[Pagina precedente]...ra stessa ed il tempo, che un abito di tener continuamente represso e prostrato l'amor proprio, perchè l'infelicità offenda meno e sia tollerabile e compatibile colla calma. Quindi un'indifferenza e insensibilità verso se stesso maggior che è possibile. Or questa è una perfetta morte dell'animo e delle sue facoltà . L'uomo che non s'interessa a se stesso, non e capace d'interessarsi a nulla, perchè nulla può interessar l'uomo se non in relazione a se stesso, più o men vicina e palese, e di qualunque sorte ella sia. Le bellezze della [4106]natura, la musica, le poesie più belle, gli avvenimenti del mondo, felici o tragici, le sventure o le fortune altrui, anche dei suoi più stretti, non fanno in lui nessuna impressione viva, non lo risvegliano, non lo riscaldano, non gli destano immagine, sentimento, interesse alcuno, non gli danno nè piacere nè dolore, se bene pochi anni avanti lo empievano di entusiasmo e lo eccitavano a mille creazioni. Egli stupisce stupidamente della sua sterilità e della sua immobilità e freddezza. Egli è divenuto incapace di tutto, inutile a se e agli altri, di capacissimo ch'egli era. La vita è finita quando l'amor proprio ha perduto il suo ressort. Ogni potenza dell'anima si estingue colla speranza. Voglio dire colla disperazione placida, perchè la furiosa è pienissima di speranza, o almeno di desiderio, ed anela smaniosamente alla felicità nell'atto stesso che impugna il ferro o il veleno contro se medesimo. Ma il desiderio è più spento che sia possibile in un'anima avvezza a vederli sempre contrariati, e ridotta o per riflessione o per abito o per ambedue a sopirli e premerli. L'uomo che non desidera per se stesso e non ama se stesso non è buono agli altri. Tutti i piaceri, i dolori, i sentimenti e le azioni che gl'inspiravano le cose dette di sopra, cioè la natura e il resto, si riferivano in un modo o nell'altro a se stesso, e la loro vivezza consisteva in un ritorno vivo sopra se medesimo. Sacrificandosi ancora agli altri, non d'altronde egli ne aveva la forza se non da questo ritorno e rivolgimento sopra di se. Ora [4107]senz'alcuna ferocia, nè misantropia nè rancore nè risentimento, senza neppure egoismo, quell'anima già poco prima sì tenera è insensibile alle lagrime, inaccessibile alla compassione. Si moverà anche a soccorrere, ma non a compatire. Beneficherà o sovverrà , ma per una fredda idea di dovere o piuttosto di costume, senza un sentimento che ve lo sproni, un piacere che gliene venga. La noncuranza vera e pacifica di se stesso è noncuranza di tutto, e quindi incapacità di tutto, ed annichilamento dell'anima la più grande e fertile per natura.
Questo medesimo effetto che produce la infelicità , lo produce, come ho detto, l'abito di non provare o non vedersi d'innanzi alcuna apparenza di felicità , alcun dolce futuro, alcun piacere grande o piccolo, alcuna fortuna della giornata o durevole, alcuna carezza e lusinga degli uomini o delle cose. L'amor proprio non mai lusingato, si distacca inevitabilmente dalle cose e dagli uomini (fosse pur sommamente filantropo e tenero), e l'uomo abituandosi a non veder nella vita e nel mondo nulla per se, si abitua a non interessarvisi, e tutto divenendogli indifferente, il più gran genio diventa sterile e incapace anche di quello di cui sono capacissimi gli animi per natura più poveri, infecondi, secchi ed inetti. (29. Giugno. Festa di S. Pietro. giorno mio natalizio. 1824.). Il che sempre più privandolo d'ogni illusione e successo dell'amor proprio, sempre più conferma in lui l'abito di noncuranza, e d'inettitudine e spiacevolezza. Trista condizione del genio, tanto più facile a cadere in questo stato (che certo [4108]non è strettamente proprio se non di lui), quanto da principio il suo amor proprio è più vivo, e quindi più avido e bisognoso di lusinghe e piaceri e speranze, meno facile ad apprezzare e soddisfarsi di quelle e quelli che agli altri bastano, e più sensibile alle offese e punture che i volgari non sentono.
(29. Giugno. Festa di S. Pietro. dì mio natalizio. 1824.). V. p.4109.
?????? o ??????-frissonner. Notinsi in questo verbo due cose. La derivazione manifesta dal greco, e la forma diminutiva o frequentativa.
