[Pagina precedente]...ghilterra. E ciò si vede non solo in queste parti d'Europa, che non ammisero la civiltà latina per eccesso di barbarie, o che non ammettendola, restarono barbare; ma eziandio in quelle dove una civiltà ed una letteratura indigena escluse la forestiera, in quelle che non ammettendo i costumi nè le lettere latine, restarono però, quali erano, civili e letterate, cioè nelle nazioni greche. Le quali non ricevendo l'uso del viver latino, non ricevettero neppur la lingua, benchè la sede dell'impero [3372]romano, e Roma e il Lazio, per così dire, fossero trasportate e lunghissimi secoli dimorassero nel loro seno. Ma la Grecia contuttociò non parlò mai nè scrisse latino, ed ora non parla nè scrive che greco. Ed essa era pur la parte più civile d'Europa, non esclusa la stessa Roma, al contrario appunto della Germania. Sicchè da opposte, ma analoghe e corrispondenti e ragguagliate e proporzionate, cagioni, nacque lo stesso effetto.
Tutto ciò che ho detto dell'Inghilterra si rettifichi consultando gli storici, e quello che altrove ho scritto circa l'uso della lingua latina in quel paese e nella Scozia e nell'Irlanda.
(6. Settembre. 1823.)
Dialetti della lingua latina. Vedi Cic. pro Archia poeta, c.10.. fine, dove parla de' poeti di Cordova pingue quiddam sonantibus atque peregrinum. Non avevano certamente questi poeti scritto nella lingua indigena di Spagna, che i romani mai non intesero, siccome niun'altro idioma forestiero, eccetto il greco; ma in un latino che sentiva di Spagnolismo, come quel di Livio parve [3373]sapere di Patavinità . E le parole di Cicerone, chi ben le consideri anche in se stesse, non possono significare altro. Perocchè era fuor di luogo la nota di peregrino se si fosse trattato di una lingua forestiera, che non in parte, o per qualche qualità , ma tutta è peregrina; nè questo in lei sarebbe stato difetto, e volendolo considerar come tale, soverchiamente leggiera e sproporzionata sarebbe stata quella semplice espressione che la lingua e lo stile di quei poeti sapeva di forestiero. Oltrechè l'una e l'altro sarebbero stati barbari, e per le orecchie romane affatto strani, rozzi, insolenti, insopportabili, non così solamente macchiati d'un non so che di pingue e di peregrino. Era in Cordova introdotta già (siccome in altre parti della Spagna già soggiogate, perchè quella provincia non fu sottomessa che appoco appoco, e con grandissimo intervallo una parte dopo l'altra, e, come osserva Velleio,97 fu di tutte la più renitente, e tra le romane conquiste la più lunga e difficile e per lungo tempo incertissima); era, dico, introdotta già in Cordova la lingua e la letteratura latina, siccome [3374]dimostra l'aver essa poi potuto produrre i Seneca e Lucano, l'esempio dello stile de' quali, può (quanto allo stile) servire pur troppo di copioso commento alle parole di Cicerone, che, s'io non m'inganno, della lingua non meno che dello stile si debbono intendere.
(6. Settem. 1823.)
