[Pagina precedente]...c., ovvero miseria, calamità , povertà , laboriosità ec. E che in processo di tempo, molti di essi, e forse i più, perduta o fatta men comune e antiquata o poetica ec. questa significazione non ritennero nell'uso ordinario che quella di ribaldo, cattivo, scellerato, malvagità , nequizia ec. quasi fosse impossibile che il misero non fosse malvagio. Probabilmente la distinzione tra ??????? miser e ????????improbus, e la diversa accentazione, non vien che da' grammatici greci, i quali non considerarono i tanti altri esempi di voci sì greche sì forestiere che riuniscono l'una e l'altra significazione, e non avvertirono che la seconda è un vero e mero traslato della prima.
(8. Sett. Natività di Maria Vergine Santissima. 1823.) V. 823.
È tanto mirabile quanto vero, che la poesia la quale cerca per sua natura e proprietà il bello, e la filosofia ch'essenzialmente ricerca il vero, cioè la cosa più contraria al bello; sieno le facoltà le [3383]più affini tra loro, tanto che il vero poeta è sommamente disposto ad esser gran filosofo, e il vero filosofo ad esser gran poeta, anzi nè l'uno nè l'altro non può esser nel gener suo nè perfetto nè grande, s'ei non partecipa più che mediocremente dell'altro genere, quanto all'indole primitiva dell'ingegno, alla disposizione naturale, alla forza dell'immaginazione. Di ciò ho detto altrove. Le grandi verità , e massime nell'astratto e nel metafisico o nel psicologico ec. non si scuoprono se non per un quasi entusiasmo della ragione, nè da altri che da chi è capace di questo entusiasmo. (Eccetto ch'elle sieno scoperte appoco appoco, piuttosto dal tempo e dai secoli, che dagli uomini, in guisa che a nessuno in particolare possa attribuirsene il ritrovamento, il che spesso accade). La poesia e la filosofia sono entrambe del pari, quasi le sommità dell'umano spirito, le più nobili e le più difficili facoltà a cui possa applicarsi l'ingegno umano. E malgrado di ciò, e dell'esser l'una di loro, cioè la poesia, la più utile veramente di tutte le facoltà , sì la poesia, [3384]come la filosofia sono del pari le più sfortunate e dispregiate di tutte le facoltà dello spirito. Tutte l'altre dà nno pane, molte di loro recano onore anche durante la vita, aprono l'adito alle dignità ec.: tutte l'altre, dico, fuorchè queste, dalle quali non v'è a sperar altro che gloria, e soltanto dopo la morte. Povera e nuda vai, filosofia.98 Della sorte ordinaria de' poeti mentre vivono, non accade parlare. Chi s'annunzia per medico, per legista, per matematico, per geometra, per idraulico, per filologo, per antiquario, per linguista, per perito anche in una sola lingua; il pittore eziandio e lo scultore e l'architetto; il musico, non solo compositore ma esecutore, tutti questi son ricevuti nelle società con piacere, trattati nelle conversazioni e nella vita civile con istima, ricercati ancora, onorati, invitati, e quel ch'è più premiati, arricchiti, elevati alle cariche e dignità . Chi s'annunzia solo per poeta o per filosofo, ancorch'egli lo sia veramente, e in sommo grado, non trova chi faccia caso di lui, non ottiene neppure ch'altri gli parli con leggiere testimonianze di stima. La ragione si è che tutti si credono esser filosofi, [3385]ed aver quanto si richiede ad esser poeti, sol che volessero metterlo in opera, o poterlo facilissimamente acquistare e adoperare. Laddove chi non è matematico, pittore, musico ec. non si crede di esserlo, e riguarda come superiori per questo conto a lui ed al comune degli uomini, quei che lo sono. Il genio, da cui principalmente pende e nasce la facoltà poetica e la filosofica, non si misura a palmi, come ciò che si richiede a esser medico o geometra. Quindi nasce che quello ch'è più raro tra gli uomini tutti si credano possederlo. E quindi è che le due più nobili, più difficili e più rare, anzi straordinarie, facoltà , la poesia e la filosofia, tutti credano possederle, o poterle acquistare a lor voglia. Oltre che il genio non può essere nè giudicato, nè sentito, nè conosciuto, nè aperçu che dal genio. Del quale mancando quasi tutti, nol sentono nè se n'avveggono quand'ei lo trovano. E il gustare, e potere anche mediocremente estimare il valor delle opere di poesia e di filosofia, non è che de' veri poeti e de' veri filosofi, a differenza delle opere dell'altre facoltà . ec.
