[Pagina precedente]...o di fatto, narratomi da chi si trovò presente. Si rappresentò in Bologna pochi anni fa l'Agamennone dell'Alfieri. Destò vivissimo interesse negli uditori, e fra l'altro, tanto odio verso Egisto, che quando Clitennestra esce dalla stanza del marito col pugnale insanguinato, e trova Egisto, la platea gridava furiosamente all'attrice che l'ammazzasse. Ma come in quella tragedia Egisto riesce fortunato e gl'innocenti restano oppressi, quivi si vide quello che possano le vere tragedie negli animi degli uditori, quando elle sono di [3459]tristo fine. Perchè promettendo gli attori che la sera vegnente avrebbero rappresentato l'Oreste pur d'Alfieri, ove avrebbero veduto la morte di Egisto, la gente uscì dal teatro fremendo perchè il delitto fosse rimaso ancora impunito, e dicendo che per qualunque prezzo erano risoluti l'indomani di trovarsi a veder la pena di questo scellerato. E l'altro dì prima di sera il teatro era già pieno in modo che più non ve ne capeva. O moralmente o poeticamente che si consideri un tanto odio verso un ribaldo di 3000 anni addietro, potuto ispirare e lasciare da quella tragedia, ed una passione così calda, un effetto così vivo, potuto da lei produrre e lasciare; per l'una e per l'altra parte si può vedere se le tragedie di lieto fine sieno poco o utili o dilettevoli. E paragonando gli effetti di questa con quelli dell'Oreste, che certo furono molto minori e men vivi (sebbene anche questa seconda tragedia sia bellissima), si sarà potuto notare da qualunque mediocre osservatore se il dramma di tristo, o quello di lieto fine, sia da preferirsi, [3460]e qual de' due abbia maggior forza negli animi, e sia d'effetto più teatrale e poetico, e più morale ed utile. - Si potrà applicare tutto il passato discorso, colle debite modificazioni, a quei drammi ne' quali l'infelicità de' buoni o degli immeritevoli, non vien da' cattivi, nè da altrui vizi o colpe, ma dal fato o da circostanze, quali sono l'Edipo re di Sofocle, la Sofonisba d'Alfieri, e molte tragedie di varie età e lingue, e molti drammi sentimentali moderni, appresso varie nazioni. E similmente a quei drammi in cui l'infelicità viene da colpa, ma o involontaria o compassionevole ec. degli stessi infelici, come appunto si può dire che sia l'Edipo re, la Fedra, e molti drammi, massimamente moderni, o tragedie ec. E dalle stesse predette osservazioni si potrà raccogliere se sia meglio che lo scioglimento di tali drammi sia felice o infelice, che la sorte de' protagonisti si muti o si conservi la stessa, che di felice divenga infelice, o che per lo contrario, ec.
(16-18. Settembre. 1823.)
Relatar spagnuolo, cioè riferire, raccontare, da relatus di refero. Relater francese antico, vale il medesimo.
(18. Sett. 1823.)
