[Pagina precedente]...o più falsissimi, sublimi, vasti, perchè quel medesimo essere trovandosi essergli quasi tutto misterioso e quasi cosa segreta ed occulta, i pensieri e i sentimenti ch'esso gli desta, sono tutti capitalmente e quasi esclusivamente governati e modificati e figurati, e in gran parte prodotti e creati, dalla fantasia, e questa [3308]gagliardamente mossa. Nello stato naturale, l'inclinazione innata dell'uomo verso la donna, trovando tutto aperto e palese, e niun luogo avendovi alla immaginativa, ella non producea che pensieri e sentimenti semplicissimi, distintissimi, chiarissimi, materialissimi. Ora essa inclinazione, esso amore ingenito e naturalmente fortissimo e ardentissimo, trovando il mistero, e i loro effetti congiungendosi nell'animo umano colla idea del mistero, o vogliamo dir con un'idea oscura e confusa, oscurissimi e confusissimi, ondeggianti, vaghi, indefiniti, cento volte meno sensuali e carnali di prima (poichè la detta idea non viene immediatamente dal senso ec.), e finalmente quasi mistici debbono essere i pensieri e gli affetti che risultano da questa mescolanza di sommo desiderio e tendenza naturale, e d'idea oscura dell'oggetto di tal desiderio e tendenza. E però l'uomo si rappresenta la donna in genere, e in ispecie quella ch'egli ama, come cosa divina, come un ente di stirpe diversa dalla sua ec. Perocchè la natura gliela propone come desiderabilissima e amabilissima, le circostanze gliela rendono desideratissima (perocch'ei non può facilmente nè subito ottenerla), ed esse altresì gli nascondono quale ella sia veramente ec. E così da una circostanza così materiale, com'è quella de' vestimenti (e come son l'altre cagionate dai costumi e leggi sociali circa le donne), nasce nell'uomo un effetto il più spirituale [3309]quasi, che abbia mai luogo nel suo animo, i pensieri e i sentimenti più sublimi e più nobili e più propri dello spirito, la persuasione di non esser mosso che da esso spirito ec. ec.; da una circostanza così reale e visibile e determinata nascono in lui le maggiori illusioni, i più vaghi, incerti, indeterminati pensieri, la maggiore operazione della più fervida e più delirante e sognante immaginativa; da una circostanza così accidentale un effetto così intimo, così generale nel più de' giovani (almeno per un certo tempo), così costante, così connesso e proprio, a quel che pare, del carattere dell'individuo; finalmente da una circostanza non naturale nasce un effetto che universalmente si considera come il più naturale, il più proprio dell'uomo, il più assolutamente inevitabile, il meno acquistabile, il meno fattibile, il meno producibile da altra forza che dalla stessa mano della natura, il più congenito ec. secondo che ho detto di sopra.
Così e per queste cagioni nacque nel genere umano tra l'uno e l'altro sesso la tenerezza, la quale i selvaggi non provano e non conoscono (nè gli uomini primitivi provarono, nè una nazione dove non s'usino le vestimenta ec. [3310]proverà o conoscerà mai) siccome niun altro degli effetti sopra descritti, anzi neppure, propriamente parlando, l'amore, ma l'inclinazione e l'impeto da lei cagionato, l'?????, l'abito e l'atto della tendenza; perchè non è propriamente amore quello che noi ponghiamo p.e. all'oro e al danaio. V. p.3636. e 3909.
