[Pagina precedente]... soppressare ec. e v. gli spagnuoli.
(17. Magg. 1824.)
Marceo, ant. marcitum; marcire marcito; marchito spag. - marchitarse, marchitable.
(18. maggio. 1824.)
?????? nel modo e senso dello spagnuolo luego, del che altrove. Luciano opp. 1687. t.1. p.897. ????????? ???? ??? ???? ib.
(18. Maggio. 1824.)
[4090] Altro per niuno, del che altrove. Senz'altro mezzo. Speroni Dialoghi, Ven. 1596. p.275. verso il fine. (20. Maggio. 1824.). Nel Petrarca Canz. Una donna più bella ec. strofe 3. Altro volere o disvoler m'è tolto; altro sta per alcuna cosa, nulla, quidquam.
(20. Maggio 1824.)
Si riprende l'uomo che non sia mai contento del suo stato. Ma in vero questo non è che la sua natura sia incontentabile, ma incapace di esser felice. Se fossero veramente felici, il povero, il ricco, il Re, il suddito si contenterebbero egualmente del loro stato, e l'uomo sarebbe contento come possa essere qualunque altra creatura, perch'egli è altrettanto contentabile.
(20. Maggio. 1824.)
Rodo-rosum-rosicchiare, rosecchiare, rosicare (volg.). Frequentativo o diminutivo.
(20. Maggio. 1824.)
Alla p.4081. L'uomo sarebbe onnipotente se potesse esser disperato tutta la sua vita, o almeno per lungo tempo, cioè se la disperazione fosse uno stato che potesse durare.
(21. Maggio. 1824.)
S'è veduto altrove come la irregolarità e i vizi palpabili delle ortografie straniere vengano in gran parte dall'aver voluto accomodare le loro scritture alla latina. Ora egli è pur curioso che gli stranieri vogliano poi pronunziare la scrittura latina nel modo in cui pronunziano la propria. Questa non corrisponde alla parola pronunziata perchè l'hanno voluta scrivere alla latina, e le parole latine le vogliono poi pronunziare [4091]colla stessa differenza dalla scrittura, che usano nel pronunziar le loro parole, perchè sono male scritte. Ma se esse sono male scritte, le latine sono scritte bene; però s'hanno a pronunziar come sono scritte e non altrimenti; e gli stranieri mostrano di non ricordarsi che essi non pronunziano diversamente da quel che scrivono, se non perchè vollero scrivere alla latina, e che l'origine di questa differenza tra il loro scritto e il parlato, e della loro scrittura falsa, fu l'aver voluto scrivere alla latina mentre parlavano in altro modo, e l'aver voluto seguitare materialmente la scrittura latina, non falsa ma vera. Ora avendola malamente voluta prendere per modello, e con ciò falsificata la loro scrittura, pretendono poi per questa cagione medesima che quella sia falsa come la loro, e perchè la loro è falsa perciocchè segue quella; il che è ben lepido. (21. Maggio. 1824.). Quelli poi che non hanno tolta l'ortografia loro da' latini (sebben tutti in parte l'han tolta o immediatamente o mediatamente), e quelli che l'han tolta, in quelle cose in cui la loro non deriva da quella, ma è pur viziosa manifestamente perchè ripugna al lor proprio alfabeto, tralascia lettere e sillabe che s'hanno a profferire, ne scrive che non s'hanno a pronunziare; come mai, dico, questi tali hanno da credere che l'ortografia latina sia e viziosa perchè la loro lo è, e macchiata di quei vizi appunto che ha la loro, diversissimi poi in ciascuna, di modo che ciascuna nazione straniera pronunzia il latino diversamente?
(21. Mag. 1824.)
[4092]Alla p.4064. Da questo ragionamento segue che la maggior parte degli altri animali (poichè la vita naturale dell'uomo è delle più lunghe, e il suo sviluppo corporale è de' più tardi)265 sono anche per questa parte naturalmente più felici di noi, tanto più quanto il loro sviluppo è più rapido, al che corrisponde in ragion diretta la brevità della vita, perchè il Buffon osserva ch'ella è tanto più breve quanto più rapida è la vegetazione dell'animale (s'intende del genere, e spesso anche degl'individui rispetto al genere) l'accrescimento del suo corpo e facoltà, le sue funzioni animali per conseguenza, e il giungere allo stato di perfezione e maturità; e viceversa. Questo si osserva per lo meno in quasi tutti i generi anche vegetali. (Buffon, nel capitolo, se non erro, della Vecchiezza). Ond'è che p.e. i cavalli e poi di mano in mano gli altri di sviluppo più rapido, sino a quegl'insetti che non vivono più d'un giorno (v. il mio Dial. d'un Fisico e di un Metafisico) sieno tutti di mano in mano più e più disposti naturalmente alla felicità che non è l'uomo, nonostante che la brevità della vita loro sia nella stessa proporzione; la qual brevità o lunghezza non aggiunge e non toglie nè cangia un apice nella felicità d'alcun genere di animali (nè anche negl'individui), come ho dimostrato nel Dial. succitato e nel pensiero a cui questo si riferisce.