Dico in più luoghi che la natura non ingenera nell'uomo quasi altro che disposizioni. Or tra queste bisogna distinguere. Altre sono disposizioni a poter essere, altre ad essere. Per quelle l'uomo può divenir tale o tale; può, dico, e non più. Per queste l'uomo, naturalmente vivendo, e tenendosi lontano dall'arte, indubitatamente diviene quale la natura ha voluto ch'ei sia, bench'ella non l'abbia fatto, ma disposto solamente a divenir tale. In queste si deve considerare l'intenzione della natura: in quelle no. E se per quelle l'uomo può divenir tale o tale, ciò non importa che tale o tale divenendo, egli divenga quale la natura ha voluto ch'ei fosse: perocchè la natura per quelle disposizioni non ha fatto altro che lasciare all'uomo la possibilità di divenir tale o tale; nè quelle sono [3375]altro che possibilità . Ho distinto due generi di disposizioni per parlar più chiaro. Ora parlerò più esatto. Le disposizioni naturali a poter essere e quelle ad essere, non sono diverse individualmente l'une dall'altre, ma sono individualmente le medesime. Una stessa disposizione è ad essere e a poter essere. In quanto ella è ad essere, l'uomo, seguendo le inclinazioni naturali, e non influito da circostanze non naturali, non acquista che le qualità destinategli dalla natura, e diviene quale ei dev'essere, cioè quale la natura ebbe intenzione ch'ei divenisse, quando pose in lui quella disposizione. In quanto ella è disposizione a poter essere, l'uomo influito da varie circostanze non naturali, siano intrinseche siano estrinseche, acquista molte qualità non destinategli dalla natura, molte qualità contrarie eziandio all'intenzione della natura, e diviene qual ei non dev'essere, cioè quale la natura non intese ch'ei divenisse, nell'ingenerargli quella disposizione. Egli però non divien tale per natura, benchè questa disposizione sia naturale: perocchè essa disposizione non era ordinata a questo [3376]ch'ei divenisse tale, ma era ordinata ad altre qualità , molte delle quali affatto contrarie a quelle che egli ha per detta disposizione acquistato. Bensì s'egli non avesse avuto naturalmente questa disposizione, egli non sarebbe potuto divenir tale. Questa è tutta la parte che ha la natura in ciò che tale ei sia divenuto. Siccome, se la disposizion fisica del nostro corpo non fosse qual ella è per natura, l'uomo non potrebbe, per esempio, provare il dolore, divenir malato. Ma non perciò la natura ha così disposto il nostro corpo acciocchè noi sentissimo il dolore e infermassimo; nè quella disposizione è ordinata a questo, ma a tutt'altri e contrarii risultati. E l'uomo non inferma per natura; bensì può per natura infermare; ma infermando, ciò gli accade contra natura, o fuori e indipendentemente dalla natura, la quale non intese disporlo a infermare.
Similmente si discorra degli altri animali, e di mano in mano degli altri generi di creature, con quest'avvertenza però e con questa proporzione, che negli altri animali, le disposizioni [3377]ingenite sono più ad essere che a poter essere; il che vuol dire che gli animali sono naturalmente meno conformabili dell'uomo; che essi per le loro naturali disposizioni, non solo non debbono acquistare altre qualità che le destinate loro dalla natura, il che è proprio anche dell'uomo, ma non possono acquistarne molto diverse da queste, come l'uomo può; non possono acquistar tante e così varie qualità , come l'uomo può, per essere sommamente conformabile: in fine che le loro naturali disposizioni non rendono possibile tanta varietà di risultati, non possono esser così diversamente applicate e usate come quelle dell'uomo. Ond'è che gli animali non acquistino quasi altre qualità che le destinate loro dalla natura, non divengano se non quali la natura gli ha voluti, quali ella intese che divenissero nel dar loro quelle disposizioni. Il che vuol dire ch'ei si mantengono nello stato naturale; che non è altro se non quello che ho detto, cioè divenir tali quali la natura ha inteso; perchè nè anche gli animali nascono, ma divengono; nè la [3378]natura ingenera in essi delle qualità , ma delle disposizioni, ben più ristrette che quelle dell'uomo. In questo modo e con questa proporzione passando ai vegetabili, e quindi scendendo per tutta la catena degli esseri, troverete che le naturali disposizioni sono di mano in mano sempre maggiormente ad essere che a poter essere, cioè si restringono, finchè gradatamente si arrivi a quegli enti ne' quali la natura non ha posto disposizioni nè ad essere nè a poter essere, ma solo qualità . Del qual genere io non credo che