[Pagina precedente]... le abitudini, le qualità della data persona, applicarle al caso di cui si tratta, e rinunziando a ogni prudenza propria, mettendosi ne' piedi di quella, piuttosto come poeta, che come ragionatore, congetturar quello ch'egli è per fare o risolvere, anzi risolvere, per così dire, in vece sua, come il drammatico congettura quello che un dato uomo di un dato carattere in un dato caso sarebbe per dire, e congetturatolo parla in persona di esso.
(5. Aprile. 1824.). V. il Guicc. ed. Friburgo. t.4. p.106.
L'uomo (per l'amor della vita) ama naturalmente e desidera e abbisogna di sentire, o gradevolmente, o comunque purchè sia vivamente (la qual vivezza qualunque, non può essere senza positivo diletto, nè sensazione indifferente [4061]veramente). Sì il sentire dispiacevolmente come il non sentire sono cose assolutamente penose per lui. E talora è men penosa, anzi più grata una sensazione con alquanto di dispiacevole, che la privazion di sensazioni. Se l'uomo potesse sentire infinitamente, di qualunque genere si fosse tal sensazione, purchè non dispiacevole, esso in quel momento sarebbe felice, perchè la sensazione è così viva, il vivo (non dispiacevole in se) è piacevole all'uomo per se stesso e qualunque ei sia. Dunque l'uomo proverebbe in quel momento un piacere infinito, e quella sensazione, benchè d'altronde indifferente, sarebbe un piacere infinito, quindi perfetto, quindi l'uomo ne saria pago, quindi felice.
Segue dal sopraddetto che universalmente non si dà sensazione indifferente. Questo pensiero si sviluppi. (5. Aprile 1824.). Una sensazione (interna o esterna) è necessariamente per se e in quanto sensazione, o piacevole o dispiacevole, e in quanto sensazione senz'altro, è necessariamente e insitamente ed essenzialmente piacere.
(5. Aprile 1824.)
Diminutivi positivati. Ghiotto-glouton co' derivati, e anche noi ghiottoneria ec. forse dal francese se viceversa glouton non è da ghiottone che noi pur diciamo per ghiotto e potrebbe anche ghiottone venir dal francese. V. gli spagnuoli ec.262 Nota che questo diminut. positivato (se è tale) è aggettivo.
(6. Aprile. 1824.)
In tanto, gr. ?? ???????, del che altrove. Aggiungi intantochè, fra tanto, tra tanto (Guicc.) infra tanto, in quel tanto ec. E lo spagn. en tanto que (Don Quij.), entre tanto ec. v. i Diz. spagn. V. pur la Crus. e i Diz. franc.
(7. Aprile. 1824.). V. p. seg. En este entretanto. D. Quij. Madrid 1765. t.4. p.244.
Moggia plur. Lat. modius masc.
(7. Aprile. 1824.)
Al detto di moisson, diminutivo positivato di messis, aggiungi i derivati ec. come moissonner, e così ad altri simili diminutivi positivati.
(7. Aprile. 1824.)
[4062]Chiunque gode molta fama e la merita, è stimato più dagli altri che da se stesso. E così tutti quei che già furono, e lasciarono degnamente agli uomini la lor gloria, sono più stimati che essi non si stimarono.
(7. Apr. 1824.)
Alla p. preced. Finattanto, finattantochè, fin tanto, infinoattantochè ec. - ?? ???????? ????? ??. Lucian. opp. 1687. t.1. p.505. V. Forcell. Crus. franc. spagn. Gloss. ec.
(7. Apr. 1824.)
???? per praeter, del che altrove. Lucian. opp. 1687. t.1. p.566. ?? ???? ??? ??? ?????.
(7. Aprile. 1824.)
Il costume latino di servirsi de' participii in us de' verbi neutri e anche attivi in significato neutro o attivo, aggettivato, e ridotto anche a dinotar consuetudine e qualità abituale nel soggetto, come tacitus per qui tacet, cautus, qui solet cavere ec. ec., è se non altro una prova che il corrispondente costume tanto proprio della lingua spagnuola e frequente ancora nell'italiana, e non improprio forse della francese, ha esempio nella latina scritta, e quindi probabilmente viene affatto dal latino parlato e volgare, e di lui fu proprio e familiare.
