[Pagina precedente]...'amabile ec. cagionato dal progresso della civiltà , e decremento dell'ignoranza; o (più verisimilmente) ebbe origine e occasione da questo passaggio, di essere inventata naturalmente.
Del resto, ho detto altrove che dalla considerazione della divinità come formidabile, odiosa, odiatrice, nemica ec. nacque l'uso de' sacrifizi cruenti, comune alla massima parte degli antichi popoli e de' selvaggi ch'ebbero o hanno una qualunque religione o tintura di religione. Ora è da notare che detti sacrifizi furono e sono tanto più crudeli, quanto i detti popoli furono o sono più barbari e ignoranti, perchè tanto più crudele, nemica, maligna, odiosa, terribile e' si figuravano o si figurano la divinità . Onde per placarla e soddisfarla, tormentano le vittime, volendo pascere il di lei odio e sfamarlo, acciocch'esso risparmi i sacrificatori. E perciò ne' più antichi tempi de' greci e de' latini, così de' Galli a' tempi e nella religione de' Druidi, tra' Celti ec. furono propri di questi popoli [3642]ancor barbari e ignoranti, i sacrifizi d'uomini (che poi per l'uso durarono anche fino a tempi più civili), e lo sono e furono d'altri moltissimi popoli selvaggi; come che con tali sacrifizi meglio si soddisfacesse l'ira e l'odio della divinità verso gli uomini, cioè verso quel tal genere che a lei facea sacrifizi. E non pur d'uomini nemici, che non sarebbe gran meraviglia (uso anch'esso comunissimo tra' selvaggi), o di colpevoli e malvagi, ma eziandio nazionali e probi, benchè questi sacrifizi sieno e fossero meno frequenti di quelli di nemici o di rei. Qua si può riferire lo spontaneo sacrifizio e devozione (cioè esecrazione di se stessi ec.) di Codro, de' Decii, di Curzio (s'è vero) e simili. Tutti appartenenti a' più antichi e barbari tempi della Grecia e di Roma, nè mai rinnovati ne' tempi civili appo l'una nè l'altra nazione.
È da considerare ancora che tra' selvaggi e tra' barbari antichi o moderni ch'ebbero o hanno più divinità , altre più odiose, altre meno, altre amabili e buone ec.; le più venerate e colte con sacrifizi e riti e cerimonie e preci ec. sono o furono le più cattive, [3643]terribili, odiose, brutte a vedere ec. perchè il timore è più forte, valevole, efficace, attivo che la speranza e l'amore. Al contrario accadde e accade ne' men barbari ec. e tanto più quanto men barbari, e altresì in quelle medesime nazioni in tempi più civili, e a proporzione degl'incrementi della civiltà e delle conoscenze e del lume della ragione ec. e de' progressi dello spirito umano. L'una e l'altra di queste verità è dimostrata dalla storia, dalle notizie dell'antichità , e dalle relazioni de' viaggiatori ec. V. fra gli altri mille, D. Ant. de Solìs, Historia de la Conquista de Mexico L.1. c.15. p.43-45. L.3. c.13. p.236-8. Madrid 1748.
(9. Ott. 1823.)
