[Pagina precedente]...in ciò alla speculazione più che alla pratica, e per la medesima cagione abbiano immaginato, sognato, delirato e spropositato nella politica più che in altra scienza; nondimeno io tengo per fermo che gli antichi, anzi i soli greci, avessero più Utopie119 che tutti i moderni insieme non hanno. Utopia è la repubblica di Platone, sì quella disegnata nella Politia, sì l'altra ne' libri delle Leggi, diversa da quella, come osserva Aristotele nel 2do de' Politici, p.106-16. Utopie furono quelle di Filea Calcedonio (Aristot. Politic. l.2. ed. Victorii, Florent. p.117-26.), e d'Ippodamo Milesio (ib. p.127-35.), Utopia è quella d'Aristotele (v. il Fabricio).120 E senza [3470]fallo Utopie furono ancora i libri politici e peri nomon o nomoi di Teofrasto, di Cleante e d'altri tali filosofi, mentovati dal Laerzio, e i perduti libri pur politici e peri nomon dello stesso Aristotele, e molti altri siffatti.121 Aristotele spianta le repubbliche degli altri, ma nè più nè meno che in filosofia, si crede in obbligo di sostituire, e ci dà la sua repubblica e il suo sistema.122 E così gli altri. Ed è pur notabile che gli antichi, e nominatamente i greci, o avevano, o avevano avuto in mano gli affari pubblici, o potevano averli, o certo, ancorchè stati sempre privati, erano pur parte delle rispettive repubbliche, e contribuivano insieme col popolo al governo. E generalmente parlando, nelle antiche repubbliche, tutte libere, i privati, ancorchè dediti solo a filosofare e studiare, erano più al caso, se non altro per li continui discorsi giornalieri, per lo essersi trovati assai spesso alle concioni, perchè i negozi pubblici passavano tutti e succedevano sotto gli occhi di tutti, e le cause degli avvenimenti erano manifeste, e nulla v'avea di segreto; [3471]erano dico al caso d'intendersi veramente di politica, e di poterne ragionare per pratica, molto più che i moderni privati non sono, i quali si trovano e si son trovati, per lo più, in circostanze tutte opposte, e nemmeno fanno effettivamente parte della loro repubblica e nazione, nè d'altra veruna, se non di nome. E nondimeno essi seguono nella politica l'immaginazione e la speculazione molto manco, e l'esperienza e i fatti molto più che gli antichi non fecero, e vaneggiano e inventano ed errano molto meno.
(19. Sett. 1823.)
?? ?????????? ?? ??? ?????????, ??? ???? ?? ??????? ????? ???? ??? ?????????; Aristot. Polit. l.2. ed. Victor. Flor. 1576. ap. Juntas, p.131.
(19. Sett. 1823.)
Alla p.2916. Questa uniformità di stile in Europa viene ancora da questo che tutte le moderne letterature son venute in principio dalla Francia (anche quel che v'ha nella letteratura e nello stile italiano e spagnuolo di moderno); laonde e gli stili nelle diverse lingue d'Europa sono conformi tra loro di genere, perchè tutti derivati da una stessa fonte; e poca varietà [3472]hanno ciascun d'essi stili verso se medesimo, perchè tutti derivati originariamente da uno stile che non ne ha veruna, e molti modificantisi tuttavia su di questo.