(21. Maggio. 1824.)
[4093] Le mulina. Crus. e Guicc. t.3. p.361. bis.
(23. Maggio. Domenica. 1824.)
Diminutivi positivati. Sciurus-écureuil (ant. escureuil da sciuriculus o altro simile), schiratto (Pozzi nel Bertoldo; noi volgarmente schiriatto) diminutivo o disprezzativo, scoiatto (Pulci nella Crus.), scoiattolo sopraddiminutivo, o sopraddisprezzativo. Gli spagnuoli harda, hardilla.
(23. Maggio. Domenica. 1824.)
En tanto in ispagnuolo (del che altrove) o spesso o sempre vuol dire infino a tanto, come nelle Novelas exemplares di Cervantes p.79. ediz. citata alcuni pensieri più sopra.
(23. Maggio. Domenica. 1824.). Così noi mentre per finchè.
Retinere per ricordarsi, come in ital. ec. ritenere. Così anche il suo continuativo retentare sta espressamente per ricordarsi in un luogo di Cic. de Divinat. l.2. c.29. tradotto da Omero, il quale vedi, Il. 2 v.301.
(23. Maggio. 1824. Domenica.)
Inconsideratus per non considerans, qui considerare non solet. Vedi Forcell. e Cic. de Divinat. 2. c.27. Così consideratus nel senso contrario. V. Forcellini.
(23. Maggio. Domenica. 1824.)
Cieo cies civi citum (diverso da cio iis ivi itum)266 co' suoi composti, aggiungasi ai verbi della seconda che hanno il perfetto in vi, e il supino in itum breve, de' quali altrove. E v. il Forcell. in cieo fine.
(27. Maggio. Festa dell'Ascensione. 1824.)
[4094] Periurus sembra esser contrazione di periuratus o peieratus che pur si trovano, benchè in altro senso (per peiero si disse anche periero e periuro). Così iuratus, coniuratus ec. in sensi analoghi. Exanimus e inanimus debbono esser contrazioni di exanimatus e inanimatus, che pur si trovano. Similmente semianimus di un semianimatus dal semplice animatus. Innumerus debb'esser contrazione di un innumeratus dal semplice numeratus, con significato d'innumerabilis, come invictus per invincibilis e tanti altri simili, di cui altrove, e v. il Forc. in illaudatus. Queste contrazioni aggiungansi al detto d'inopinus necopinus ec. dove si prova che anche in latino vi fu il costume di contrarre il participio della prima colla detrazione delle lettere at, costume frequentatissimo nell'italiano anche in voci per niente latine di origine.
(27.-28. Maggio. 1824.)
Non solo gli antichi avevano tanto alta idea della natura umana che la stimavano poco inferiore alla divina, come ho detto altrove parlando de' semidei, ma credevano ancora le anime nostre parenti, emanazioni, parti della divinità, divine esse stesse, e quasi dee (?? ?? ???? ?????). Della quale opinione non già volgare, anzi propria de' filosofi, e questi molti e diversi, vedi fra i mille luoghi degli antichi, Cic. de Divin. l.1. c.30. 49. l.2. c.11. 58. Virg. Georg. l.4. v.219. sqq. e quivi Servio ec.
(28. Maggio. 1824.). Cic. de nat. deor. l.1. c.11. 12. Vedilo anche ib. 2. c.53. fin. 62. principio.
[4095]Diminutivi greci positivati. ??????-????????, ??????? ????. V. Scap. e Luciano in Lexiphane p.2.
(29. Maggio. 1824.)
Il tale rassomigliava i piaceri umani a un carcioffo, dicendo che conveniva roderne prima e inghiottirne tutte le foglie per arrivare a dar di morso alla castagna. E che anche di questi carcioffi era grandissima carestia, e la più parte di loro senza castagna. E soggiungeva che esso non volendosi accomodare a roder le foglie si era contentato e contentavasi di non gustarne alcuna castagna.