Fuoco - Il suo uso è indispensabile necessità ad una vita comoda e civile, anzi pure ai primissimi comodi. - Or tanto è lungi che la natura l'abbia insegnato all'uomo, che fuor di un puro caso, e senza lunghissime e diversissime esperienze, ei non può averlo scoperto nè concepito - E non possono neppure i filosofi indovinare come abbia fatto l'uomo non pure ad accendere, ma a vedere e scoprire il primo fuoco. Chi ricorre a un incendio cagionato dal fulmine, chi al frottement reciproco de' rami degli alberi cagionato da' venti nelle [3644]foreste, chi a' volcani, e chi ad altre tali ipotesi l'una peggio dell'altra - E conosciuto il fuoco, come avrà l'uomo trovato il modo di accenderlo sempre che gli piaceva? Senza di che e' non gli era di veruno uso. E di estinguerlo a suo piacere? Quanto avrà egli dovuto tardare a sapere e a trovar tutte queste cose - Gli antichi favoleggiavano che il fuoco fosse stato rapito al cielo e portato di lassù in terra. Segno che l'antica tradizione dava l'invenzione del fuoco e del suo uso e del modo di averlo, accenderlo, estinguerlo a piacere, per un'invenzione non delle volgari, ma delle più maravigliose; e che questa invenzione non fu fatta subito, ma dopo istituita la società , e non tanto ignorante, altrimenti ella non avrebbe potuto dar luogo a una favola, e a una favola la quale narra che il ratto del fuoco fu opera di chi volle beneficare la società umana ec. - Non solo la natura non ha insegnato l'uso del fuoco, nè somministrato pure il fuoco agli uomini se non a caso, ma ella lo ha fatto eziandio formidabile, e pericolosissimo il suo uso. E lasciando i danni morali, quanti infiniti ed immensi danni fisici non ha fatto l'uso del fuoco sì all'altre [3645]parti della natura sì allo stesso genere umano. Niuno de' quali avrebbe avuto luogo se l'uomo non l'avesse adoperato, e contratto il costume di adoperarlo. Il fuoco è una di quelle materie, di quegli agenti terribili, come l'elettricità , che la natura sembra avere studiosamente seppellito e appartato, e rimosso dalla vista e da' sensi e dalla vita degli animali, e dalla superficie del globo, dove essa vita e la vegetazione e la vita totale della natura ha principalmente luogo, per non manifestarlo o lasciarlo manifestare che nelle convulsioni degli elementi e ne' fenomeni accidentali e particolari, com'è quello de' vulcani, che sono fuor dell'ordine generale e della regola ordinaria della natura. Tanto è lungi ch'ella abbia avuto intenzione di farne una materia d'uso ordinario e regolare nella vita degli animali o di qualsivoglia specie di animali, e nella superficie del globo, e di sottometterlo all'arbitrio dell'uomo, come le frutta o l'erbe ec., e di destinarlo come necessario alla felicità e quindi alla natural perfezione della principale specie di esseri terrestri - [3646]Orazio (1. od.3.) considera l'invenzione e l'uso del fuoco come cosa tanto ardita, e come un ardire tanto contro natura, quanto lo è la navigazione, e l'invenzion d'essa; e come origine, principio e cagione di altrettanti mali e morbi ec. di quanti la navigazione; e come altrettanto colpevole della corruzione e snaturamento e indebolimento ec. della specie umana - Ma il fuoco è necessario all'uomo anche non sociale, ed alla vita umana semplicemente. Come si vivrebbe in Lapponia o sotto il polo, anzi pure in Russia ec. senza il fuoco? Primieramente, rispondo io, come dunque la natura l'ha così nascosto ec. come sopra? Come poteva ella negare agli esseri ch'ella produceva il precisamente necessario alla vita, all'esistenza loro? o render loro difficilissimo il procacciarselo? e pericolosissimo l'adoperare il necessario? pericolosissimo, dico, non meno a se stessi che altrui? Ed essendo quasi certo, secondo il già detto, che gli uomini non hanno potuto non tardare un pezzo (più o men lungo) a scoprire il fuoco, e più ad avvedersi che lor potesse [3647]servire ed a che, e più a trovare il come usarlo, il come averlo al bisogno ec. e a vincere il timore che e' dovette ispirar loro, sì naturalmente, sì per li danni che ne avranno ben tosto provati e certo prima di conoscerne anzi pur d'immaginarne l'uso e la proprietà , sì ancora forse per le cagioni che lo avranno prodotto (come se fulmini o volcani o tali fenomeni ec.), sì per gli effetti che n'avranno veduto fuor di se, come incendi e struggimenti d'arbori, di selve ec. morti e consunzioni e incenerimento d'animali, o d'altri uomini ec. ec.; stante dico tutto questo, come avranno potuto vivere tanti uomini, o sempre, o fino a un certo tempo, senza il necessario alla vita loro? Secondariamente, chiunque non consideri il genere umano per più