Del rimanente, egli è tanto certo che l'arte dello stile e del dire è propria esclusivamente degli antichi, quanto che l'arte del pensare è propria esclusivamente de' moderni. Gli antichi non solo facevano di quell'arte uno studio infinitamente maggiore che noi non facciamo; non solo ne possedevano e conoscevano mille parti, mille mezzi, mille secreti che noi neppur sospettiamo, e che appena e a gran fatica possiamo intendere quando e' gli spiegano e ne parlano exprofesso (come Cicerone Quintiliano ec.), non solo in somma la detta arte era senza paragone più ampia, stesa, ricca, varia, distinta, accurata, specificata, particolarizzata appo gli antichi che fra i moderni, ma essa era quasi l'unico, e senza quasi il principale studio degli antichi che pretendevano e aspiravano particolarmente al nome di scrittori, e massime di letterati. Si osservino sottilmente le opere d'Isocrate, di Senofonte e di tali altri cento. Tutte parole in sostanza [3473]senza più. Gli antichi letterati, se ben guardiamo, non si proponevano in conchiusione altro, che di dir bene, correttamente, cultamente e artifiziosamente, quello che tutti già sapevano e pensavano o facilissimamente avrebbero potuto e saputo pensare da se, ma pochi sapevano in quel modo significare. E non per altro in verità divenivano famosi che per questo (ancorchè forse nè gli altri nè essi se ne avvedessero, o avessero avuta questa intenzione espressa e distinta e a se medesimi manifesta), quando ottenevano il detto effetto. E non parlo già qui de' sofisti, i quali a differenza degli altri, avevano e professavano apertamente la detta intenzione e la facevano vedere; e questa si era l'unica diversità reale che passasse tra' più antichi sofisti e i classici, e il genere di scrittura di questi e di quelli. Gli uni affettavano di dir bene, e mostravano di affettarlo, gli altri dicevano bene per arte, ma non mostravano di proccurarlo e ricercarlo, come però facevano. Quanto allo stile, questi e quelli differivano notabilmente. Quanto a' concetti, [3474]alle sentenze, all'invenzione, alla condotta, all'ordine ec. non v'è divario alcuno. Si considerino attentamente i due predetti (nemici ambedue de' Sofisti), e tutti quelli che fra gli antichi cercarono e ottennero fama di bene scrivere;123 e si vedrà che ne' loro concetti ec. tutto è sofistico. Nè anche bisognerà molta attenzione ad avvedersene. In Senofonte, particolare odiator de' sofisti, tanto perseguitati dal suo maestro, (v. la fine del Cinegetico) e a lui per se stesso abbominevoli; in Senofonte così candido e semplice e naturale che par tutto l'opposto possibile del sofistico, in Senofonte il sofistico de' concetti dà subito nell'occhio, tanto ch'io lo sentii notare con maraviglia a persona niente intendente nè di greco nè di letteratura antica, che avea non più che gittato l'occhio su certa traduzione di quell'autore. E Socrate stesso, l'amico del vero, il bello e casto parlatore, l'odiator de' calamistri e de' fuchi e d'ogni ornamento ascitizio e d'ogni affettazione, che altro era ne' suoi concetti se non un sofista [3475]niente meno di quelli da lui derisi? E per quanto poco gli antichi generalmente pensassero, non è possibile a credere che i pensieri e le osservazioni di Socrate, di Senofonte, di Isocrate, di Plutarco (tanto più recente) e simili, non fossero al tempo di costoro medesimi, comuni e triviali e volgari (sieno politici, filosofici, morali o qualunque) o eccedessero la comune capacità di pensare, di trovare, di concepire, di osservare. Ma pochi sapevano esprimerli a quel modo, come ho detto di sopra.
È cosa osservata che le antiche opere classiche, non solo perdono moltissimo, tradotte che sieno, ma non vaglion nulla, non paiono avere sostanza alcuna, non vi si trova pregio che l'abbia potute fare pur mediocremente stimabili, restano come stoppa e cenere. Il che non solo non accade alle opere classiche moderne, ma molte di esse nulla perdono per la traduzione, e in qualunque lingua si voglia, sono sempre le medesime, e tanto vagliono quanto nella originale. I pensieri di Cicerone non sono certo così comuni, come quelli de' sopraddetti ec., nè furono de' più [3476]comuni al suo tempo, massime tra' romani. Nondimanco io peno a credere ch'altri possa tollerar di leggere sino al fine (o far ciò senza noia) qualunque è più concettosa opera di Cicerone, tradotta in qual si sia lingua. Che vuol dir ciò, che vuol dir questa differenza di condizione tra l'antiche e le moderne opere, tradotte ch'elle sieno, se non che negli antichi, anche sommi, scrittori, o tutto o il più son parole e stile, tolte o cangiate le quali cose, non resta quasi nulla, e le loro sentenze scompagnate dal loro modo di significarle paiono le più ordinarie, le più trite, le più popolari cose del mondo. Veramente i pensieri degli antichi, più o meno, son persone del volgo: detratta la veste, se le loro forme non appaiono rozze, certo paiono ordinarie, e di quelle che per tutto occorrono, senza nulla di peregrino, nulla che inviti l'occhio a contemplarle, anzi neppure a guardarle, nulla insomma nè di singolare nè di pregevole. Nelle opere moderne all'opposto tutto è pensieri e persona; stile nulla; vesti così dozzinali che più non potrebbero essere. E perciò appunto è necessario che le opere classiche antiche tradotte perdano tutto o quasi tutto il loro pregio cioè quello dello stile, perchè i moderni non hanno di gran lunga l'arte dello stile che gli antichi ebbero nè possono nelle loro tradizioni conservare ad esse opere il detto pregio ec. Ma non conservando lor questo, niuno altro gliene posson lasciare che vaglia la pena della lettura, e che distingua gran fatto esse opere dalle più volgari e mediocri, massime le morali, filosofiche ec. So che la volgarità de' pensieri negli antichi, da molti è considerata come relativa a noi, che sappiam tanto di più; ma [3477]io dico che si fa torto all'antichità , allo spirito e alla ragione umana universale, se non si crede che questa volgarità , almen quanto a grandissima parte d'essi pensieri, non sia assoluta, o non fosse volgarità anche al tempo degli scrittori che gli esposero.