(30. Maggio. Domenica. 1824.)
Rassomigliava qualunque (Comparava ogni) piacere umano a un carcioffo dicendo che ne bisogna rodere e trangugiare tutte le foglie volendo arrivare a dar di morso nella castagna, e che di questi carcioffi è carestia grandissima, ed anche la maggior parte di loro è sole foglie senza castagna. E soggiungeva che esso non si potendo accomodare a ingoiarsi le foglie ec.
(31. Maggio. 1824.)
???? ??? ????? ??? ?????? ?? ci mancherebbe questo. Idiotismo comune al greco e italiano. Lucian. opp. 1687. t.1. p.787. init. V. Crus. e Forcell. in supersum se hanno nulla. - ???? ???? in quanto che. V. Lucian. ib. 786. e lo Scap. ec. modo pur comune, e del quale o cosa simile ho detto anche altrove.
(31. Maggio. 1824.)
Diminutivi positivati. Vedi Creuzer Meletemata e Disciplina antiquitatis Lips. 1817. sqq. par.3. p.112. lin.28. p.130. lin.23-24. dove però s'inganna quanto al supporlo necessario, perchè non sempre [4096]questi tali sono diminutivi, come ho provato altrove coll'esempio di iaculum, speculum ec.
(1. Giugno. 1824.)
Sisto in vece di venire dal greco ?????, come si crede e ho detto altrove, ben potrebbe venire da sto per duplicazione, non ignota neppure ai latini (come usitatissimo fra i greci), massime antichi, come ho mostrato altrove coll'es. di titillo da ?????, e dei perf. cecidi ec. ec. E la mutazione della coniugazione dalla prima nella terza, sarebbe appunto come nei composti di do (del che pure altrove) anch'esso monosillabo come sto. E quanto al significato e all'uso ec. chi non vede l'analogia fra sto e sisto?
(1. Giugno. 1824.)
Il tale diceva non esser ben detto quel che si afferma comunemente che basta l'apparenza p.e. a un letterato per essere stimato, benchè manchi della sostanza. Ora l'apparenza non solo basta, ma è la sola cosa che basti, ed è necessaria e la sola necessaria. Perocchè la sostanza senza l'apparenza non fa effetto alcuno e nulla ottiene, e l'apparenza colla sostanza non fa nè ottiene niente di più che senza essa: onde si vede la sostanza essere inutile, e il tutto stare nella sola apparenza. (1. Giugno. 1824.)
Chi vuol vedere la differenza che passa tra l'antica filosofia e la moderna, e quel che di questa ci possiamo promettere, le consideri ambedue sul trono, cioè ?????????[4097]????????, la quale non hanno i filosofi privati. Ora se egli è vero che la qualità d'ogni cosa non d'altronde si conosca meglio e più veramente che dagli effetti, da quelli de' principi filosofi si dovrà giudicare delle due filosofie meglio che da' privati, i quali hanno per necessità più parole che effetti, o effetti più deboli, e più desiderii e progetti che esecuzioni, perchè quel che vogliono, massime in cose grandi e rilevanti, nol possono. Paragoninsi dunque fra loro Marcaurelio e Federico, ambedue, si può dire, perfetti nella rispettiva filosofia, ambedue filosofi in parole e in opere, e corrispondenti ne' loro fatti alle loro massime. E si troverà quello in un secolo inclinante alla barbarie essere stato il padre de' suoi popoli ed esempio di virtù morali d'ogni genere anche a' privati ed a tutti i tempi. Questo in un secolo sommamente civile essere stato il maggior despota possibile, il più freddo egoista verso i suoi popoli, il più indifferente al loro bene e curante del proprio, e solito e determinato ad antepor questo a quello, il maggior disprezzatore dico ne' fatti e in parte eziandio ne' detti, della morale in quanto morale, della virtù in quanto virtù, e del giusto come giusto; in somma, se non il più vizioso (chè egli non l'era per calcolo), certo il men virtuoso principe del suo tempo, e forse di tutti i tempi, perchè non avendo niuna delle virtù che vengono, o vogliamo dir venivano dalla forza della mente, mancava anche di quelle che nascono dalla debolezza (come n'erano in Luigi XV.). Fu anche disaffezionato stranamente alla sua patria, come gli è stato [4098]agramente rimproverato dai ...
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