[Pagina precedente]... amante e tenera), e giudicasse che Didone avesse ottenuto il piacer suo, senza che quegli avesse conceduto. E chi potesse così stimare seconderebbe il desiderio di Virgilio. Tanto egli ebbe a schivo di far comparire nel suo Eroe un errore, una debolezza, laddove non v'è cosa più amabile che la debolezza nella forza, nè cosa meno amabile che un carattere e una persona senza debolezza veruna. E tanto egli giudicò che dovesse nuocere [3611]appo i lettori alla stima non solo, ma all'interesse pel suo Eroe (che mal ei confuse colla stima), il concepirlo e il vederlo capace di passione, capace di amore, tenero, sensibile, di cuore. Come se potesse interessare il cuore chi non mostra, o dissimula a tutto potere, di averlo, o di averlo capace della più dolce, più cara, più umana, più potente, più universale delle passioni, che si fa pur luogo in chiunque ha cuore, e maggiormente in chi l'ha più magnanimo, e similmente ancora ne' più gagliardi ed esercitati di corpo, e ne' più guerrieri (v. Aristot. Polit. l.2. ed Flor. 1576. p.142.); e che sovente rende ancora amabili chi la prova, eziandio agl'indifferenti, al contrario di quel che fanno molte altre passioni per se stesse. Il giudizio del Tasso, rispetto a Rinaldo, fu in questa parte migliore assai di quel di Virgilio. Egli non si fece coscienza di mostrare Rinaldo soggetto alle passioni, alle debolezze e agli errori umani e giovanili. Egli non dissimula i suoi amori descrivendo quelli di Armida per lui, ma si ferma e si compiace in descrivergli anch'essi direttamente. Egli non ha neppure riguardo di farlo [3612]assolutamente reo di un grave, benchè perdonabile misfatto cagionato da una passione propria e degna dell'uomo, e quasi richiesta al giovane, e più al giovane d'animo nobile, e pronto di cuore e di mano, dico dall'ira mossa dalle contumelie. Passione, che, massime colle dette circostanze, suol essere amabilissima, malgrado i tristi effetti ch'ella può produrre, e malgrado ch'ella soglia altresì essere biasimata (perocchè altro è il biasimare altro l'odiare), e che i filosofi o gli educatori prescrivano di svellerla dall'animo o di frenarla. E certo in un giovane, e quasi anche generalmente, ella è molto più amabile che la pazienza. E ciò si vede tuttodì nella vita. Però il carattere di Rinaldo è molto più simile ad Achille, e molto più poetico, amabile e interessante che quello di Enea. O si può, se non altro, dire con verità che Rinaldo è tanto più amabile di Enea, quanto Enea di Goffredo. Del resto Enea ha passato e passa molte sciagure prima di giungere a stato felice. Ma la compassione ch'elle cagionano non è grande, perch'ella cade sopra un soggetto che il poeta ha creduto di dover fare più [3613]stimabile che amabile; e perchè in oltre non si compatisce molto colui che nella sciagura e nel male mostra quasi di non soffrire.
Da tutte queste considerazioni risulta che l'Iliade oltre all'essere il più perfetto poema epico quanto al disegno, in contrario di quel che generalmente si stima, lo è ancora quanto ai caratteri principali, perchè questi sono più interessanti che negli altri poemi. E ciò perchè sono più amabili. E sono più amabili perchè più conformi a natura, più umani, e meno perfetti che negli altri poemi. Gli autori de' quali, secondo la misera spiritualizzazione delle idee che da Omero in poi hanno prodotta e sempre vanno accrescendo i progressi della civiltà e dell'intelletto umano, hanno stimato che i loro Eroi dovessero eccedere il comune non nelle qualità che natura mediocremente dirozzata e indirizzata produce e promuove (le quali dalle nostre opinioni sono in gran parte e ben sovente considerate per vizi e difetti), ma in quelle che nascono e sono nutrite dalla civiltà e dalla coltura e dalle cognizioni e dall'esperienza [3614]e dall'uso degli affari e della vita sociale, e dalla sapienza e saviezza, e dalla prudenza e dalle massime morali e insomma dalla ragione. Or quelle qualità sono amabili, queste stimabili, e sovente inamabili ed anche odiose. Gli Eroi dell'Iliade sono grandi uomini secondo natura, gli eroi degli altri poemi