(19. Sett. 1823.)
Sonito da sono as, continuativo o frequentativo (se però non è dal nome sonitus), ma d'incerta fede. Forcell.
(20. Sett. 1823.)
Contentus a um (onde contentare ital. contenter franc. ec.) non è in origine che un participio bello e buono. Eppure appoco appoco ei divenne un aggettivo semplicissimo, e tale egli è unicamente nell'italiano, nel francese nello spagnuolo. (20. Sett. 1823.). Così falsus ec. di cui veggasi la p.3488. V. p.3620.
Frissont, frissonner, - brivido - ??????.
(20. Sett. 1823.)
Alla p.3156. Si potrebbe aggiungere il nostro Monti, nel quale tutto è immaginazione, e nulla parte ha il sentimento, come n'ha grandissima nel più delle poesie di Lord Byron (se però quel di Lord Byron è ben significato [3478]col nome di sentimento). Certo è che il Monti benchè d'immaginazione senz'alcun confronto inferiore a quella di lord Byron, e benchè non abbia di poetico che l'immaginazione (sì nelle cose sì nello stile), si lascia leggere non senza piacere, nè senza effetto poetico, e l'immaginoso in lui comparisce molto più spontaneo e men comandato che in Lord Byron. Ed è forse al contrario, perchè Lord Byron è veramente un uomo di caldissima fantasia naturale, e Monti, qualch'egli sia per se stesso, nelle sue composizioni non è che un buono e valente traduttore di Omero, Virgilio, Orazio, Ovidio ed altri poeti antichi, e imitatore, anzi spesso copista, di Dante, Ariosto e degli altri nostri classici. Sicchè Lord Byron tira le immagini dal suo fondo, e Monti dall'altrui. E se nell'uno ha dell'impoetico lo sforzo che [nel] suo poetare apparisce, nell'altro è veramente impoetico l'imitare e il copiare che però nella sua stessa poesia intrinsecamente non si lascia scorgere. Ond'è che le poesie di Lord Byron sieno meno poetiche, considerate in se stesse, che quelle di Monti. Mentre però questi è infinitamente meno poeta di quello. [3479]E si conchiude che le poesie dell'uno sieno impoetiche, e che l'altro non sia poeta. E l'effetto poetico delle poesie di Monti spetta più agli antichi che a lui, ed è piuttosto come di poesia e d'immaginazione antica, che di moderna. Nel sentimento poi la vena del Monti è al tutto secca, e provandocisi, il che egli fa ben di rado, non ci riesce punto, come nel Bardo.
(20. Sett. 1823.)
Il poeta dee mostrar di avere un fine più serio che quello di destar delle immagini e di far delle descrizioni. E quando pur questo sia il suo intento principale, ei deve cercarlo in modo come s'e' non se ne curasse, e far vista di non cercarlo, ma di mirare a cose più gravi; ma descrivere fra tanto, e introdurre nel suo poema le immagini, come cose a lui poco importanti che gli scorrano naturalmente dalla penna; e, per dir così, descrivere e introdurre immagini, con gravità , con serietà , senz'alcuna dimostrazione di compiacenza e di studio apposito, e di pensarci ...
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