[3386]E qui si consideri il divario fra gli antichi e i moderni tempi. Chè fra gli antichi i filosofi, e massime i poeti, avevano senza contrasto il primo luogo, se non nella fortuna (molti filosofi l'ebbero ancora nella fortuna, come Pitagora, Empedocle, Archita, Solone, Licurgo ed altri de' più antichi, che furono padroni delle rispettive repubbliche), certo nella estimazion pubblica, non solo dopo morte, ma durante la loro vita. E pure molti più erano allora che oggidì quelli che potevano esser poeti, perchè l'immaginazione era signora degli uomini; e la debole filosofia di que' tempi non distingueva gran fatto i filosofi da' volgari, nè molto si richiedeva per giungere alle loro cognizioni, e per salire alla loro altezza. - ec. ec.
(8. Sett. Natalizio di Maria Vergine Santissima. 1823.)
Alla p.3205. Un suono dolce o penetrante, indipendentemente dall'armonia o melodia che può sembrare aver rapporto alle idee, gli odori, il tabacco ec. influiscono sull'immaginazione massimamente, e v'influiscono in modo al tutto fisico, cioè senz'alcun rapporto per se stessi alle idee. Laddove quegli oggetti che agiscono sull'immaginazione [3387]e la risvegliano ec. per mezzo del senso della vista, lo fanno eccitando certe idee apposite, legate a quei tali oggetti o per la lor propria forma, o per le rimembranze ch'essi destano nella memoria, o per immagini adeguate e analoghe in qualunque modo a quella tal vista ec. Niente di ciò accade nel suono semplicemente considerato, negli odori, nel tabacco ec. se non accidentalmente, ed anche fuori di tale accidente, quelle cose influiscono a dirittura sulla facoltà immaginativa. Così discorrasi anche della luce per se stessa e indipendentemente dagli oggetti ch'ella ci discuopre allo sguardo; perocchè anche la luce per se influisce e sveglia fisicamente la facoltà immaginativa, senza relazione propria e particolare a veruna idea. Certo l'immaginazione è visibilmente sottoposta a mille cause totalmente fisiche, che la commuovono e scuotono, o l'assopiscono e intorpidiscono, la sollevano o la deprimono, l'eccitano o la raffrenano, la scaldano o l'agghiacciano. Se dunque l'immaginazione, [3388]perchè non l'ingegno? mentre quella è pure una facoltà tutta spirituale, o tutta appartenente a ciò che nell'uomo si considera come spirito; è una parte o facoltà dell'animo solo, dello spirito ec. e dello stesso ingegno.
(9. Settembre. 1823.). V. p.3552.
Molti presenti italiani che ripongono tutto il pregio della poesia, anzi tutta la poesia nello stile, e disprezzano affatto, anzi neppur concepiscono, la novità de' pensieri, delle immagini, de' sentimenti; e non avendo nè pensieri, nè immagini, nè sentimenti, tuttavia per riguardo del loro stile si credono poeti, e poeti perfetti e classici; questi tali sarebbero forse ben sorpresi se loro si dicesse, non solamente che chi non è buono alle immagini, ai sentimenti, ai pensieri non è poeta, il che lo negherebbero schiettamente o implicitamente;99 ma che chiunque non sa immaginare, pensare, sentire, inventare, non può nè possedere un buono stile poetico, nè tenerne l'arte, nè eseguirlo, nè giudicarlo nelle opere proprie nè nelle altrui; che l'arte e la facoltà e l'uso dell'immaginazione e dell'invenzione è tanto indispensabile allo stile [3389]poetico, quanto e forse ancor più ch'al ritrovamento, alla scelta, e alla disposizione della materia, alle sentenze e a tutte l'altre parti della poesia ec. (Vedi a tal proposito la p.2978-80.) Onde non possa mai esser poeta per lo stile chi non è poeta per tutto il resto, nè possa aver mai uno stile veramente poetico, chi non ha facoltà , o avendo facoltà non ha abitudine, di sentimento di pensiero di fantasia d'invenzione, insomma d'originalità nello scrivere.
