[Pagina precedente]... Aprile Lunedì di Pasqua 1824.). Dunque la vita è un male e un dispiacere per se, poichè la privazione di essa in quanto si può è naturalmente piacere. Infatti la vita è naturalmente uno stato violento, poichè naturalmente priva del suo sommo e naturale [4075]bisogno, desiderio, fine, e perfezione che è la felicità . E non cessando mai questa violenza, non v'è un solo momento di vita sentita che sia senza positiva infelicità e positiva pena e dispiacere. (20. Aprile. Martedì di Pasqua. 1824.). Massimamente poi quando da una parte colla civilizzazione è accresciuta la vita interna, la finezza delle facoltà dell'anima e del sentimento, e quindi l'amor proprio e il desiderio della felicità , da altra parte moltiplicata l'impossibilità di conseguirla, i mali fisici e morali, e finalmente diminuita l'occupazione, l'azione fisica, la distrazione viva e continua.
(20. Apr. 1824.)
Percussare da percutio. Crusca. V. il Gloss.
(20. Apr. 1824.)
Quelli che non hanno bisogni sono ordinariamente molto più bisognosi di coloro che ne hanno. Uno de' grandissimi e principalissimi bisogni dell'uomo è quello di occupare la vita. Questo è altrettanto reale quanto qualunque di quelli a' quali occupandola si provvede; anzi è più reale, e maggiore eziandio assai, perchè il soddisfare a questo bisogno è l'unico o il principal mezzo di far la vita meno infelice che sia possibile, laddove il soddisfare a qualsivoglia di quegli altri per se, non è che un mezzo di mantenere la vita, la qual per se stessa nulla importa. Importa sibbene la felicità , o posta la vita, il menarla meno infelicemente che si possa. Ora al detto massimo bisogno, che è continuo ed inseparabile dalla vita umana, quelli che non hanno bisogni, o che per dir meglio non sono necessitati di provvedere essi medesimi a' bisogni che hanno, gli suppliscono molto più difficilmente, [4076]e più di rado, e per lo più per molto minore spazio della loro vita, e in generale molto più incompletamente di quelli che hanno a provvedere da se a' propri bisogni naturali e della vita.
(20. Aprile. Martedì di Pasqua. 1824.)
Cuerpo mal sustentado y peor COMIDO. D. Quij. ed. Madrid 1765. t.4. p.220. Muger parida cioè que ha parido. ib. p.226.
(21. Apr. 1824.)
Alla p.4053. Nel Secolo di Luigi 14. di Voltaire ed. della Haye 1752. tome 2. fine del cap.33. du jansénisme, p.254. trovo tombeau e subito dopo tombe due volte, collo stessissimo senso di tombeau.
(21. Apr. 1824.)
A proposito del detto altrove circa i semidei dimostranti l'alta opinione che gli antichi avevano della natura umana, osservisi con quanta facilità si divinizzavano appresso i romani gl'imperatori o altri della loro famiglia, o loro liberti e favoriti, o vivi ancora, o morti al tempo e sotto gli occhi di quelli che li divinizzavano, anzi allora allora.263 Non dirò già io che nè quelli che li divinizzavano, nè le altre persone intelligenti, nè forse anche la più ignorante feccia del popolo e la più superstiziosa, massime in quei tempi già illuminati e disingannati in tante cose (sebbene anche a quei tempi v'aveano persone, eziandio tra' nobili e senatori, di maravigliosa superstizione, come e più che non fu Senofonte, spirito sì colto e istruito, fra' greci in tempi simili) credessero veramente alla divinità di quei tali imperatori o parenti o favoriti di essi, vivi o morti. Ma quest'uso solo di divinizzare delle persone [4077]contemporanee, cosa che poichè era tanto ricercata da un canto dall'ambizione, dall'altro dall'adulazione, non doveva essere al tutto senza qualche effetto di persuasione in qualche parte del popolo, dimostra quanto poca distanza e diversità di natura ponessero gli antichi fra il divino e l'umano, senza di che non sarebbe stato possibile che una tale assurdità fosse pur venuta loro nella mente. Certo nè anche a' più barbari, ignoranti e superstiziosi tempi del Cristianesimo, niuno pensò nè avrebbe potuto pensare o di far credere ad alcuno o solamente di dire per adulazione o per altro qualunque motivo che una persona non solo contemporanea, non solo viva, ma morta ed antica e famosa pure per santità e per qualsivoglia virtù o dignità , potenza ed opere vere o credute, fosse stato trasformato o dovesse trasformarsi, non dirò nella natura divina, ma neanche nell'angelica. E qual Cristiano avrebbe osato fare sopra qualsivoglia Principe Cristiano o no, fosse stato anche molto più grande e formidabile e più despotico di Augusto, ed esso molto più adulatore e più vile di tutti gli uomini di quel secolo, un distico simile a quello attribuito a Virgilio: Nocte pluit tota ec.? Qual Principe Cristiano sarebbesi fatto rappresentare cogli attributi non dirò dell'Eterno Padre o del Figliuolo, ma d'un Angelo o di un Apostolo, come gl'Imperatori, i loro parenti, i loro favoriti, si facevano scolpire, dipingere ec. o erano dipinti e scolpiti per adulazione, non pur dopo morte, ma in vita, cogli attributi e sotto la forma di Ercole, (anche una donna è nel Museo Vaticano rappresentata in istatua sotto questa forma, cioè con clava, pelle di leone ec.) di Venere, di Mercurio e simili. Lascio i templi, gl'idoli ed altari eretti a' viventi appo i Romani, con culto sacrifizi e onori regolari e giornalieri al tutto divini, con flamine apposta [4078]destinato al particolar culto di quella divinità ancor vivente (flamen augustalis ec.), le pene decretate ed eseguite contro i bestemmiatori o violatori qualunque d'esse divinità morte o vive, come rei di religione, non di politica, le accuse e giudizi contro gl'incolpati di tali delitti ec. ec. Anche Alessandro si fece passare per figlio di Giove Ammone, e pare che da qualche parte del popolaccio fosse creduto, non solo de' barbari, ma de' greci e macedoni, ed è ben verisimile, o certo egli usò questa finzione come un mezzo politico per farsi rispettare e temere ec. e tenere in dovere ec. onde mostra che egli giudicò dovergli essere creduto, e ciò dai greci principalmente e dai macedoni, poichè i barbari non riconosceano gli stessi déi. Vedi in Luciano tra i Diall. de' Morti, quello di Alessandro e Diogene, Alessandro e Filippo, Alessandro, Annibale, Scipione e Minosse. (21. Aprile. 1824.). E certo la Grecia allora non era una sciocca nè meno illuminata che fosse Roma al tempo degl'Imperatori.
(21. Apr. 1824.)
Diminutivi positivati. Non solo in franc. pistolet per pistola, ma anche in ispagn. pistolete, forse dal franc. poichè in ispagn. ete non è diminuzione. (22. Aprile. 1824.). Si dice anche in ispagn. pistola. D. Quij. ed. Madrid 1765. t.4. p.237-238. dove poco avanti, p.235. trovi pistolete.
(23. Aprile 1824.)
Alla p.3106. Niuna cosa è forse più atta di questa a mostrare la differenza del pensar moderno e del pensare antico (massime molto antico, al qual tempo appartiene Frinico e più che mai Omero) intorno a questi punti di cui qui discorriamo, differenza che tiene strettamente alla diversità generale dello stato dello spirito umano a' tempi antichi e a' moderni. Quando negli ultimi anni, dopo [4079]il ritorno de' Borboni, fu rappresentata a Parigi la Tragedia del Vespro Siciliano, tragedia che ebbe un successo distinto, qual mai o francese o straniero, pensò ad accusare il poeta di poco amor nazionale o di mancamento alcuno verso la patria, per aver commosso o cercato di commuovere sopra una sventura de' suoi nazionali seguìta per opera di stranieri? Anzi chi non riputò e questo proposito e la scelta del soggetto nazionalissima e degnissima quanto qualunque altra di un buon cittadino? perocchè il poeta non volle far piangere sopra i nemici della Francia, ma sopra i Francesi sventurati. Or questo appunto fece Frinico, il quale non commosse le lagrime sopra i barbari nè per li barbari, ma sopra i greci e per li greci. E per questo medesimo fu condannato, e sarebbe stato applaudito per lo contrario, e stimato buon cittadino, se avesse fatto piangere e rivolta la compassione e pietà degli uditori sopra i nemici della nazione, come fece Eschilo ne' Persiani tragedia che ha per soggetto e per materia unica di pietà e di terrore i mali de' nemici della Grecia, nè però fu condannata da alcuno, nè stimata altro che nazionalissima. Tale appunto nè più nè meno si è il caso della Iliade, che fa piangere quasi unicamente o certo principalmente sopra e per li troiani nemici de' suoi.