alcuna cosa si possa in verità trovare, esattamente e strettamente parlando, ma largamente si potrà dire che di tal genere sia questo nostro globo tutto insieme considerato e rispetto al sistema solare o universale, e similmente i pianeti e il sole e le stelle e gli altri globi celesti. Ne' quali e ne' moti loro, e per dir così, nella vita, e nell'esistenza rispettiva degli uni agli altri, niun disordine si può trovare, niuna irregolarità , niun morbo, niuna ingiuria, niun accidente, successo o effetto che sia contro nè fuori delle intenzioni avute dalla natura nel porre in essi le qualità che ci ha posto; dico le qualità rispettive [3379]che hanno gli uni verso gli altri, le quali negli effetti e nell'uso loro sempre e interamente corrispondono alle primitive destinazioni della natura, e immutabilmente serbano ed efficiunt quell'ordine dell'universo che la natura volle espressamente e vuole, e quella vita o esistenza ch'essa natura gli ha destinata, e tale nè più nè meno quale ella intese e ordinò che fosse. Da questo genere di esseri rimontando indietro per insino all'uomo, troveremo sempre di mano in mano decrescere secondo l'ordine delle specie e de' generi, il numero e l'efficacia e importanza delle qualità ingenerate in ciascun di essi generi o specie dalla natura, e crescere altrettanto il numero o l'estensione, la varietà o piuttosto la variabilità o adattabilità delle disposizioni in esse dalla natura ingenerate: e queste disposizioni esser da principio solamente, o quasi del tutto, ad essere, poscia eziandio a poter essere, e ciò sempre più, salendo pe' vegetabili ai polipi, indi per le varie specie d'animali fino alla scimia, e all'uomo salvatico, e da queste specie all'uomo. Nella cui parte che si chiama morale o spirituale, troveremo, come ho detto, che [3380]la natura non ha posto di sua mano quasi veruna qualità determinata, se non pochissime, e queste, semplicissime: tutto il resto disposizioni, non solo ad essere, ma a poter essere tante cose, ed acquistare tanto varie qualità , quanto niun altro genere di enti a noi noti. E per questa scala ascendendo, troveremo colla medesima gradazione, che quanto minore in ciascun genere o specie è il numero e il valore delle qualità ingenite e naturali, quanto maggiore quello delle disposizioni altresì naturali, e quanto maggiormente queste disposizioni sono a poter essere (ossia divenire), tanto maggiore esattamente in ciascuno d'essi generi o specie, e nell'esistenza loro, e negli effetti loro sopra se stessi e fuor di se stessi è il numero e la grandezza de' disordini, delle irregolarità de' morbi, de' casi, degli accidenti, de' successi non naturali, non voluti o espressamente disvoluti dalla natura, contrarii alle intenzioni e destinazioni fatte dalla natura nel formare quei tali generi o specie, e nel così disporli com'essa li dispose, sì rispetto a se stessi, sì riguardo agli altri generi e specie a cui essi hanno relazione, ed all'intera [3381]università delle cose. Tutto ciò troverassi nelle meteore, ne' vegetabili, negli animali sopra tutto, e fra gli animali, sopra tutti nell'uomo, ossia nel genere umano. Perocchè il vivente è meno dell'altre cose tutte composto di qualità naturali, e più di disposizioni; e tra' viventi l'uomo in massimo grado. Nel quale è maggior la vita che negli altri viventi; e la vita si può, secondo le fin qui dette considerazioni, definire una maggiore o minore conformabilità , un numero e valore di disposizioni naturali prevalente in certo modo (più o meno) a quello delle ingenite qualità . Massime rispetto allo spirituale, all'intrinseco, a quello che, propriamente parlando, vive; a quello in che sta propriamente e si esercita la vita, in che siede il principio vitale, e la facoltà dell'azione sia interna sia esterna, cioè la facoltà del pensiero e della sensibile operazione. ec. Nella qual facoltà consiste propriamente la vita ec. (6-7. Settembre. 1823.). Per lo contrario le cose che meno partecipano della vita sono quelle che per natura hanno meno di qualità e più di disposizione, cioè le meno conformabili naturalmente. E se v'ha cosa che non sia punto conformabile naturalmente, quella niente partecipa della vita, ma solo esiste; quella è che si dee propriamente [3382]chiamare semplicemente e puramente esistente ec. ec. ec.
(8. Sett. Natività di Maria Santissima. 1823.)
Alla p.3343. marg. È da notare che tutti questi nomi per etimologia non significano propriamente altro che misero, afflitto, ec. o povero ec. o fatichevole e...
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