[3461]I poeti latini (e proporzionatamente gli altri scrittori secondo che lor conveniva) usarono la mitologia greca, non per lo aver preso da' greci la loro letteratura e poesia, ma perchè, o da' greci o d'altronde ch'e' ricevessero la loro religione, essa mitologia alla religion latina apparteneva niente meno che alla greca, e nel Lazio non meno che in Grecia era cosa popolare e creduta dal popolo. Laonde se questa o quella favola adoperata, accennata ec. dagli scrittori o poeti latini, fu tolta da' greci, o ch'ella fosse stata primieramente e di netto inventata da qualche greco poeta, o che in Grecia e non nel Lazio ella fosse sparsa ec., non perciò segue che la mitologia dagli scrittori latini usata, non fosse, com'ella fu, altrettanto latina che greca. Perocchè il fabbricare, per dir così, sul fondamento delle opinioni popolari, fu sempre lecito ai poeti, anzi fu loro sempre prescritto. Laonde se i poeti latini fabbricarono su tali opinioni popolari nazionali, o dell'altrui fabbriche sì servirono, o rami stranieri innestarono sul tronco domestico, niuno di ciò li dee riprendere. Nè perciò [3462]essi vollero introdurre un nuovo genere di opinioni popolari nella nazione e farne materia di lor poesia; nè supposero falsamente un genere un sistema di opinioni popolari che nella nazione non esisteva, ma su di quel ch'esisteva in effetto, innestarono, fabbricarono, lavorarono. Similmente i greci, da qualunque luogo pigliassero la loro mitologia, certo è che di là presero eziandio la loro religion popolare, e che tra' greci il sistema greco religioso e mitologico, quanto alla sostanza, alla natura, alla principal parte ed al generale, non fu prima de' poeti che del popolo. E se i letterati greci si giovarono, come si dice, delle letterature o dottrine ec. egizie, indiane o d'altre genti, non adottarono perciò nelle loro finzioni ch'avessero ad esser popolari, e nazionali ec. le mitologie d'esse nazioni. L'aver noi dunque ereditato la letteratura greca e latina, l'esser la nostra letteratura modellata su di quella, anzi pure una continuazione, per così dire, di quella, non vale perch'ella possa ragionevolmente usare la mitologia greca nè latina al modo che quegli antichi l'adoperavano. Giacchè non abbiamo già noi colla [3463]letteratura ereditato eziandio la religione greca e latina, nè i latini, come ho detto, usarono la mitologia greca perciò ch'essi avevano adottato la greca letteratura; nè se la letteratura ebbero i greci dalla Fenicia o donde si voglia, perciò fu che i greci poeti e scrittori si valsero della mitologia di quella tal gente; ma fu per le ragioni dette di sopra, e che nel nostro caso non hanno alcun luogo. Tutt'altre sono le nostre opinioni popolari nazionali e moderne da quelle de' greci e de' latini. E gli scrittori italiani o moderni che usano le favole antiche alla maniera degli antichi, eccedono tutte le qualità della giusta imitazione. L'imitare non è copiare, nè ragionevolmente s'imita se non quando l'imitazione è adattata e conformata alle circostanze del luogo, del tempo, delle persone ec. in cui e fra cui si trova l'imitatore, e per li quali imita, e a' quali è destinata e indirizzata l'imitazione. Questa può essere imitazione nobile, degna di un uomo, e di un alto spirito e ingegno, [3464]degna di una letteratura, degna di esser presentata a una nazione. E una letteratura fondata comunque su tale imitazione può esser nazionale e contemporanea e meritare il nome di letteratura. Altrimenti l'imitazione è da scimmie, e una letteratura fondata su di essa è indegna di questo nome, sì per la troppa viltà, essendo letteratura da scimmie, sì perchè una letteratura che tra' suoi è forestiera, e a' suoi tempi antica, non può esser letteratura per se, ma al più solo una parte d'altra letteratura o una copia da potersi guardare, se fosse però perfetta (ch'è sempre l'opposto) collo stesso interesse con cui si guarda una copia d'un quadro antico ec. e niente più. Veramente pare che i nostri poeti usando le antiche favole (come già i più antichi italiani e forestieri scrivendo in latino) affettino di non essere italiani ma forestieri, non moderni ma antichi, e se ne pregino, e che questo sia il debito della nostra poesia e letteratura, non esser nè moderna nè nostra ma antica ed altrui. Affettazione e finzione barbara, [3465]ripugnante alla ragione, e colla qual macchia una poesia non è vera poesia, una letteratura non è vera letteratura. Come non è nè letteratura nè lingua nostra quella letteratura e quella lingua che oggidì usano i nostri pedanti affettando e simulando di esser antichi italiani, e dissimulando al possibile di essere italiani moderni, di aver qualche idea che gl'italiani antichi non avessero perchè non poterono, (così forse fece Cic. verso Catone antico ec. o Virgilio verso Ennio ec.?) ec. ec. Onde segue che noi oggi non abbiamo letteratura nè lingua, perchè questa non essendo moderna, benchè italiana, non è nostra, ma d'altri italiani, e perchè non si dà nè si diede mai nè può darsi letteratura che a' suoi tempi non sia moderna; e dandosi, non è letteratura.
