[Pagina precedente]...erfezionarla, l'arricchirla, il dilatarla, il condurla a maturità . Ma l'Italia ha una lingua altrettanto perfetta quanto immensa; bensì da lungo tempo dismessa, e però impropria a' di lui bisogni, a' quali ella non fu ancor mai per alcuno adattata nè adoperata. Conviene adunque indispensabilmente che l'ingegno da noi supposto, innanzi di porsi a scrivere, perfettamente impari questa lingua infinita, che tutta l'abbracci, che la si converta in succo e sangue, che se ne renda risolutissimo e pienissimo possessore e padrone, che n'abbia per le dita e il tutto e fino alle menome parti franchissima e speditissimamente. [3329]Come senza ciò potrebb'egli derivarne e farne nascere e pullulare in guisa che paia del tutto spontanea, una lingua conforme alla natura e a' bisogni de' moderni tempi e delle moderne cognizioni, la qual sembri e sia onninamente una coll'antica? come commettere insieme quella con questa per modo che nulla appaia la commissura? Ma questa lingua essendo antica, egli non la può già imparar dalla balia, ma gli conviene apprenderla per istudio; essendo infinita e in se diversissima, egli non la può apparare con istudio nè breve nè leggero, ma solo con lunghissimi sudori, e profonde ricerche sulle sue proprietà , e continuo esercizio di leggerla e di scriverla, e assiduo ed attentissimo studio de' suoi classici che sono in grandissimo numero. E così facendo, troverà , e sempre più si persuaderà , che siccome della lingua greca si dice, così della italiana si può dire, lei essere veramente infinita, e tale ch'egli è impossibile di tutta abbracciarla, e mai non viene quel giorno che nuove conoscenze intorno a essa lingua non si possano [3330]acquistare, nè che il cammino sia terminato. Ma senza andare agli eccessi; sebbene nulla v'ha qui d'esagerato; senza però voler conservare una troppo grande esattezza nel ragionamento; supponendo ancora, com'è il vero, che un grande e felice ingegno possa arrivare a comprender coll'animo e possedere, se non tutta quanta la nostra lingua, pur tanta parte di lei che la cognizione e la domestichezza d'essa parte, gli basti a poter sulle fondamenta, sull'ordine, sul disegno dell'antica lingua fabbricare come una continuazione d'edificio la moderna; veggasi quanto a costui convien travagliare innanzi di poter far uso de' suoi pensieri. Ella è cosa certa che la vera cognizione e padronanza di una lingua come l'italiana, domanda, per non dir troppo, quasi una metà della vita, e dico di quella cognizione e padronanza ch'è indispensabile a chiunque debba veramente ristorarla. Ma la scienza, la sapienza, lo studio dell'uomo, non domandano tutta la vita? e quella immensa moltiplicità di cognizioni piccole e grandi, quella universalità che [3331]si richiede oggidì quasi generalmente a ogni uomo di lettere, ma ch'è sommamente necessaria al filosofo; la cognizione ed uso e pratica di tante altre lingue antiche e moderne e de' loro autori, letterature ec. domandano poca parte di tempo? Certo è veramente dura e deplorabile oggidì la condizione dell'italiano il quale avesse nella sua mente cose degne d'essere scritte e convenienti a' nostri tempi; perocch'egli, anche volendo usare la maggior semplicità del mondo, non avrebbe una lingua naturale in cui scrivere (come l'hanno i francesi ec. atta a potervi subito scrivere, com'ei l'abbiano competentemente coltivata e studiata), nè il modo di bene esprimere i suoi concetti gli correrebbe mai alla penna spontaneo, ma converrebbe ch'egli si fabbricasse l'istrumento con cui significar le sue idee. E d'altronde ella è ben ardua e difficile la condizione di un ingegno quantunque si voglia grande e colto, al quale oltre la grande impresa di ristorare la letteratura italiana, e dare o mostrare all'Italia una letteratura propria moderna, [3332]quasi ciò fosse poco, converrebbe in prima necessariamente aprirsi la via col ristorare la lingua italiana e dare all'Italia una lingua nazionale moderna, quasi questa ancora non fosse per se sola un'impresa sufficiente a una vita intera e ad un eccellente ingegno.
