[Pagina precedente]...isaggradevole, e nel tempo stesso decorosa sprezzatura del suo stile, scuoprono una certa magnanimità , una fiducia ed estimazion lodevole di se stesso, una generosità d'animo, non acquisita col tempo e la riflessione, ma quasi ingenita, perchè avuta fin dal principio della vita, e nata dalla considerazione altrui riscossa fin da' primi anni ed abituata. Io credo che questa tale magnanimità e di pensare e di scrivere, dico questa tale, e che non sia nè feroce, nè satirica, o mista dell'uno e dell'altro, non si troverà facilmente in iscrittori o uomini non nati nobili o di buon grado; se egli si guarderà bene. Vi si troverà sempre una differenza. Simili considerazioni si potrebbero fare intorno alla ricchezza, che suol dare allo stile un certo splendore, abbondanza, e forse scialacquo. Simili intorno alla potenza, dignità , fortuna. Simili intorno ai contrarii. Vedi Alfieri Vita sua, capo 1. principio. Messala nitidus et candidus, et quodammodo prae se ferens in dicendo nobilitatem suam. Quintiliano 10.1. (6. 1827. Epifania.). Forse Galileo non riusciva, come fece, il primo riformatore della filosofia e dello spirito umano, o almeno non così libero, se la fortuna non lo facea nascere di famiglia nobile. V. p.4419.
Dispetto e despetto, cioè disprezzato, per dispregevole.
Egli è pur certo che l'ordine antico delle stagioni par che vada pervertendosi. Qui in Italia è voce e querela comune che i mezzi tempi non vi son più, e in questo smarrimento di confini, non vi è dubbio che il freddo acquista terreno. Io ho udito dire a mio padre che in sua gioventù a Roma, la mattina di pasqua di resurrezione ognuno si rivestiva da state. Adesso chi non ha bisogno d'impegnar la camiciuola, vi so dire che si guarda molto bene di non alleggerirsi della minima [4242]cosa di quelle ch'ei portava nel cuor dell'inverno. Magalotti, Lettere familiari, parte I. lett.28. Belmonte 9. Febbraio 1683. (cento e quarantaquattr'anni fa!!). (7. 1827. Recanati.). Se i sostenitori del raffreddamento progressivo ed ancor durante del globo, se il bravo Dott. Paoli (nelle sue belle e dottissime Ricerche sul moto molecolare dei solidi) non avessero avuto o avessero da assegnare altre prove di questa loro opinione, che la testimonianza dei nostri vecchi, i quali affermano la stessissima cosa che quello del Magalotti, allegando la stessa pretesa usanza, e fissandola allo stesso tempo dell'anno; si può veder da questo passo, che non farebbero grand'effetto con questo argomento. Il vecchio, laudator temporis acti se puero, non contento delle cose umane, vuol che anche le naturali fossero migliori nella sua fanciullezza e gioventù, che dipoi. La ragione è chiara, cioè che tali gli parevano allora; che il freddo lo noiava e gli si faceva sentire infinitamente meno, ec. ec. Del resto non ha molt'anni che le nostre gazzette, sulla fede dei nostri vecchi, proposero come nuova nuova ai fisici la questione del perchè le stagioni a' nostri tempi sieno mutate d'ordine ec. e cresciuto il freddo; e ciò da alcuni fu attribuito al taglio de' boschi del Sempione ec. ec. Quello che tutti noi sappiamo, e che io mi ricordo bene è, che nella mia fanciullezza il mezzogiorno d'Italia non aveva anno senza grosse nevi, e che ora non ha quasi anno con nevi che durino più di poche ore. Così dei ghiacci, e insomma del rigore dell'invernata. E non però che io non senta il freddo adesso assai più che da piccolo.
L'amor della vita e il timor della morte non sono innati per se: altrimenti niuno s'ammazzerebbe. Innato è l'amor di se, e quindi del proprio bene, e l'odio del proprio male: e però niun può non amarsi, nè amare il suo creduto male ec. È però naturale che ogni vivente giudichi la vita il suo maggior bene e la morte il maggior male. E infatti così egli giudica infallibilmente, se non è molto allontanato dallo stato di natura. Ecco dunque che la natura ha veramente provveduto alla conservazione, rendendo immancabile questo error di giudizio; benchè non abbia ingenerato [4243]un amor della vita. Esso è un ragionamento, non un sentimento: però non può essere innato. Sentimento è l'amor proprio, di cui l'amor della vita è una naturale, benchè falsa conclusione. Ma di esso altresì è conclusione (bensì non naturale) quella di chi risolve uccidersi da se stesso.