epici sono grandi secondo ragione; le qualità di quelli sono più materiali, esteriori, appartenenti al corpo, sensibili; le qualità di questi sono tutte spirituali, interiori, morali, proprie dell'animo, e che dall'animo solo hanno ad esser concepite, e valutate. Dico tutte, e voglio intender le principali, e quelle che formano propriamente e secondo l'intenzion de' poeti, il carattere di tali Eroi; perocchè se i poeti v'aggiunsero anche i pregi più esteriori e corporali, gli aggiunsero come secondarii e di minor conto, e vollero e ottennero che nell'idea de' lettori essi fossero offuscati dai pregi morali, e poco considerati a rispetto di questi; e in verità essi son quasi dimenticati, e, come ho detto in proposito di Enea, paion quasi fuor di luogo, e poco convenienti con gli altri pregi, o pare fuor di luogo [3615]il farne menzione e il fermarcisi, come cose degne da esser notate ed espresse.149 E sembra, ed è vero, che i poeti l'han fatto più tosto per usanza e per conformarsi alle regole ed agli esempi, che perchè convenisse al loro proposito e al loro intento, e perchè la natura e lo spirito de' loro poemi e de' loro personaggi lo richiedesse, anzi lo comportasse. Or, siccome l'uomo in ogni tempo, malgrado qualsivoglia spiritualizzazione e qualunque alterazione della natura, sono sempre mossi e dominati dalla materia assai più che dallo spirito, ne segue che i pregi materiali e gli Eroi, dirò così, materiali dell'Iliade, riescano e sieno per sempre riuscire più amabili e quindi più interessanti degli Eroi spirituali e de' pregi morali divisati negli altri poemi epici. E che Omero, ch'è il cantore e il personificatore della natura, sia per vincer sempre gli altri epici, che hanno voluto essere (qual più qual meno) i cantori e i personificatori della ragione. (Perocchè veramente gli Eroi dell'Iliade sono il tipo del perfetto grand'uomo naturale, e quelli degli altri poemi epici [3616]del perfetto grand'uomo ragionevole, il quale in natura e secondo natura, è forse ben sovente il più piccolo uomo).
Del resto par che Omero medesimo sacrificasse e fosse strascinato dalla crescente ragione e civiltà , quando avendo nell'Iliade modellato il perfetto guerriero con sì felice successo, volle poi nella vecchiezza (per quanto si dice dell'epoca dell'Odissea) modellare il perfetto politico; un guerriero giovane, un maturo e quasi vecchio politico; certo con poco felice riuscimento, e men felice di quello degli altri poeti che lui seguirono, i quali fecero i loro Eroi poco amabili, dov'egli il fece poco meno che odievole. E ben era ragione che così fosse, perchè quella era ancor l'epoca della natura, e troppo imperfetta era la ragione perch'altri potesse con buono esito modellare un carattere che avesse ad esser perfetto secondo lei, ed avere in lei il principio e la ragion della sua bontà e perfezione, ossia del suo esser buono e lodevole ec.
(3-6. Ottobre. 1823.). V. p.3768.
Tostar spagn. da torreo-tostus.
(6. Ott. 1823.)
[3617]Torto as da torqueo-tortus.
(6. Ott. 1823.)
Nomi in uosus ec. Impetuosus, da impetus us. Se quella voce, e impetuose, non sono veramente nel buon latino (v. Forcell.) certo elle sono nelle lingue figlie. (V. il Gloss.) Tortuosus, tortuose ec. da tortus us.
(6. Ott. 1823.)
Andare per essere, del che altrove. Ar. Fur. c.11. st.79. Nè però fu tale pena, ch'al delitto ANDASSE eguale.
(6. Ott. 1823.)
Il Tasso, descrivendo i momenti che precedono una battaglia campale, e i due campi ordinati in battaglia (Gerus. Liber. c.20. stanza 30.): Bello in sì bella vista anco è l'orrore, E di mezzo la tema esce il diletto. Tant'è: ogni sensazion viva è gradevole perciocchè viva, benchè d'altronde, e pure per se, dolorosa o paurosa ec. Fuor di quelle che son dolorose al corpo. All'animo, eziandio dolorose, o altramente spiacevoli, sono sempre in qualche parte piacevoli.
(6. Ott. 1823.)
A proposito del diminutivo ginocchio a noi rimasto pel positivo, del che altrove. Genou è il positivo genu. Ma agenouiller viene dal diminutivo [3618]genuculum o ec. non altrimenti che inginocchiare. Il Gloss. ha anche l'espresso ginochium.
