[Pagina precedente]...ene spesso e forse il più delle volte, non son tali per grandezza assoluta di niuna loro qualità , nè anche per grandezza o forza ec. di essa qualità considerata rispettivamente a quel ch'ella suol essere nel comune degli uomini; insomma non sono straordinarii perchè veruna lor qualità sia straordinaria (cioè non si trovi nel comune), nè straordinariamente grande o perfetta ec.; ma solo per lo squilibrio delle loro qualità , cioè perchè l'una o più d'una di esse, senza esser nè straordinaria, nè maggior ch'ella soglia, prepondera all'altre, e perciò risalta e dà negli occhi. Mentre molti uomini [3448]di qualità tutte grandi, (ed anche straordinarie), ma ben tra loro equilibrate, bilanciate e compensate, sicchè l'una non eccede l'altra, non sono stimati straordinarii, perchè l'una offusca lo splendore e nuoce alla vista dell'altra scambievolmente. E spesse volte lo stesso avere, benchè non tutte, però molte o parecchie qualità grandi, (ed anche straordinarie), producendo un certo equilibrio e contrappeso, e facendo che l'una di loro renda l'altra meno notabile, è cagione che l'uomo non paia straordinario. Ed all'opposto l'averne poche o una sola che sia o straordinariamente grande o straordinaria, producendo uno squilibrio e sbilancio, non solo non nuoce alla riputazione d'uomo straordinario, nè la rende minore, ma la produce e l'accresce.
(16. Sett. 1823.)
Tragedie o drammi di lieto fine. - L'effetto loro totale, si è di lasciar gli affetti dell'uditore in pieno equilibrio; cioè di esser nullo. - Il fine dei drammi non è, e non dev'essere, d'insegnare a temere il delitto, cioè di far che gli uomini temano di peccare. Meglio sarebbe una predica dell'inferno o del purgatorio; e meglio ancora una [3449]lettura del codice penale, che si facesse dalla scena. Il loro scopo si è d'ispirare odio verso il delitto. Questo è ciò che le leggi non possono. Laddove l'ispirar timore è proprio uffizio di esse, ed esse sole il possono, o certo più e meglio d'ogni altra cosa, eccetto forse l'esempio vivo de' gastighi, cioè l'effettiva esecuzione delle leggi penali. Ora la punizione del delitto non ispira odio. Anzi lo scema, perchè sottentra e con lui si mescola la compassione. Anzi lo distrugge, perchè la vendetta spegne tutti gli odi. Anzi produce un effetto a lui contrario, perchè la compassione è contraria all'odio; e spesso avviene che nel veder punito il delitto, questa superi ogni altro sentimento, e gli spenga, e resti sola; e spesso la pena, benchè giusta ed equa, par più grave del delitto; e spessissimo è odiosa, parte per la pietà , parte perchè alcuni per viltà d'animo e poca stima di se stessi, altri per cognizione dell'uomo, si sentono, più o meno, prossimamente o lontanamente, capaci di peccare; e niuno ama di esser punito, anzi tutti abborrono il gastigo in se stessi. - Il dramma [3450]di lieto fine coll'effetto di una sua parte distrugge quello dell'altra.118 Voglio dire la compassione. (Dell'odio verso la colpa, ch'è pur distrutto dalla catastrofe, ho già detto). Il giusto ec. divenuto felice, per infelice che sia stato, non è più compatito. Ognuno quasi si contenterebbe di arrivare per la stessa strada alla stessa sorte. L'oppresso vendicato non è compatito. Ora egli è cosa stoltissima il travagliare in un dramma ec. ad eccitare un affetto che il dramma medesimo debba direttamente spegnere, e che, non a caso, ma per intenzione dell'autore e per natura dell'opera, finita la rappresentazione o la lettura, non debba lasciare alcun vestigio di se; un affetto che non debba esser durabile, che durando si opponga all'effetto voluto e cercato dall'autore e dalla qualità del dramma. E quando l'eccitar questo affetto, come la compassione per gl'immeritevolmente infelici, è il principale scopo che l'autore e il dramma si propongono (come ordinariamente accade), il farlo non durevole, il distruggerlo nel suddetto modo, è contraddizione ne' termini: [3451]principale e non durevole, principale e da distruggersi appostatamente e volutamente col