Altra prova delle proposizioni da me esposte nel principio di questo pensiero, può essere, fra le mille, la seguente. Qual uomo civile udendo, eziandio la più allegra melodia, si sente mai commuovere ad allegrezza? non dico a darne segno di fuori, ma si sente pure internamente rallegrato, cioè concepisce quella passione che si chiama veramente gioia? Anzi ella è cosa osservata che oggidì qualunque musica generalmente, anche non di rado le allegre, sogliono ispirare e muovere una malinconia, bensì dolce, ma ben diversa dalla gioia; una malinconia ed una passion d'animo che piuttosto che versarsi al di fuori, ama anzi per lo contrario di rannicchiarsi, concentrarsi, e ristringe, per così dire, l'animo in se stesso quanto più può, e tanto più quanto ella è più forte, e maggiore l'effetto [3311]della musica; un sentimento che serve anche di consolazione delle proprie sventure, anzi n'è il più efficace e soave medicamento, ma non in altra guisa le consola, che col promuovere le lagrime, e col persuadere e tirare dolcemente ma imperiosamente a piangere i propri mali anche, talvolta, gli uomini i più indurati sopra se stessi e sopra le lor proprie calamità. In somma generalmente parlando, oggidì, fra le nazioni civili, l'effetto della musica è il pianto, o tende al pianto (fors'anche talor di piacere e di letizia, ma interna e simile quasi al dolore): e certo egli è mille volte piuttosto il pianto che il riso, col quale anzi ei non ha mai o quasi mai nulla di simile. Questi effetti della musica su di noi ci paiono sì naturali, sì spontanei ec. ec. che non pochi vorranno e vogliono che sia proprio assolutamente della natura umana l'essere in tal modo affetti dall'armonia e dalla melodia musicale.
Ora, tutto al contrario di quello che avviene costantemente tra noi, sappiamo che [3312]i selvaggi, i barbari, i popoli non avvezzi alla musica o non avvezzi alla nostra, in udirne qualche saggio, prorompono in éclats di giubilo, in salti, in grida di gioia, si rompono dalle risa per la grande contentezza, e insomma cadono in un entusiasmo e in un'intera e decisa ebbrietà e furore e smania di pura allegria. (29-30. Agos. 1823.).
Votare ec. da voveo-votus. Persécuter, perseguitare ec. veggasi il detto da me nella teoria de' continuativi circa il verbo sectari. Mercatare ec. da mercor mercatus. Veggansi il Gloss. il Forc. i Diz. franc. e spagn.
(31. Agosto. Domenica. 1823.)
Patulus sembra un diminutivo di patus, andato in
piena dimenticanza, restando in sua vece il detto
diminutivo. - A quello che altrove ho detto di fabula e
fabella, se ambo sieno diminutivi, o quello positivo,
questo diminutivo, aggiungi l'esempio di baculum e
baculus positivi, bacillum diminutivo. E vedi il
luogo di S. Isidoro appo il Forcellini in Bacillum
[3313]fine.
(31. Agosto 1823.)
Circa quello che ho detto altrove della melodia, basti il tenere che il principio, l'origine prima, il fondamento, ossia la ragione originale del perchè qualsivoglia successione melodiosa di tuoni, sia melodiosa, cioè armonica successivamente; o vogliamo dire la prima fonte e ragione della convenienza scambievole de' tuoni nella successione, non fu e non è quasi altro che l'assuefazion solamente, la quale bensì è suscettibile di ampliazione, di modificazioni infinite e variazioni, di applicazioni diversissime, di diversissime combinazioni delle sue parti; cose tutte che hanno infatti avuto ed hanno continuamente luogo nella musica e nelle composizioni del Musico, il cui uffizio non è originariamente e principalmente altro che il far buon uso delle assuefazioni generali circa l'armonia, cioè la convenienza, successiva o simultanea delle note delle corde, degli stromenti, voci ec. ec. servata la proporzione scambievole degl'intervalli, ossia del tempo. Ben può il Musico modificare in assaissime guise queste assuefazioni, ma dee però sempre riconoscerle [3314]e seguirle e in loro mirare, come fondamento e ragione dell'arte sua.
(31. Agosto. Domenica. 1823.)
