[Pagina precedente]...e non può in niun modo la riflessione, può e fa l'irriflessione.
(25. Sett. 1823.). V. p.3908.
Tre stati e condizioni della vecchiezza rispetto alla giovanezza133 ed alle altre età . 1. Quando il genere umano era appresso a poco incorrotto, o certo proclive ed abituato generalmente alla virtù, e quando l'esperienza insegnava all'individuo le cose utili a se ed agli altri, senza disingannarlo delle oneste, e delle inclinazioni virtuose, nobili, magnanime [3521]ec.; nè gli dimostrava la perversità degli uomini, che ancora non erano perversi, nè lo disgustava e faceva pentire della virtù, che ancor non era, se non altro, dannosa, e ch'egli per naturale istituto aveva intrapreso fin da principio di seguire, e seguiva; allora i vecchi, come più ricchi d'esperienza e più saggi, erano più venerabili e venerati, più stimabili e stimati, ed anche in molte parti più utili a' loro simili e compagni ed al corpo della società , che non i giovani e quelli dell'altre età . 2. Cominciata a corrompere la società umana e giunta la corruzione al mezzo, o più oltre, l'esperienza dovette fare tutto il contrario delle cose dette di sopra, e distruggendo le buone disposizioni naturali, e le qualità contratte ne' primi anni, render l'individuo tanto peggiore di carattere, d'animo, di costumi, di qualità , di azioni o di desiderii, quanto più egli avesse sperimentato. Allora dunque i vecchi furono (nella gran società ) molto meno stimabili e stimati, quanto alla virtù ed all'onestà , che i giovani ec.; molto più tristi, svergognati, [3522]finti, coperti, furbi, traditori, malvagi insomma, alieni dal ben fare, e dannosi, o inclinati a far danno, a' compagni e alla società . Laddove quei dell'altre età , e massime i giovani, furono molto più degni di stima e molto più utili o men dannosi, perchè meno corrotti; più buoni perchè più naturali; più proprii a ben fare, più misericordiosi, più benefici, perchè men freddi, più generosi per natura dell'età , men guasti dall'esempio e dalle cattive massime, o non ancor guasti ec. 3. Passata che fu la corruzione sociale di gran lunga oltre il mezzo, e giunta, si può dire, al suo colmo, nel quale oggidì si trova e riposa, ed è, a quel che sembra per riposar lungamente o in perpetuo; non fu e non è bisogno di molta nè lunga esperienza nè d'assai mali esempi per corrompere negl'individui la sempre buona natura ed indole primitiva; nascono, si può dir, gli uomini già corrotti; il primitivo, e seco la virtù ed ogni sorta di bontà effettiva, è sparito quasi onninamente dal mondo; il giovane, anzi pure il fanciullo, in brevissimo tratto è maturo e vecchio di malizia, [3523]di frode, di malvagità , e conosce il mondo assai più che i vecchi stessi per lo passato non facevano ec. Quindi per ben contrarie cagioni e con ben contrari effetti (veggasi la p.3517-8.) son tornate le cose appresso a poco nel loro stato primiero. I giovani massimamente, sono ben più odiosi e dannosi de' vecchi, perchè in essi alla disposizione intera e alla decisa volontà di mal fare si aggiunge il potere e la facoltà ; e l'ardor giovanile, e la forza e l'impeto e il fiore delle passioni, che un dì conduceva gli uomini al bene, ora conducendogli dirittamente e pienamente e decisamente al male, rende gl'individui tanto più cattivi, perniciosi ed odiabili, quanto esso ardore è più grande. Laddove i vecchi sono, non dirò già più stimabili nè venerabili, ma più tollerabili e meno da essere odiati e fuggiti che quelli dell'altra età , siccome meno potenti di mal fare, benchè a ciò solo inclinati; e siccome anche meno desiderosi di nuocere e di far bene a se e male altrui, perchè più freddi, e di più sedate passioni, e dalla lunga esperienza più disingannati [3524]de' piaceri e de' vantaggi di questa vita, e fatti meno avidi, e di desiderii men vivi: essendo la freddezza e l'esperienza che un dì furon cagione d'ogni male e malvagità , divenute oggi cagione, non già di bene nè di bontà , ma di minor male e cattiveria, che non il calor naturale e l'inesperienza che già furon cagioni principali di bontà , ed or sono cagioni di maggiore ribalderia. Da principio dunque fu la vecchiezza rispetto alla gioventù (e proporzionatamente all'altre età ), come il meglio al bene; poscia come il cattivo al buono; in ultimo è (e probabilmente sarà sempre) come il manco male al male, o come il cattivo al pessimo.
