assolutamente perduta la facoltà di piangere. Le più terribili disgrazie gli affliggeranno, ma non gli potranno trarre una lagrima. Questa è cosa molto ordinaria. Tanta occasione ha l'uomo di farsi familiare il dolore.
(12. Maggio 1825.)
Ad ogni filosofo, ma più di tutto al metafisico è bisogno la solitudine. L'uomo speculativo e riflessivo, vivendo attualmente, o anche solendo vivere nel mondo, si gitta naturalmente a considerare e speculare sopra gli uomini nei loro rapporti scambievoli, e sopra se stesso nei suoi rapporti cogli uomini. Questo è il soggetto che lo interessa sopra ogni altro, e dal quale non sa staccare le sue riflessioni. Così egli viene naturalmente ad avere un campo molto ristretto, e viste in sostanza molto limitate, perchè alla fine che cosa è tutto il genere umano (considerato solo nei suoi rapporti con se stesso) appetto alla natura, e nella università delle cose? Quegli al contrario che ha l'abito della solitudine, pochissimo s'interessa, pochissimo è mosso a curiosità dai rapporti degli uomini tra loro, e di se cogli uomini; ciò gli pare naturalmente un soggetto e piccolo e frivolo. Al contrario moltissimo l'interessano i suoi rapporti col resto della natura, i quali tengono per lui il primo luogo, come per chi vive nel mondo i più interessanti e quasi soli interessanti rapporti sono quelli cogli uomini; l'interessa la speculazione e cognizion di se stesso come se stesso; degli uomini come parte dell'universo; della [4139]natura, del mondo, dell'esistenza, cose per lui (ed effettivamente) ben più gravi che i più profondi soggetti relativi alla società . E in somma si può dire che il filosofo e l'uomo riflessivo coll'abito della vita sociale non può quasi a meno di non essere un filosofo di società (o psicologo, o politico ec.) coll'abito dell...
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