che per una specie di animali, superiore bensì all'altre, ma una finalmente di esse; chiunque si contenti e si degni di tener l'uomo non per il solo essere, ma per un degli esseri, di questa terra, diverso dagli altri di specie, ma non di genere nè totalmente, nè formante un ordine e una natura a parte, ma compreso nell'ordine e nella natura di tutti gli altri esseri sì della terra sì di questo mondo, [3648]e partecipante delle qualità ec. degli altri, come gli altri delle sue, e in parte conforme in parte diverso dagli altri esseri, e fornito di qualità parte comuni parte proprie, come sono tutti gli altri esseri di questo mondo, ed insomma avente piena e vera proporzione cogli altri esseri, e non posto fuor d'ogni proporzione e gradazione e rispetto e attinenza e convenienza e affinità ec. verso gli altri; chiunque non crederà che tutto il mondo o tutta la terra e ciascuna parte di loro sian fatte unicamente ed espressamente per l'uomo, e che sia inutile e indegna della natura qualunque cosa, qualunque creatura, qualunque parte o della terra o del mondo non servisse o non potesse nè dovesse servire all'uomo, nè avesse per fine il suo servigio; chiunque così la pensi, risponderà facilmente alla soprascritta obbiezione. S'egli v'ha, come certo v'avrà , una specie di pianta, che rispetto al genere de' vegetabili ed alla propria natura loro generale, sia di tutti i vegetabili il più perfetto, e sia la sommità del genere vegetale, come lo è l'uomo dell'animale, non per questo [3649]seguirà nè sarà necessario ch'essa pianta nè si trovi nè prosperi, nè debba nè pur possa prosperare nè anche allignare nè nascere in tutti i paesi e climi della terra, nè in qualsivoglia regione de' climi ov'ella più prospera e moltiplica, nè in qualsivoglia terreno e parte delle regioni a lei più proprie e naturali. Così discorrasi nel genere o regno minerale, e negli altri qualunque. Che all'uomo in società giovi la moltiplicazione e diffusione della sua specie, o per meglio dire che alla società giovi la moltiplicazione e propagazione della specie umana, e tanto più quanto è maggiore, questo è altro discorso,155 e certo s'inganna assai chi lo nega. Ma che la natura medesima abbia destinato la specie umana a tutti i climi e paesi, e tutti i climi e paesi alla specie umana, questo è ciò che nè si può provare, e secondo l'analogia, che sarà sempre un fortissimo, e forse il più forte argomento di cognizione concesso all'uomo, si dimostra per falsissimo. Niuna pianta, niun vegetale, niun minerale, niuno animale conosciuto si trova in tutti i paesi e climi [3650]nè in tutti potrebbe vivere e nascere, non che prosperare ec. Altre specie di vegetabili e di animali ec. si trovano e stanno bene in più paesi e più diversi, altre in meno, niuna in tutti, e niuna in tanti e così vari di qualità e di clima, in quanti e quanto vari è diffusa la specie umana. Tra la propagazione e diffusione di questa specie e quella dell'altre non v'ha proporzione alcuna. E notisi che la propagazione di molte specie di animali, di piante ec. devesi in gran parte non alla natura, ma all'uomo stesso, onde non avrebbe forza di provar nulla nel nostro discorso. Molte specie che per natura non erano destinate se non se a un solo paese, o a una sola qualità di paesi, o a paesi poco differenti, sono state dagli uomini trasportate e stabilite in più paesi, in paesi differentissimi ec. Ciò è contro natura, come lo è lo stabilimento della specie umana medesima in quei luoghi che a lei non convengono. Le piante, gli animali ec. trasportate e stabilite dall'uomo in paesi a loro non convenienti, o non ci durano, o non prosperano, o ci degenerano, ci si trovano male ec. Gl'inconvenienti [3651]a cui le tali specie sono soggette ne' tali casi in siffatti luoghi, sono forse da attribuirsi alla natura? e se esse in detti luoghi, pur, benchè male, sussistono, si dee forse dire che la natura ve le abbia destinate? e il genere di vita ch'esse sono obbligate a tenere in siffatti luoghi, o che loro è fatto tenere, e i mezzi che impiegano a sussistere, o che s'impiegano a farle sussistere, si debbono forse considerare come naturali, come lor propri per loro natura? e argomentare da essi delle intenzioni della natura intorno a detta specie?
Mentre pertanto non si può dubitare che la natura, quanto a se, ha limitato ciascuna specie di animali, di vegetabili ec. a certi paesi e non più; nel tempo stesso, al modo che nelle altre cose non si vuol riconoscere alcuna proporzione e analogia tra la specie umana e l'altre specie di esseri terrestri o mondani, così si pretende che l...
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