Tanta è la difficoltà di condurre a termine due imprese di questa sorta, il che dovrebb'esser pure necessariamente lo scopo e l'istituto di qualunque letterato italiano degno di questo nome; e d'altronde egli è così vero che la letteratura e la lingua mai non si scompagnano, nè l'una dall'altra si dissomigliano, e ch'egli è quasi impossibile di scrivere perfettamente, e in forma che paia spontanea, una lingua per solo studio apparata o fabbricatasi; che io siccome so certo che l'Italia non avrà propria letteratura moderna finch'ella non avrà lingua moderna nazionale, così mi persuado che tal lingua ella non avrà mai finchè non abbia tale letteratura: onde (se pur dobbiamo sperarlo) nata una letteratura [3333]moderna italiana, seco a paro nascerà una moderna lingua, e quindi di mano in mano cresceranno ambedue appoco appoco, l'una insieme coll'altra e in virtù dell'altra scambievolmente, ma più la lingua in virtù della letteratura, che questa per l'aiuto di quella. E così con mio dispiacere predìco che seppur avremo mai più lingua moderna propria, questa non nascerà dall'antica nè a lei corrisponderà , ma nascendo dalla nuova letteratura, a questa sarà conforme: ed essendo di origine straniera, ci si verrà appoco appoco appropriando e pigliando forme nazionali (quai ch'elle saranno per essere; non già le antiche) a proporzione che la nuova letteratura diverrà nazionale, e metterà radici in Italia, e si nutrirà e crescerà del nostro terreno, e produrrà frutti propri italiani. A questo mi conduce il considerare che nè i nostri antichi scrittori nè i moderni o antichi di nazione alcuna presente o passata, furono mai pensatori, originali ec. scrivendo in altra lingua che in quella del loro secolo e in quella usata generalmente [3334]da' nazionali, e che loro veniva alla penna spontanea, ben da loro assai volte (come da Cicerone) raffinata, riformata, accresciuta, perfezionata, ma non mai per solo studio appresa, per solo studio quasi ricreata. Al quale immenso travaglio, ed alla continua difficoltà di scrivere e perfettamente scrivere in una tal lingua ancor dopo appresa, formata e posseduta, è quasi impossibile trovare un pensatore originale, un gran filosofo, un uomo di genio e di grande immaginazione, che si assoggetti; o che assoggettandocisi, si conservi in se stesso e ne' suoi scritti, pensatore, filosofo, originale; senza di che sarebbe inutile l'esservisi assoggettato. Non altrimenti che siano inutili allo scopo di dare all'Italia lingua e letteratura moderna propria, coloro che oggi si sforzano di scrivere in buono italiano, da' quali è rimota ogni sorta di pensiero, non solo nuovo ma moderno, e che avendo a nominar qualche cosa moderna, la nominano o accennano copertamente, e avendo talvolta a mostrare qualche conoscenza, qualche idea di quelle che i nostri antichi non avevano, si fanno un pregio e un dovere di non farlo che dissimulatamente, fingendosi [3335]il più che possono ignoranti di quanto gli antichi ignoravano. E non altrimenti che inutili al sopraddetto scopo sieno oggidì coloro che tra noi pur pensano qualche cosa (ben pochi e poco), o che da' paesi di fuori recano a noi qualche pensiero ec. i quali tutti non iscrivono italiano ma barbaro. E questa separazione e distinzione di gente che scrive in italiano (vero o preteso), e gente che pensa, stimo per le suddette ragioni, che sempre sia per durare in Italia; mentre questi non prevagliano a quelli, formando finalmente appoco appoco un nuovo italiano illustre e rendendolo universale tra noi in vece dell'antico. Dal che siamo ancora ben lontani, massime oggidì, che il numero e il valore di quelle ombre di filosofi che ha veduto fin qui l'Italia, va pur sempre notabilissimamente scemando; e sempre per lo contrario crescendo, non il valore, ma il numero di quelli che pretendono e aspirano a scrivere il buon italiano; onde l'Italia è quasi tutta rivolta di nuovo alla sua antica lingua, e di pensieri oramai nulla più pensa nè [3336]cura nè richiede; propriamente nulla.