(23. Aprile. 1824.)
Nel Dialogo della Natura e dell'Anima ho considerato come la ragione e l'immaginazione e in somma le facoltà mentali eccellenti nell'uomo sopra quelle di ciascun altro vivente, gli sieno causa di non poter mai o quasi mai, e in ogni modo difficilmente, far uso di tutte le sue forze naturali, come fanno tutto dì e [4080]senza difficultà veruna tutti gli altri animali. Aggiungi. Si dice che i pazzi hanno una forza straordinaria, a cui non si può resistere, massime da solo a solo. Si crede che la loro malattia dia questa forza per se stessa, al contrario di tutte l'altre infermità . Non è egli chiaro che ciò procede dal non aver essi in se medesimi niuno impedimento a usare tutte le loro forze naturali? che i pazzi hanno più forza degli altri, solo perchè usano tutte quelle che hanno, o maggior parte che gli altri non usano? appunto come fa un animale nè più nè meno. Dal che deduco: quanti animali che si dicono fisicamente essere più forti dell'uomo, in verità non lo sono! quante forze debbe avere perdute l'uomo per i progressi del suo spirito, non solo radicalmente, ma anche per essere impedito a usare quelle che gli rimangono! quanto è più forte l'uomo, anche corrotto e indebolito, di quel che egli si crede. I pazzi lo dimostrano, che sovente superano di forze fisiche persone molto più robuste di loro, ed animali creduti ordinariamente più forti dell'uomo a corpo a corpo. L'ubbriachezza accresce le forze non solo radicalmente, ma eziandio negativamente per l'uso, che ella impedisce o turba, della ragione. Senza un'assoluta mancanza o sospensione di quest'uso, niuno uomo nè anche irriflessivo, nè anche fanciullo, nè anche selvaggio, nè anche disperato (i quali però tutti si vede per esperienza che hanno o piuttosto mostrano di avere a proporzione molta più forza de' loro contrari), non usa, nè anche ne' maggiori bisogni, ne' maggiori pericoli, tutte le forze precisamente che egli ha in tutte le loro specie e in tutta la loro estensione. Non così gli animali: o certo essi risparmiano infinitamente minor parte delle loro [4081] forze, anche ne' menomi pericoli, bisogni, desiderii, propositi, che non risparmia l'uomo, anche il più disperato ec., ne' maggiori.
(23. Apr. 1824.). Il detto de' pazzi dicasi proporzionatamente de' disperati. V. p.4090.
Alla p.4073. capoverso 2. Così i franc. à moins que... ne, che vale eccetto se... non ec. V. i Diz.
24. Aprile. Sabato in Albis. 1824.)
Alla p.4073. capoverso 1. È noto che per lunghissimo tempo, almeno sino alla fine del 400 e ai principii del 500, si continuò in Ispagna, in Germania, e credo in tutta la Cristianità (che allora era o tutta o quasi tutta Cattolica) a fare questue annue per le crociate da farsi quando che fosse, le quali questue si chiamavano anche crociate, e montavano a grossissime somme (considerata specialmente la maggiore rarità della moneta a quei tempi), che i Pontefici, a cui disposizione pare che esse rimanessero, concedevano talvolta, ma con grandissime difficultà (e non di rado lo negavano) ai rispettivi Re di potere usare ne' loro bisogni, massime quando erano loro collegati aperti od occulti, favoriti, per qualche impresa che premeva al Pontefice ec.264 Così il Guicc. più volte, e fra l'altre t.3. p.143. (24. Aprile. Sabato in Albis. 1824.). Io non so però bene se fossero questue o taglie determinate, e forzose, con obblighi di coscienza, o altro. V. gli Storici.
(24. Aprile. 1824.). V. p.4083.
A proposito dei verbi in are fatti da quelli della 3., del che altrove, v. il Meurs. t.5. opp. p.419. dove però erra deducendo da vellicare che v'abbia a essere stato un vellare, mentre quello è frequentativo di vellere (o diminutivo...
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