(8. Aprile 1824.)
La vita degli orientali e di coloro che vivono ne' paesi assai caldi è più breve di quella dei popoli che abitano ne' paesi freddi o temperati. Ma ciò non impedisce che la somma della vita di quelli non sia, non che uguale, ma superiore alla somma della vita di questi. Anzi non per altro è più breve la vita degli orientali se non perchè ella è molto più intensa, tanto che in pari spazio di tempo è maggiore la somma della vita che provano gli orientali che non è quella che provano [4063]gli altri popoli. Ora generalmente parlando, si scuopre nella natura quest'ordine che la durata della vita (sì negli animali sì nelle piante) sia in ragione inversa della sua intensità ed attività . La testuggine, l'elefante e altri animali tardissimi hanno lunghissima vita. I più veloci ed attivi, ancorchè più forti degli altri (come è per es. il cavallo rispetto all'uomo) hanno vita più corta. Ed è ben naturale, perchè quell'attività e intensità di vita importa maggiore rapidità di sviluppo della medesima, e quindi di decadenza. Infatti lo sviluppo sì degli uomini, sì degli animali, sì delle piante ne' paesi assai caldi è molto più rapido che negli altri. Or dunque considerando queste condizioni fisiche della vita per rapporto al morale, si può ragionevolmente affermare che la sorte di quelli che vivono ne' paesi assai caldi è preferibile quanto alla felicità a quella degli altri popoli. Primieramente la somma della loro vitalità , quantunque minore nella durata, è però assolutamente maggiore di quella degli altri, presa l'una e l'altra nel totale. Secondariamente, posto ancora che ella fosse uguale, a me par molto preferibile il consumare p.e. in 40 anni una data quantità di vita che il consumarla in 80. Ella riempie i 40, e lascia negli ottanta mille intervalli, gran vuoto, gran freddezza, gran languore. La vita assolutamente non ha nulla di desiderabile sicchè la più lunga sia da preferirsi. Da preferirsi è la meno infelice, e la meno infelice è la più viva. Or la vita degli orientali, pognamola di 40 anni, è molto più viva che quella degli altri, pognamola di 80, quando bene la somma della vivacità dell'una vita e dell'altra sia la stessa. Or questo paragone di [4064]climi io lo applico ai tempi, e mettendo gli antichi in luogo de' popoli di clima caldo e i moderni in cambio de' popoli di clima freddo, dico che sebben la vita degli antichi era forse generalmente più breve che quella dei moderni, per le turbolenze sociali e i continui pericoli dello stato antico, nondimeno perchè molto più intensa, ella è da preferirsi, contenendo nella sua minore durata maggior somma di vitalità , o quando anche in minore spazio contenesse ugual somma che la moderna in ispazio maggiore. Del che, senza il surriferito esempio, ho discorso particolarmente in altro pensiero.
(8. Aprile 1824.). V. p.4092. e v. la pag.4069.