dramma stesso, principale e non risultante dal totale del dramma, principale e da non dover perseverare nè sino alla fine nè dopo la fine, e da non dover esser prodotto dal dramma considerato nell'intero; dovere dal dramma considerato nell'intero esser prodotto un effetto diverso, anzi contrario, a quello ch'ei si propone per iscopo principale. - La naturalezza e la verisimiglianza è maggiore assai ne' drammi di tristo che in quelli di lieto fine, perchè così va il mondo: il delitto e il vizio trionfa, i buoni sono oppressi, la felicità e l'infelicità sono ambedue di chi non le merita. - Ma nel mondo il felice per lo più ha nome di buono, e viceversa. Il dramma chiama la bontà e la malvagità col loro nome, e mostra il carattere e la condotta morale de' felici e degl'infelici qual ella è veramente. Quindi la sua grande utilità , quindi l'odio e il disprezzo originato dal dramma, verso i malvagi benchè felici, e viceversa. Non dall'alterar la natura e la verità delle cose, facendo sfortunato il vizio e la virtù. [3452]E ben grande utilità morale, e che ben di rado si proccura e si ottiene, e basta ben a produr l'odio e l'indignazione, il far conoscere e recar sotto gli occhi le vere qualità morali e i veri meriti de' felici e degl'infelici. E l'odio, il disprezzo, il vitupero, l'infamia, l'indignazione, la pietà , la stima, la lode sono non piccoli, e certo i soli, gastighi e compensi destinati in questo mondo al vizio e alla virtù. Non è poco il far che l'uno e l'altra gli ottengano, che l'uno sia punito, l'altra premiata com'ambedue possono esserlo, che la natura delle cose abbia luogo, che l'ordine stabilito alle cose umane e il decreto della natura sia effettuato. Il qual ordine e decreto non è altro che questo: sieno i malvagi felici ed infami, i buoni infelici e gloriosi o compatiti. Ordine spesso turbato, e decreto ben sovente trasgredito, non quanto alla felicità ed infelicità , ma quanto al biasimo e alla lode, all'odio ed all'amore o compassione. - L'uditore vedendo il vizio e il delitto rappresentato con vivi e odiosi colori nel dramma, desidera fortemente di vederlo punito. E per lo contrario vedendo la [3453]virtù e il merito oppressi e infelici, e rendutigli con bella e viva pittura ed artifizio amabili e cari dal poeta, concepisce sensibile desiderio di vederli ristorati e premiati. Or se nè l'uno nè l'altro fa il dramma stesso, cioè lascia il vizio impunito anzi premiato, e la virtù non premiata anzi punita e sfortunata; ne seguono due bellissimi effetti, l'uno morale e l'altro poetico. Il primo si è che l'uditore, appunto per lo sfortunato esito della virtù e il contrario del vizio, che se gli è rappresentato nel dramma, si crede obbligato verso se stesso a cangiare quanto è in lui le sorti di que' malvagi e di que' virtuosi, punendo gli uni col maggior possibile odio ed ira, e gli altri premiando col maggior affetto di amore, di compassione e di lode. E con questa disposizione tutta di abborrimento e detestazione verso i malvagi e di tenerezza e pietà verso i buoni, egli parte dallo spettacolo. La qual disposizione quanto sia morale e buona e desiderabile che si desti, chi nol vede? E questo [3454]è veramente l'unico modo di far che l'uditore parta appassionato per la virtù, e passionatamente nemico del vizio; l'unico modo di ridurre a passione l'amor dell'una e l'odio dell'altro, cosa difficilissima a conseguirsi oggidì in chicchessia, e stata sempre difficile ad ottenersi ne' cuori volgari e plebei della moltitudine; ma cosa dall'altra parte così utile che più non può dirsi, perchè nè quell'amore nè quell'odio saranno nè furono mai efficaci nell'uomo essendo pura ragione, e s'ei non si convertano in passione, quali furono non di rado anticamente. L'effetto poetico si è che un dramma così formato lascia nel cuore degli uditori un affetto vivo, gli fa partire coll'animo agitato e commosso, dico agitato e commosso ancora, non prima commosso e poi racchetato, prima acceso e poi spento a furia d'acqua fredda, come fa il dramma di lieto