Mala cosa per certo si è l'interruzione degli studi,
dovunque ella accada, sì per mille altri danni, sì perchè
colla letteratura ella antiqua la lingua illustre.88 Di modo che risorgendo essa letteratura, l'è grandissimo impedimento e indugio a poter crescere e formarsi la mancanza di lingua a lei conveniente, e il tempo e l'industria che bisogna spendere in fornirnela. Quanto crediamo noi che ritardasse gli avanzamenti dello spirito umano (non in una sola nazione ma in tutta l'Europa) dopo il risorgimento degli studi, la mancanza di lingue proprie alle nuove lettere? La qual mancanza non da altro provenne che dalla diuturna interruzione della letteratura in Europa. Perocchè la lingua latina non avrebbe cessato di esser parlata e propria degli europei, se fosse durata la letteratura latina. Ben si sarebbe sempre modificata secondo i tempi, di modo ch'ella oggidì sarebbe diversa dall'antica; ma sarebbe pur lingua latina; e in Europa si parlerebbe e scriverebbe il latino come lingua propria, come moderna, come conveniente a' nostri tempi (quale infatti ella sarebbe); e lo spirito umano sarebbe più oltre ch'ei non è, [3337]perchè sarebbe stato impiegato nel coltivar la sapienza e le lettere quel tempo che fu dovuto spendere nel formare delle lingue convenienti a queste, e ai costumi e al carattere de' moderni secoli. Il che volendo evitare e risparmiare i primi cultori de' risuscitati studi, si ostinarono a volere scrivere in latino; ma il latino era lingua antica, nè mai in una lingua antica si potranno scriver cose moderne nè scriverle modernamente. E molto nocque una tale ostinazione al progresso de' lumi e della coltura e alla formazione dello spirito nazionale e moderno. Il quale non mai si sarebbe formato se non fossero state formate e stabilite le lingue moderne in vece della latina. Siccome per lo contrario si vede che queste non prima furono formate e stabilite di quel che lo spirito nazionale e moderno pigliasse una consistenza e una certa forma e fisonomia propria, prima in Italia, poscia in Ispagna, indi in Francia e in Inghilterra, ultimamente in Germania, che ultima di tutte queste nazioni lasciò l'uso della lingua latina come letterata e illustre, e le sostituì [3338]la nazionale. E questo esempio dell'Europa si deve proporzionatamente applicare e paragonare al caso dell'odierna Italia, e dedurne delle congetture, certo assai verisimili e solide, circa il futuro esito delle nostre presenti circostanze.
(1-2. Settembre. 1823.)
Del resto, dalle considerazioni qui dietro fatte sulla necessità che l'Europa e lo spirito umano avevano di nuove lingue illustri a potersi avanzare e nè costumi e nelle scienze e nelle lettere e nella filosofia, dopo il risorgimento degli studi; e sul grandissimo detrimento e ritardo che portò alla rinata civiltà la rinnovazione dell'uso esclusivo del latino come lingua illustre; e sul maggior danno e indugio che le avrebbe apportato la continuazione di tale uso, apparisce più visibilmente che mai quanto debbano a Dante, non pur la lingua italiana, come si suol predicare, ma la nazione istessa, e l'Europa tutta e lo spirito umano. Perocchè Dante fu il primo assolutamente in Europa, che (contro l'uso e il sentimento di tutti i suoi contemporanei, e di molti posteri, che di ciò lo biasimarono: v. Perticari Apologia cap.34.) ardì concepire [3339]e scrisse un'opera classica e di letteratura in lingua volgare e moderna, inalzando una lingua moderna al grado di lingua illustre, in vece o almeno insieme colla latina che fino allora da tutti, e ancor molto dopo da non pochi, era stata e fu stimata unica capace di tal grado. E quest'opera classica non fu solo poetica, ma come i poemi d'Omero, abbracciò espressamente tutto il sapere di quella età , in teologia, filosofia, politica, storia, mitologia ec. E riuscì classica non rispetto solamente a quel tempo, ma a tutti i tempi, e tra le primarie; nè solo rispetto all'Italia ma a tutte le nazioni ...
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