(30. Giugno. 1824. Anniversario del mio Battesimo.)
Della lingua universale, o piuttosto scrittura universale progettata da alcuni filosofi, vedi Thomas Éloge de Descartes, Oeuvres, Amsterdam 1774, t.4. p.72.
(2. Luglio, Festa della Visitazione di Maria Vergine Santissima. 1824.)
Come tutte le facoltà dell'uomo siano acquisite per mezzo dell'assuefazione, e nessuna innata, fin quella di far uso de' sensi, da' quali ci vengono tutte le facoltà ; insomma, come l'uomo impari a vedere, e nascendo non abbia questa facoltà , benchè egli non si accorga mai d'impararla, e naturalmente creda che ella sia nata con lui, vedi fra gli altri il Thomas loc. cit. qui sopra, p.59-60.
(2. Luglio. dì della S. Visitazione di Maria. 1824.)
C'est ainsi que les grands Hommes découvrent, comme par inspiration, des vérités que les hommes ordinaires n'entendent quelquefois qu'au bout de cent ans de pratique et d'étude; et celui qui démontre ces vérités après eux, acquiert encore une gloire immortelle. Thomas [4109]loc. cit. qui dietro, p.37. Sa géometrie étoit si fort au dessus de son siècle qu'il n'y avoit réellement que très peu d'hommes en état de l'entendre. C'est ce qui arriva depuis à Newton; c'est ce qui arrive à presque tous les grands hommes. Il faut que leur siècle coure après eux pour les atteindre. Id. ib. not.22. p.143.
(2. Luglio. Festa della Visitazione di Maria Santissima. 1824.)
Alla p.2811. marg. E così anche ????? potrà esser fatto da un preterito di ??? o ??????, da ????? ec.
(2. Luglio. Festa della Visitazione della Beatissima Vergine Maria. 1824.)
Alla p.4008. fine. Così il bul in bbi, (nebula, nebbia), ec. Insomma generalmente l'ul in i, con duplicazione della consonante precedente, se la sillaba in latino è pura come in ne-BU-la, e non impura, come in misculare (mi-SCU-lare), onde si fa mi-SCHI-are, e non mis-CCHI-are.
(3. Luglio. 1824.)
Alla p.4108. Come l'uomo non è capace d'imprender nulla che non abbia in qualunque modo per fine se stesso, così i cattivi successi continui in quanto a se stesso, o la continua mancanza di successi qualunque dell'amor proprio, scoraggisce naturalmente l'uomo dall'intraprender più nulla, nè anche il sacrifizio di se stesso, e lo rende incapace e inabile a tutto per la mancanza di coraggio. Lo scoraggimento è proprio e facile sopra tutto agli animi dilicati e grandi. (3. Luglio. 1824.). V. p. seg.
Anche tra i greci fu in uso in certi luoghi lo spettacolo di combattenti mercenarii. V. Luciano sulla fine del Toxaris sive de Amicitia, opp. 1687. t.2. p.72. Furono poi introdotti a' tempi romani in alcune città greche (d'Asia o d'Europa) i circhi e i ludi gladiatorii [4110]usati in Roma. E forse di questi tempi intende Luciano di parlare, anzi certo, poichè dal resto del Dialogo apparisce che egli finge il Dialogo a' tempi romani. Del rimanente, v. Fusconi Dissertat. de Monomachia Rom. 1821. p.9. not.43. (4. Luglio. Domenica. 1824. infraottava della Visitazione di Maria Vergine Santissima.). V. anche Luciano 2. 111.
Calcagna
(4. Luglio. 1824.)
Alla pag. antecedente. Un tal uomo ha tanto coraggio a operare o a risolversi di operare quanto chi è certo o quasi certo di non conseguire il fine di una operazione particolare.
(4. Luglio. Domenica infraottava della Visitazione. 1824.)
Il titolo di divino (divinamente ec.) solito darsi in greco, in latino e nelle lingue moderne per una conseguenza dell'uso di quelle, agli uomini e alle cose singolari, eccellenti ec. ancorchè in niente sacre nè appartenenti alla Divinità , non avrebbe certamente avuto mai principio nè luogo nel Cristianesimo. Esso uso è un residuo dell'antica opinione che innalzava gli uomini poco più sotto degli Dei ec., del che altrove in più luoghi.
(6. Luglio. 1824.)
Al detto altrove circa l'uso latino conforme all'italiano di usare pleonasticamente il pronome dativo sibi, v. anche il Forcell. in mihi, tibi, nobis e simili altri dativi di pronomi personali.