(8. 1827.)
Senza più oltre o più avanti o innanzi pensare, e simili, vagliono spesse volte semplicemente senza punto pensare. Così senza pensar più là . Così senza più, o solo, o accompagnato con verbi (senza più pensare) o con nomi, equivale spesso a senza nulla o niuno, appunto come in ispagn. mas per niuno, del che altrove. Senza pensar più oltre. V. Firenzuola Ragionam. ed. Classici ital. p.229. cioè penult. Bembo Asolani p.10. col.1. fin., nelle sue opp.
Della diffusione della lingua italiana presso gli stranieri nel 500. v. anche Speroni Oraz. in lode del Bembo. Tasso opp. ed. del Mauro, t.9. p.148. lett.238. Lettere di Principi o a Principi Ven. 1573. carta 226. versa.
Disprezzo e ignoranza dei greci per la letteratura latina. V. Speroni Diall. ed. Ven. 1596. p.420. - Si potrebbero in ciò i greci assomigliare ai francesi.
Trovasi anco in inglese lo scambio della s coll'aspirazione. Salle franc. - hall ingl.
Altro per niuno o niente. Firenzuola Ragionamenti, ed. dei Classici ital. p.89. lin.2. p.230. cioè ult.
Tu profferisti chiunque con due sillabe; la qual parola non mi voglio ricordare che si truovi se non con tre. Firenzuola loc. cit. qui sopra, p.84. Vuol dire non mi vuol venire alla mente, non mi posso ricordare. Grecismo. Simile alla p.162. Lucrezia, chè così mi voglio ricordar che fusse il nome della vedova. Cioè così mi vuol dire, così mi dice, la memoria; così mi pare, mi vien fatto, di ricordarmi.
(Domenica 14. 1827.)
Mia, tua, sua plurali fiorentini, e antichi.
Alla p.4156. A noi non pare che così fatti sfoghi, questo gridare, questo pianger forte, strapparsi i capelli, gittarsi in terra, voltolarsi, dar del capo nelle pareti, cose usate nelle sventure dagli antichi, usate dai selvaggi, usate tra noi oggidì dalle genti del volgo, possano essere di niun conforto al dolore; e [4244]veramente a noi non sarebbero, perchè non ci siamo più inclinati e portati dalla natura in niun modo; e quando anche le facessimo, le faremmo forzatamente, sarebbe studio e non natura, e però cosa inutile: tanto è mutata, vinta, cancellata in noi la natura dall'assuefazione. Ma egli è però certo che questi atti, insegnati dalla natura medesima (il che non si può volgere in dubbio), sono a chi li pratica naturalmente, un conforto grandissimo ed un compenso molto opportuno nelle calamità . Quella resistenza che l'animo fa naturalmente alla sciagura e al dolore, è il più penoso che abbiano le disavventure, è il maggior dolore che prova l'uomo. Quando l'animo è domato, ogni calamità , per grave che sia, è tollerabile. Questo domar l'animo, questo ridurlo a cedere alla necessità e conformarsi allo andamento e alla condizion delle cose, lo fa in noi il tempo, il quale però il Voltaire chiama consolatore. Ma lo fa con lunghezza; e quella prima resistenza, oltre al durar di più, ha questo ancora di più doloroso, che ella si rivolge e si esercita contro di noi stessi; ella è dell'animo all'animo. Laddove nei selvaggi e nelle persone volgari, ella si esercita contro le cose esterne, per così dire; e siccome le sue operazioni sono più vive, così ella langue e manca più presto. Ella abbatte il corpo, e però travaglia assai meno l'animo; bensì perchè col corpo anco l'animo è abbattuto, perciò quelle tali persone, dopo quegli atti, si trovano aversi domato l'animo e ridotto, per dir così, alla dedizione, da loro stessi, senza aspettare il tempo; onde quando si risvegliano da quei furori, da quelle smanie, hanno già l'animo accomodato a sopportar la sventura, a poterla guardar fermamente in viso, senza esser però coraggiosi. Ed è già notato e notasi giornalmente che nei plebei il dolore delle grandi sventure dura assai meno che nelle persone colte. Sicchè quegli sfoghi sono veramente una medicina quasi un narcotico preparata dalla [4245]natura medesima, perchè l'uomo potesse sopportare i suoi mali più leggermente. E noi siamo ridotti a non saper nè pure intendere come essi giovino a quelli che naturalmente gli vediamo esercitare. Ed è questo un altro beneficio della filosofia e della civiltà , che pretendendo insegnarci a sopportare le calamità meglio che non fa a noi la natura, e predicandoci il disprezzo del dolore, e facendoci vergognar di mostrarlo, come di cosa indegna di uomini, e da vigliacchi e indotti; ci ha privati di quel soccorso che la natura ci aveva apprestato, molto più efficace di qualsivoglia dei loro. V. p.4283.