Quel che s'è detto della vecchiezza e della gioventù ec. dicasi ancora di quei caratteri e disposizioni degl'individui, o naturali e primitive, o acquistate e avventizie, le quali hanno faccia e sembianza di vecchiezza, di gioventù ec. e rispondono all'indole e qualità proprie di queste età , benchè ad esse disposizioni ec. non corrisponda in fatto l'età [3525]reale de' rispettivi individui, anzi sia loro ben diversa o contraria ec.
(25. Sett. 1823.)
L'uomo tanto può fare e patire quanto egli è assuefatto di fare e di patire (o che l'assuefazione continui, o che quantunque passata, ne restino gli effetti totalmente o in parte), niente più niente meno.
(26. Sett. 1823.)
Tutti hanno provato il piacere, o lo proveranno, ma niuno lo prova. Tutti hanno goduto o godranno, ma niuno gode. Questo pensiero spetta a quelli sopra il non darsi piacere se non futuro o passato.
(26. Sett. 1823.)
Alla p.3141. marg. Ho detto che Argante, Solimano e Clorinda sono i soli Eroi degl'infedeli. Perocchè d'Altamoro e degli altri dell'esercito egizio, che non vengono, si può dire, in iscena prima dell'ultimo canto (si nominano nel 17° e nel 19° ma nulla operano) non pare che sia da tener conto, e l'interesse per loro non ha tempo di nascere perchè troppo poco conversano coi lettori, oltre che il Tasso li fa molto più barbari ancora e salvatichi, disumani ed odiosi di Argante e di Solimano, e più empi, dispregiatori degli uomini e degli Dei e d'ogni religione ec. Eroi Cristiani che soprassalgano, non v'ha nella Gerusalemme, oltre Goffredo, che Raimondo, Tancredi e Rinaldo. Ma questi sono ottimamente variati tra loro, e gli ultimi due squisitamente nuancés a rispetto l'uno dell'altro. E la superiorità di Goffredo e di Rinaldo è ben decisa e tale che i lettori non possono nè dubitarne ciascuno fra se, nè contrastarne fra loro, nè ricusare al poeta di confessarla; e con tutto questo ella non si nuoce scambievolmente, nè fa torto neppure a Tancredi o a Raimondo ec. In tutta questa parte l'equilibrio, l'armonia, la [3526]bilanciata ed armonica e concertata e concordevole varietà che regnano ne' caratteri del valore de' diversi Eroi de' Cristiani, sono mirabilissime. I quali caratteri erano sommamente difficili a variare, e però la lor differenza (massime fra Tancredi e Rinaldo) è piccolissima, ma, quel ch'è maraviglioso, ell'è nel tempo stesso sensibilissima. Vero è che questa diversificazione l'ha proccurata e ottenuta il Tasso non tanto col variare le qualità del valore, quanto colla dispensazion de' successi e delle imprese, giudiziosissimamente variata e graduata; e coll'altre circostanze, come della cura del cielo per Rinaldo dimostrata con visioni spedite e tanti miracoli fatti per produrre il suo ritorno al campo ec. ec.
(26. Sett. 1823.). V. p.3590.