Ciascuno, e massimamente gli spiriti più delicati, sensibili e suscettibili, pervenuto a una certa età ha fatto esperienza in se stesso di più e più caratteri. Le circostanze fisiche, morali e intellettuali, cambiandosi continuamente nello spazio della vita di un uomo, e nelle sue diverse età , cambiandosi, dico, per rispetto a lui, cambiano continuamente il suo carattere, di modo che di tempo in tempo egli è uomo veramente nuovo di spirito, come dicono i fisici che di sette in sette anni (se non erro) egli è rinnovato di corpo. Gli uomini sensibili in particolare non solo cambiano carattere e più rapidamente degli altri, ma facilmente e ordinariamente acquistano caratteri contrari tra se, e massime a quel primo carattere che si sviluppò in essi, a quello più conforme alla loro natura, a quello che il primo potè in loro esser chiamato carattere. La coltura dell'intelletto fra l'altre cose cagiona in una persona stessa a proporzione de' suoi progressi, e coll'andar del tempo, una [4065]variazione singolarmente rapida e singolarmente grande. Chi non sa quanto i principii, le opinioni e le persuasioni influiscano e determinino i caratteri degli uomini? Ora ciascuno individuo quando nasce è precisamente, quanto all'intelletto nello stato medesimo in cui fu il primo uomo. Quegl'individui che coll'andar del tempo si sono posti a livello delle cognizioni del nostro tempo, sono necessariamente passati per tutti quegli stati per cui lo spirito umano è passato dal principio del mondo fino al dì d'oggi (almeno per quei gradi per cui egli è passato progredendo e avanzando), e ha sperimentato in se tutti gli avvenimenti dell'intelletto che il genere umano ha sperimentato in tanti secoli quanti sono corsi dalla sua origine insino a ora. La storia del suo intelletto è quella appunto di tutti questi secoli ristretta e compresa in venti o trent'anni di tempo. Laonde da tutti i cambiamenti che il suo intelletto ha provati, cambiamenti che più volte l'hanno portato a persuasioni e stati contrarissimi ai passati, e in ultimo a un sistema di persuasioni ed a uno stato contrarissimo al suo primitivo; da tutti questi cambiamenti, dico, deggiono di necessità essere risultate in lui tante diversità e successivi cambiamenti di carattere, quanti ne sono stati prodotti nelle nazioni e nel genere umano in generale dai diversi principii e opinioni e dal diverso progresso e stato di cognizioni in tutto il tempo che ci è bisognato per portarlo dal suo primitivo stato al presente. (8. Aprile. 1824.). Onde questo tale individuo rinchiude e compendia in se, non solo la storia dello spirito umano, ma quella eziandio de' caratteri successivi delle nazioni, in quanto essi ebbero origine e dipendenza dalle opinioni e conoscenze, che certo è grandissima e forse la massima parte.
(8. Aprile. 1824.)
[4066]La maniera familiare che come più volte ho detto, fu necessariamente scelta da' nostri classici antichi, o necessariamente v'incorsero senz'avvedersene ed anche fuggendola, può ora in parte o in tutto sfuggire massimamente alle persone di naso poco acuto, e a quelle non molto esercitate e profonde nella cognizione, nel sentimento e nel gusto dell'antica e buona lingua e stile italiano, che è quanto dire a quasi tutti i presenti italiani. Ciò viene, fra l'altre cose, perchè quello che allora fu familiare nella lingua, or non lo è più, anzi è antico ed elegante, ovvero è arcaismo. Non per tanto è men vero quel che io altrove ho detto. Anzi è tanto vero, che anche dopo che la lingua aveva acquistato la materia e i mezzi e la capacità della eleganza e del parlar distinto da quello del volgo e dall'usuale, si è pur seguitato sì nel 500 e 600 sì nel presente secolo da molti cultori e amatori dello scriver classico, a usare una maniera familiare, sovente non avvedendosene o non intendendo bene la proprietà e qualità della maniera che sceglievano e usavano, e sovente anche intendendo, credendo di usare una maniera elegante. E ciò si è fatto in due modi. O adoperando le stesse forme antiche, le quali oggi non sono più familiari, anzi eleganti, onde n'è risultata opinione di eleganza a tali stili ed opere modellate sull'antico, ma veramente esse hanno del familiare, perchè il totale dello stile antico da essi imitato necessariamente ne aveva anche indipendentemente dalle forme, bensì per cagion loro e per conformarsi e corrispondere ad esse forme che allora erano necessariamente familiari. Ovvero adoperando le forme familiari moderne a esempio e imitazione degli antichi, e della familiarità che nelle forme e nello stile loro si scorgeva, benchè non bene intendendola, e sovente confondendo sì la familiarità imitata sì quella [4067]che adoperavano ad imitarla, colla eleganza, dignità e nobiltà e col dir separato dall'usuale, perciò appunto che la familiarità in genere non era e non è più usuale, e l'uso della medesima è proprio degli antichi. Il terzo modo, che sarebbe quello di usar l'antico e il moderno e tutte le risorse della lingua, in vista e con intenzione di fare uno stile e una maniera nè familiare nè antica, ma elegante in generale, nobile, maestosa, distinta affatto dal dir comune, e proprio di una lingua che è già atta allo stile perfetto, quale è appunto quello di Cicerone nella prosa e di Virgilio nella poesia (stile usato quando la lingua latina era appunto in quelle circostanze e quello stato di ...
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