Servirsi de' diminutivi in luogo de' positivi fu anche de' greci. ???????? grex ovium è diminutivo di ??????, come ?????? di ????, ma vale il medesimo.
(6. Ott. 1823.)
Alla p.2983. I francesi chiamano cervelet quello che gli anatomici appo noi cerebellum. Sicchè quello è un diminutivo di diminutivo. Così noi diciamo cervellino e agnellino e cento diminutivi di diminutivi positivati. Ma noi sogliamo diminuire anche i diminutivi propri, come in fiorellino ec. fino anche a triplicar la diminuzione.
(7. Ott. 1823.)
La parola veneziana e marchigiana magari si fa venir dal greco ???????? o ?????. Ed io ne son persuasissimo. Così diciamo ancora beato me, beati noi, beato lui, loro, voi, te, se questo accadesse. Ch'equivale a magari, utinam.
(7. Ott. 1823.)
Sciscitor dimostra il proprio participio di scisco, che or veramente non l'ha (siccome non l'hanno tanti altri del suo genere, p.e. hisco ec. neanche il perfetto passato), benchè lo pigli in prestito, siccome anche il perfetto, da scio. V. p.3687. Così scisco e così i suoi composti. [3619]Sciscitor o sciscito, dimostra il partic. sciscitus regolare e perfetto. Giacchè ben s'inganna il Forcellini che deriva sciscitor da scio, da cui esso viene solo in quanto scisco è da scio, come vivisco da vivo ec. ec. (7. Ott. 1823.). Che sciscito sia fatto per anadiplosi di scitus (sia di scitus di scio o di quel di scisco, che secondo me, non è che un medesimo participio) o di scitor oltre l'altre improbabilità , e il suo evidente venir da scisco, (il quale non è fatto per anadiplosi), e il non avervi, ch'io sappia, altro cotal esempio, ec.; lo dimostra per falso la brevità del secondo i, laddove l'i di scitus, e di scitor ec. è lungo. Vedi il pensiero seguente.
(7. Ott. 1823.)
Alla p.2865. marg. Queste osservazioni indebolirebbero o torrebbero l'argomento circa il continuativo di cio e di cieo da me recato a p.2820. Nondimeno io trovo che da scitus di scio lungo, si fa scitor (o scito) altresì lungo. E quanto ai verbi in ito fatto da' participi in itus della quarta congiugazione io credo che in tutti l'i sia lungo come in essi participii (7. Ott. 1823.). Equito è da eques equitis. Bisognerà dire che suppedito sia similmente da pedes peditis, onde gli sia venuta la desinenza in ito. Pur non trovo in ciò gran ragionevolezza, e non rinunzio affatto all'altra mia opinione.
Sancitus, vero participio di sancio per sanctus che n'è contrazione, ancor si trova. Ovvero sancitum ec. V. Forcell.
(7. Ott. 1823.)
[3620]Alla p.3477. Citus a um. Sanctus a um, che nelle lingue figlie non è più che aggettivo. Servio (v. Forcell. Sancio in fine) par che derivi sancio da Sanctus.150 In questo caso ei s'inganna assai, perocch'ei viene a derivare il verbo dal suo participio.
(7. Ott. 1823.)
Relictos atque desertos habere espressamente per reliquisse ac deseruisse. Frammenti dell'epistola di Cornelia madre de' Gracchi, sulla fine; i quali frammenti, come antichi, e come di donna (che men si sapeva allontanare dal modo di parlar familiare e usitato in voce), in alcune parti sanno di frase italiana o vogliamo dir moderna.
(7 Ott. 1823.)
Le voci e frasi greche che ho in più luoghi notate nelle lingue spagnuole francesi e italiane e che non si trovano nel buon latino, possono sì essere state introdotte nel latino volgare dagli scrittori grecizzanti fuor di modo, dalla moltitudine di greci inquilini (la massima parte de' quali apparteneva all'infimo volgo, ai servigi domestici ec.), dal corrotto uso della conversazione romana ec. e non essere state adottate nel linguaggio illustre de' [3621]buoni scrittori, nè anche de' mediocri generalmente, e quindi a noi non essere pervenute nel latino scritto; sì esser venute dalla stessa fonte nel Lazio che nella Grecia, c...
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