Quel ch'io dico dell'uso delle favole antiche fatto alla maniera antica (cioè mostrandone persuasione e presentandole in qualunque modo a' lettori o uditori come e' ne fossero persuasi, chè altrimenti il prevalersi della mitologia non ha peccato alcuno), fatto dico da' poeti cristiani antichi o moderni (massime italiani) scrivendo a' Cristiani, si [3466]dee dire dell'eccessivo uso, anzi abuso intollerabile della mitologia che fanno e fecero i pittori e scultori ec. cristiani, non d'Italia solo, ma d'ogni nazione, e niente meno i forestieri che gl'italiani. Se sta ad essi a scegliere il soggetto, potete esser sicuro, massime degli scultori, ch'e' non escirà della mitologia. Ed anche grandissima parte de' soggetti eseguiti per commissione, essendo mitologici, segue che il più delle pitture e massimamente delle sculture che si veggono in Europa (fuor delle Chiese), sieno mitologiche. Par che tutto lo scopo che si propone uno scultore (siccome un poeta) sia che la sua opera paia una statua antica (come un poema antico), dovendo solamente cercare ch'ella sia tanto bella quanto un'antica, o più bella ancora, quantunque, se si vuole, nel genere del bello antico.
(19. Sett. 1823.)
Ces hommes qui existent ainsi (les Chartreux de Rome) sont pourtant les mêmes à qui la guerre et toute son activité suffiraient à peine s'ils s'y étaient accoutumés. C'est un sujet inépuisable de réflexion que [3467]les différentes combinaisons de la destinée humaine sur la terre. Il se passe dans l'intérieur de l'ame mille accidents, il se forme mille habitudes qui font de chaque individu un monde et son histoire. Connaître un autre parfaitement serait l'étude d'une vie entière; qu'est-ce donc qu'on entend par connaître les hommes? les gouverner, cela se peut, mais les comprendre, Dieu seul le fait. Corinne, livre 10. chap.1. t.2. p.114. Ciò vuol dire che l'uomo è sommamente e infinitamente o indeterminatamente conformabile, e non è possibile conoscer mai tutti i modi e tutte le differenze in cui lo spirito degl'individui, secondo la diversità delle circostanze (ch'è infinita o indeterminabile), si conforma o si può conformare; per la stessa ragione per cui non si possono conoscere tutte le circostanze possibili ad aver luogo, che possono influire sullo spirito degl'individui, nè tutte quelle che hanno effettivamente influito su tale o tale individuo determinato, nè le loro combinazioni scambievoli, nè le loro minute diversità che producono non piccole differenze di carattere ec. [3468]La maggior cognizione adunque che si possa avere dell'uomo è quella di sapere perfettamente e ragionatamente che gli uomini non si possono mai ben conoscere, perchè l'uomo è indefinitamente variabile negl'individui, e l'individuo stesso per se. E il più certo segno di tal cognizione si è quello di non maravigliarsi mai un punto, e di esser bene e ragionatamente e veramente disposto a non maravigliarsi di qualunque strana e inaudita e nuova indole, carattere, qualità, facoltà, azione di qualunque individuo umano noto o ignoto ci possa venire agli orecchi o agli occhi, ci accada o possa accader d'intendere o di vedere, in bene o in male. Chi è veramente giunto a questa disposizione, e l'ha in se ben perfetta, radicata e costante, ed efficace, può dire di conoscer l'uomo il più ch'è possibile all'uomo. E più infatti non può se non Dio, come ben dice la Staël, perchè Dio solo può conoscere e conosce tutti i possibili. Or gli uomini non si possono perfettamente conoscere, chi non conosca poco men che tutti i possibili, dico, i possibili di questa natura e di questa terra.
(19. Sett. 1823.)
[3469]Alla p.2709. Quasi tutti gli antichi che scrissero di politica (tranne Cic. de rep. e de legibus), la pigliarono puramente o principalmente dalla parte speculativa, la vollero ridurre a sistema teorico e di ragione, e disegnare una repubblica di lor fattura; e questo si fu lo scopo, l'intenzione e il soggetto de' loro libri. Ond'è che quantunque i moderni, primieramente abbiano fatto della politica il loro principale studio, secondariamente, come privati che erano e sono la più parte, e quindi inesperti del governo, sieno stati obbligati a tenersi ...
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