(9. Sett. 1823.)
La lingua spagnuola, secondo me, può essere agli scrittori italiani una sorgente di buona e bella ed utile novità ond'essi arricchiscano la nostra lingua, massimamente di locuzioni e di modi.
1° Io penso che niuno possa pienamente discorrere di niuna delle cinque lingue che compongono la nostra famiglia, ciò sono greca, latina, italiana, spagnuola, e francese, s'egli non le conosce più che mediocremente tutte cinque.
2° La lingua spagnuola è sorella carnalissima della nostra. Or come sia ragionevole il derivar [3390]nuove ricchezze nella lingua propria dalle lingue sorelle, vedi, fra l'altre, p.3192-6.
3° La potenza avuta dagli Spagnuoli in Europa, e in Italia nominatamente, al tempo appunto che la lingua e letteratura nostra si formava e perfezionava, ciò fu nel cinquecento,100 a fece che molte voci e molte più locuzioni e forme spagnuole fossero, non solo dal volgo e nel discorso familiare, ma dai dotti e dai letterati nella lingua scritta ed illustre italiana introdotte o accettate in quel secolo e nel seguente eziandio (dal Redi, dal Salvini, dal Dati ec. V. p. es. la Crusca in alborotto, verdadiero Dallo spagnuolo viene l'avv. giacchè o già che per poichè, usitatissimo appo i nostri migliori del seicento). Perocchè la lingua spagnuola era a quel tempo generalmente studiata, intesa, parlata, scritta, e fino stampata, in Italia. (V. Speroni Oraz. in lode del Bembo nelle Orazz. Ven. 1596: p.144; Caro Lett. vol.2. lett.177.) E questa è primieramente un'ottima ragione perchè dalla lingua spagnuola si possa ancora [3391]attingere, dico l'essersene già molto attinto. Così sempre accade nelle lingue. Il già tolto d'altronde e naturalizzato, prepara gli orecchi e il gusto a quello che si voglia ancor torre dallo stesso luogo, appiana la strada, apparecchia quasi il posto e il letto alle novità che dalla medesima fonte si vogliano dedurre, e ne facilita l'introduzione. Il canale è scavato, nè fa di bisogno fabbricarlo; sta allo scrittore il dar corso per esso alle acque, giusta la misura che gli paia opportuna. Aggiungasi a questo, che tale commercio onde la lingua italiana si arricchì della spagnuola, fu, come ho detto, nel secolo in che la nostra lingua si formò e perfezionò, e prese o determinò il suo carattere, cioè nel cinquecento; ond'è ben naturale che molte parti della lingua spagnuola non ancora da noi ricevute, convengano e consuonino colle proprietà della nostra lingua, poichè non poche forme e locuzioni, ed anche non poche voci spagnuole e significazioni di voci, entrarono nella composizione della nostra lingua appunto quand'ella ricevè la sua piena forma e perfezionamento e la distinta specifica impronta del suo [3392]carattere. Finalmente è da osservarsi che mentre i nostri antichi non solo nel cinquecento, ma fin dal ducento e dal trecento introdussero nella lingua nostra moltissime voci, locuzioni e forme francesi che ancora in buona parte vi si conservano, queste, da tanto tempo in qua, e similmente quelle altre infinite che i moderni v'introdussero e v'introducono tuttavia, serbano sempre, chi ben le guarda, una sembianza e una fisonomia di forestiere, massime le locuzioni e forme. Laddove le frasi e i modi, ed anche i vocaboli spagnuoli introdotti nella nostra lingua, stanno e conversano in essa colle nostre voci italiane così naturalmente che paiono non venuti ma nati, non ispagnuoli ma italiani quanto alcun altro mai possa essere e quanto lo sono i nostri propri vocaboli. Anzi io so certo che pochissimi, ma veramente pochissimi, sanno, o sapendo, avvertono questi tali esser modi e vocaboli o significati d'origine spagnuola. Ben ne veggo assai sovente de' riputati e battezzati per purissimi italiani natii.101 Nè me ne maraviglio, perocchè in essi la differenza dell'origine nulla si sente, ed è possibile il saperla, ma [3393]non il sentirla. E non voglio tacere che delle tante parole, frasi e forme francesi introdotte da' nostri antichi, sia duce...
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