Sopravvenendo il pericolo, ridere, diventare allegro fuor dell'uso, o più che il momento prima non si era, o di malinconico farsi giulivo; divenir loquace essendo taciturno di natura, o rompere il silenzio fino allora per qualunque ragione tenuto; scherzare, saltare, cantare, e simili cose, non sono già segni di coraggio, come si stimano, ma per lo contrario son segni di timore. Perciocchè dimostrano che l'uomo ha bisogno di distrarsi dall'idea del pericolo, e particolarmente di scacciarla col darsi ad intendere ch'e' non sia pericolo, o non sia grave. E questo è ciò [3527]che l'uomo proccura di fare dando segni straordinarii d'allegrezza in tali occasioni; ingannar se stesso dimostrandosi di non aver nulla a temere, perocch'ei fa cose contrarie a quelle che il timore propriamente e immediatamente suol cagionare. Affine di non temere, l'uomo proccura di persuadersi ch'ei non teme, ond'ei possa dedurre che non v'è ragion sufficiente o necessaria di timore. Egli è un effetto molto ordinario di questa passione il muover l'uomo a cose contrarie a quelle a che immediatamente ella il moverebbe, ma e quelle e queste sono ugualmente effetti di vero timore. E quelle sono in gran parte, o sotto un certo aspetto, finte; queste veraci. Il timore muove l'uomo a far quasi una pantomima appresso se stesso. Per questo nelle solitudini e fra le tenebre e in luoghi, cammini, occasioni pericolose o che tali paiono, è uso naturale dell'uomo il cantare, non tanto ad effetto di figurarsi e fingersi una compagnia, o di farsi compagnia (come si dice) da se stesso; quanto perchè il cantare par proprio onninamente di chi non teme: appunto perciò chi teme, canta. (Vedi a tal [3528]proposito un luogo molto opportuno del Magalotti segnato da me nelle prime carte di questi pensieri, sul principio, se non erro, del 1819.). Dai medesimi principii (più che dal bisogno di distrazione) nasce che in un pericolo comune o creduto tale, e vero o immaginario assolutamente, piace, conforta, rallegra l'udire il canto degli altri, il vedergli intenti alle lor solite operazioni, l'accorgersi o il credere ch'essi o non istimino che vi sia pericolo, o nulla per sua cagione tralascino o mutino del loro ordinario, e di quello che infino allora facevano o che, senza il pericolo, avrebbero fatto; o che non lo temano, e sieno intrepidi ec. Il coraggio veduto o creduto negli altri, o l'opinione che non vi sia pericolo, veduta o creduta in essi, incoraggisce l'individuo che teme. Nello stesso modo il mostrar di non temere a se stesso è un farsi coraggio, o col persuadersi che non vi sia pericolo, o col dare a se stesso in se stesso un esempio di coraggio e di non temere questo pericolo, ancorchè vi sia. Or chi ha bisogno che gli sia fatto coraggio e di aver nello stesso pericolo esempi di coraggio, e altrimenti teme, non [3529]è certamente coraggioso, o in tale occasione non ha coraggio. E chi ha bisogno per non temere, di credere che non vi sia pericolo, cioè ragion di temere, o di sminuirsi l'opinion del pericolo, e di credere che questo pericolo, questa ragione sia piccola, o minore e più leggera ch'ella non è, ed altrimenti teme; non è coraggioso, perchè niun teme quello ch'ei non crede da temersi, e niun teme fuori dell'opinion del pericolo, vera o falsa, o ancor menoma ch'ella sia, o non ragionata, ma quasi istinto e passione (come quella di cui vedi la p.3518-20. e massime 3519. marg.)
Anche il dolore degli uomini si consola o si scema col persuadersi che il danno, la sventura ec. o non sia tale, o sia minore ch'ella non è, o ch'ella non apparisce, o ch'ella non fu stimata a principio; e forse (eccetto quella medicina che reca la lunghezza del tempo) il dolore si consola o mitiga più spesso così che altrimenti. Per questo nelle pubbliche calamità , quando importa che il popolo sia lieto, o non abbattuto, o men tristo che non sarebbe di ragione, si proibiscono e tolgono i segni di lutto, e si ordinano e introducono feste e segni (anche straordinarii) di allegria. [3530]E ciò bene spesso non tanto come cagioni, quanto appunto come segni di allegria; non tanto a produrla dirittamente, quanto a dimostrarla; non tanto a divertir gli animi dal dolore e dalla mestizia, quanto a persuaderli che non ve ne sia ragione, o che questa sia minore che non è. Nelle pesti o contagi si vieta il sonar le campane a morto. Nelle sconfitte si cela al popolo il successo, si proibisce ogni segno di lutto pubblico, si accrescono le feste, si fingono e spargono ancora delle novelle tutte contrarie al vero e piene di felicità . È proprio del buon capitano il mostrarsi lieto o indifferente a' suoi soldati dopo un rovescio ricevuto, dopo la nuova di un disastro ec. (Queste cose appartengono ancora al discorso del timore). Così negl'individui. L'afflitto si consola bene spesso o si rallegra, non tanto colla distrazione, quanto col dar segni a ...
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