Alla p.3298. Un uomo (o donna) di carattere naturalmente pacifico, placido, quieto, riposato, ordinato, inclinato a una certa pigrizia, è per natura portato all'egoismo. Quanto più l'uomo o per indole e condizion primitiva, o per effetto dell'età, o per istanchezza del mondo, per disinganno ec. ama il riposo, la pace, l'ordine, l'uniformità della vita, è lontano dal calore, dai desiderii vivi, dai disegni vasti o impetuosi, o fervidi, o attivi ec. è dedito all'inazione, al metodo; anzi quanto più egli è tollerante delle ingiurie e degli stessi patimenti per debolezza d'animo o di corpo o d'ambedue, quanto è più disposto e solito di rinunziare al risentimento, di chinare il capo alle circostanze, alla necessità, di sacrificare e di posporre qualunque cosa alla conservazione della sua quiete interna ed esterna e della sua inattività; quanto più l'uomo è vile e codardo; quanto più suole appagarsi del presente, soddisfarsi di ciò che gli accade, pigliar le cose come vengono; tanto meno egli è disposto e solito di sacrificarsi o adoperarsi [3315]per altrui; tanto meno è accessibile alla compassione, tanto più è inclinato e tanto più ha d'egoismo. L'abitudine dell'ozio in qualsivoglia età, è sempre conciliatrice d'egoismo. In somma per tutte queste osservazioni, e per qualunque altra si voglia fare intorno ai vari caratteri degli uomini, apparisce e sempre apparirà, che la natura dell'egoismo è un ghiaccio dell'animo; un freddo, un congelamento, una quasi concrezione, una durezza o un induramento, una secchezza o un disseccamento dell'amor proprio; una povertà, una scarsezza di vita; una inattività effettiva, o un'inclinazione alla medesima ec.; o naturale o avventizia che sia, o morale o fisica, o l'uno e l'altro, o portata dalla nascita e cresciuta poi e confermata coll'assuefazione colle circostanze cogli avvenimenti della vita ec., o da queste prodotta in contrario e in dispetto dell'indole primitiva ec. (31. Agosto. 1823.). Io credo potere asserire che generalmente gli uomini meno soggetti a passioni veementi, quelli che non amano il piacere, quelli che mai non vissero per li piaceri, mai non furono trasportati da' piaceri e [3316]dal desiderio e furore di questi (sieno piaceri corporali o spirituali), o che più nol sono; anche i meno iracondi, i più pazienti, e simili, per natura, o per abito contratto; sono i più inclinati all'egoismo, i più alieni abitualmente dal compatire e dal beneficare; spesso anche i più ingiusti per volontà riflettuta. E i contrari viceversa.
Sono moltissimi che amano, predicano, promuovono, ed esercitano esclusivamente la giustizia, l'onestà, l'ordine, l'osservanza delle leggi, la rettitudine, l'adempimento de' doveri verso chi che sia, l'equa dispensazione de' premi e delle pene, la fuga delle colpe; ma ciò non per virtù, nè come virtù, non per finezza o grandezza o forza o compostezza d'animo, non per inclinazione, non per passione, ma per viltà e povertà di cuore, per infingardaggine, per inattività, per debolezza esteriore o interiore, perchè non potendo (per debolezza) o non volendo (per pigrizia) o non osando (per codardia) nè provvedersi nè difendersi da se stessi, vogliono che la legge e la società vegli per loro, e provvegga loro e li difenda senza loro fatica, e in modo ch'essi se ne riposino su di lei; perchè la via del retto è la meno pericolosa, la sola che nel mondo [3317]sia palesemente permessa; perchè l'onestà delle azioni avendo (almeno apparentemente) meno ostacoli a combattere, cagiona meno imbarazzi, esige meno attività, meno travagli, produce conseguenze meno moleste; perchè non ardiscono contravvenire alle leggi, nè farsi alcun nemico, molto meno quei che comandano e che vegliano all'esecuzione d'esse leggi; perchè temono il castigo, la riprensione, il biasimo pubblico, si lasciano imporre dall'apparenza dell'opinione universale, la quale opinione mostra di stimare o di non molestare nè denigrare i buoni, e di odiare e biasimare i cattivi ec. perchè non hanno spirito d'aspirare a cose straordinarie, nè di procacciarsi o beni o piaceri, nè di avanzare il loro stato ec., col subire qualche, ancorchè minimo, pericolo, col combattere qualche ostacolo, ec. nè di nulla tentare fuor del consueto e dell'ordine, e nulla rischiare, ec. Questi tali, benchè incapaci di far male o torto (volontariamente) ad alcuno, o d'offendere altrui in verun modo, di soverchiare ec. sono grandissimi egoisti, chiusi alla compassione, ignari della beneficenza. Sono altri ch'esercitano ed amano al modo stesso la giustizia, non per virtù, nè anche per viltà, ma perchè stanchi e disingannati del mondo, e nulla più curandosi di quanto si possa acquistare o coll'ingiustizia o comunque, non cercano più che la pace, la quale non si...
[Pagina successiva]