fine; insomma produce un effetto grande e forte, un'impressione e una passion viva, nè la produce soltanto ma la lascia, il che non fa il dramma di lieto fine; e l'effetto è durevole [3455]e saldo. Or che altro si richiede al totale di una poesia, poeticamente parlando, che produrre e lasciare un sentimento forte e durevole? quando anche ei non fosse d'altronde utile e morale, come nel nostro caso. Certo ben pochissime sono quelle poesie qualunque, che ottengano il detto scopo; e quelle qualunque pochissime che l'ottengono, non sono e non possono esser altro che grandi, insigni, famose e vere poesie. Or fate che il dramma dopo avervi mosso all'odio verso il malvagio, ve lo dia, per così dir nelle mani, legato, punito, giustiziato. Voi partite dallo spettacolo col cuore in pienissima calma. E come no? qual vostro affetto resta superiore agli altri? non rimangon tutti in pienissimo equilibrio? e una poesia che lascia gli affetti de' lettori o uditori in pienissimo equilibrio, si chiama poesia? produce un effetto poetico? che altro vuol dire essere in pieno equilibrio, se non esser quieti, e senza tempesta nè commozione alcuna? e qual altro è il proprio uffizio e scopo della poesia se non il commuovere, così o così, ma [3456]sempre commuover gli affetti? E quanto all'equilibrio, vedete: da una parte l'odio e l'ira che avevate concepita, dall'altra la vendetta che placa e sfoga l'uno e l'altra; di qua il desiderio, di là l'oggetto desiderato, cioè il castigo del malvagio. Le partite sono uguali; l'affare è finito, il negozio è terminato, gl'interessi pareggiati: voi chiudete il vostro libro de' conti e non ci pensate più. Infatti l'uditore si parte dal dramma di lieto fine non altrimenti che chi abbia ricevuto un'offesa e fattone piena e tranquilla vendetta, o ne sia stato pienamente soddisfatto, il quale torna a casa e si corica colla stessa placidezza e coll'animo così riposato, come se non gli fosse stata fatta alcuna offesa, e di questa non serba pensiero alcuno. Bello effetto di un dramma, di una rappresentazione, di una poesia; lasciare di se tal vestigio negli animi degli spettatori o uditori o lettori, come s'e' non l'avessero nè veduta nè udita nè letta. Meglio varrebbe essere stato a uno spettacolo di forze, di giuochi, equestre, e che so io, i quali pur lasciano [3457]nell'animo alcuna orma o di maraviglia o di diletto o d'altro. Ma in verità in quella parte dell'anima in cui il dramma e la poesia deve agire, quivi il dramma di lieto fine non lascia alcun segno. Se lascia alcuna traccia in altra parte dell'anima, questo effetto o è alieno dalla poesia, o l'è secondario, o estrinseco, accidentale, di circostanza, parziale, cioè non prodotto dal totale della composizione, forse proprio della decorazione, dell'azione ec. dello spettacolo più che del dramma, non poetico ec. Or quanto all'effetto del dramma di lieto fine poeticamente considerato, esso è tale qual si è mostrato, anzi non è, perch'esso è nullo, e per ciò che spetta al totale, il dramma di lieto fine non produce, poeticamente, alcun effetto. Quanto all'effetto morale, che odio, che ira verso il vizio può rimanere in chi l'ha visto totalmente abbattuto, vinto, umiliato e punito? Quella punizione che l'uditore gli avrebbe dato nel cuor suo, l'ha preoccupata il poeta: questi ha fatto il tutto; l'uditore non ha a far più nulla, e nulla fa. Quella passione ch'egli avrebbe concepita, l'ha sfogata il poeta da se: al poeta [3458]dunque rimane. L'ira l'odio che l'uditore avrebbe portato seco, il poeta l'ha soddisfatto. Odio ed ira e qualunque passione soddisfatta, non resta. (Non resta, dico, quanto all'atto, di cui solo è padrone il poeta, e non dell'abito). Dunque l'uditore parte dal dramma senza nè odio nè ira nè altra passione alcuna contro i malvagi, il vizio, il delitto. Tutto questo discorso circa la parte che spetta nel dramma ai malvagi, si faccia altresì circa quella che spetta ai buoni. - Chiuderò queste osservazioni con un esempi...
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