(Recanati 15. 1827. S. Paolo, primo eremita.)
Alla p.4184. Molte cose si trovano presso gli antichi, come sarebbe questa opinione sopraddetta, che appartengono e fanno fede ad una squisita umanità , molto superiore ad ogn'idea moderna. Di tal genere era l'uso di quegli?(????? tanto famosi presso i greci, e tanto usitati, fino a nascerne, come di ogni buona e umana istituzione o usanza, abusi che oggi paiono stranissimi. Veggansi nel Casaubono, ad Atenae. libro 7. capo 5. fin. (v. p.4469.) E veggansi pure nel medesimo, libro 6. capo 19. princip. l'umanità con cui erano trattati i servi, cioè schiavi, dagli Ateniesi, e gli strani diritti che erano loro dati per le leggi di quella repubblica. V. la p.4280, capoverso 3. (15. 1827.). V. p.4286.
Melato, mellitus, per melleus o dulcis. Spedito, espedito, expeditus ec. Spigliato. Sforzato, sforzatamente (esforzado). Crusca.
Strascicare.
Attero, attritum-attritare, contritare. Crusca. V. Forcell. Gloss. ec.
Taranta. Speroni Dial. ed. Ven. 1596. p.135. - Tarantola. Tarantella. Salvini. V. Diz. dell'Alberti. Tarande-tarantule. Tarantolato. V. gli spagn. ec.
?(???????(?. v. i Lessici e Casaub. ad Athenae. Nome di pesce. ??(???????????(?. v. Casaub. ib. lib.7. c.10. init. c.20. fin. (???????(??(???? ib. c.12. med.
In proposito del Sassetti, primo notificatore della lingua sascrita, come ho detto altrove, osservo che anche qui si verifica quella osservazione, che agl'italiani par destinato il trovare, e il lasciar poi agli altri l'usare e il perfezionare, e il raccoglier la gloria e l'opinione ancora della scoperta.
(19. 1827.)
(?-gli antichi ?(?, ?(????? ec. V. Ateneo, e i Lessici, coi composti e derivati ec.
[4246]Superstiziosa imitazione e venerazione del Petrarca nel 16. secolo del che altrove ec. V. nelle opp. del Tasso le Opposizioni al Sonetto Spirto, leggiadre rime ec. e la Risposta del Tasso. (ed. del Mauro, t.6.). V. ancora il Guidiccioni nelle Lett. di div. eccellentiss. uom. Ven. Giolito. 1554. p.43-48.
Sevum, sevo-sego. Rovo-rogo.
Trasognato per trasognante. Straboccato, traboccato per traboccante, o che suol traboccare.
????(?????(??(????(????(????? (cioè ?(????, debet ec.) ????(??(?(???????(??(?????? (vuole, tende per sua natura a fare) Plutar.????(????????(??? de amicorum multitudine, p.95. A. V. Casaubon. ad Athenae. l.7. C.16. Volere assolutamente per dovere, vedilo nelle Giunte Veronesi.
(Recanati. 25. 1827.)
Preciado spagn. per prezioso, come noi pregiato. Continuato o continovato per continuo, e così continué ec.
Vittuaglia, vittuaria-vittovaglia, vettovaglia, vettuvaglia. Vettuaglia, Ricordano cap.125. 133. M. Vill. ap. Crus. in Casale. Capua, Padua, Mantua, coi derivati Capova, Padova, Mantova ec. ec. Balduino e Baldovino. Menovare, cioè menuare. v. Crus.
Auto, riceuto ec. negli antichi, come Ricordano ec. omesso il v, per avuto ec.
Monte Guarchi, in Ricordano spesso, per Montevarchi.
Da mutolo per muto, ammutolare, ammutolire per ammutare, ammutire disusati.
Nutrire per avere (io nutro speranza ec.). V. Crus. franc. spagn. ec. -???(?? appunto per?(??. Casaub. ad Athenae. l.7. c.18. fin.
Disguizzolare. Parlottare. Borbottare.
Digiuna plur. per quattro tempora. Dino Comp...
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