(7. Luglio. infraottava della Visitazione di Maria Vergine Santissima. 1824.)
Diminutivi positivati. Sommolo. V. la Crusca.
(7. Luglio. 1824.)
[4111] Expérimenté (instruit par l'expérience) inexpérimenté (qui n'a point d'expérience).
(11. Luglio. Domenica. 1824.)
Diminutivi positivati. Myrtus, - mortella (se è però la stessa pianta). V. franc. spagn. ec. ec.
(11. Luglio. Domenica. 1824.)
Quando noi diciamo che l'anima è spirito, non diciamo altro se non che ella non è materia, e pronunziamo in sostanza una negazione, non un'affermazione. Il che è quanto dire che spirito è una parola senza idea, come tante altre. Ma perocchè noi abbiamo trovato questa parola grammaticalmente positiva, crediamo, come accade, avere anche un'idea positiva della natura dell'anima che con quella voce si esprime. Nel metterci però a definire questo spirito, potremo bene accumulare mille negazioni o visibili o nascoste, tratte dalle idee e proprietà della materia, che si negano nello spirito, ma non potremo aggiungervi niuna vera affermazione, niuna qualità positiva, se non tratta dagli effetti sensibili, e quindi in certa guisa materiali, (il pensiero, il senso ec.) che noi gratis ascriviamo esclusivamente a esso spirito. E quel che dico dell'anima dico degli altri enti immateriali, compreso il Supremo. (11. Luglio. Domenica. 1824.). - Tanto è dire spirituale, quanto immateriale; questa, voce affatto negativa grammaticalmente, quella ideologicamente.
(11. Luglio. Domenica. 1824.)
Diminutivi greci positivati. ????? o ??????-????????? o ???????? V. Scapula e Luciano opp. Amsterdam 1687. t.2. p.98.99. più volte.
(12. Luglio. 1824.)
[4112] Sensato per sentito o per sensibile (come invitto per invincibile ec. del che altrove) quasi da un senso as continuativo di sentio sensum, vedilo nella Crusca. Vedi ancora Forcell. Gloss. ec.
(14. Luglio. 1824.)
Al detto altrove che i derivativi latini si formano dagli obbliqui e non dal retto dei nomi originali, aggiungi una prova evidente più che mai Jovialis e simili da Juppiter Jovis. (Vi saranno ancora altri simili esempi da simili nomi). Così in greco ????? da ???? ????. (Plat. in Phaedro ec.) (14. Luglio. 1824.). Anche in greco i derivativi sono sempre, se non erro, dal genitivo (o noto o ignoto, o di un dialetto o comune ec.) ??????? non è da ?????? (gen. ??????) ma o da ??????? (genit.), o piuttosto è come ????????? da ????? ec. ec.
(15. Luglio. 1824.)
Diminutivi positivati. ?????????????. (V. Lucian. opp. 1687. 2. 83.) ?????? ????. Così ginocchio è diminutivo positivato di genu.
(14. Luglio. 1824.)
Descansado, che ha riposato, detto di persona. Cervantes, Novelas exemplares, Milan. p.580.
(15. Luglio. 1824.)
Adultus o venga da adolesco o da adoleo è originariamente participio neutro passato, di un verbo neutro.
(15. Luglio. 1824.)
Diminutivi positivati. Muscus-muschio.
Desatentado. Cervantes loc. cit. qui sopra p.605.
(16. Luglio. 1824.)
[4113] Entreabrir, entre oscuro (Cervantes loc. cit. qui dietro, p.588.) e simili (v. il Diz. spagnuolo in entre...) aggiungasi al detto altrove dell'antico uso d'inter per fere ec., conservato ne volgari moderni. Così in franc. entrevoir ec. ec.
(16. Luglio. 1824.)
Apercebido, di cui altrove, notisi che non è participio di verbo neutro, ma attivo, ed è participio passivo.
(17. Lugl. 1824.)
Del bello esterno come sia relativo vedi un luogo insigne di Cicerone De Natura Deorum 1. 27-29.
(19. Luglio. 1824.)
Diminutivi greci positivati. ????????????????.
(20. Luglio 1824.)
Frequentativo. Tâter - tâtonner coi derivati.
(20. Lugl. 1824.)
Diminutivi positivati. Capella, capretta coi derivati, metafore ec. Così oveja (ovicula) per ovis. Così ouaille ec. Così vitello per vitulus. Così agnello, agneau per agnus. Così mulet per...
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