[Pagina precedente]...e badarci, nè di voler che il lettore ci si fermi. Così fanno Omero e Virgilio e [3480]Dante, i quali pienissimi di vivissime immagini e descrizioni, non mostrano pur d'accorgersene, ma fanno vista di avere un fine molto più serio che stia loro unicamente a cuore, ed al qual solo festinent continuamente, cioè il racconto dell'azioni e l'evento o successo di esse. Al contrario fa Ovidio, il quale non dissimula, non che nasconda; ma dimostra e, per dir così, confessa quello che è; cioè a dir ch'ei non ha maggiore intento nè più grave, anzi a null'altro mira, che descrivere, ed eccitare e seminare immagini e pitturine, e figurare, e rappresentare continuamente.
(20. Sett. 1823.)
Io notava un vecchio ributtantemente egoista, compiacersi di parlare di certi suoi piccolissimi sacrifizi e sofferenze volontarie (vere o false ch'elle fossero, e volontarie veramente o no), e farlo con una certa quasi verecondia, che ben dimostrava, massime a chi conoscesse il carattere della persona, lui essere persuaso di fare e sostener cose eroiche, e quei sacrifizi e patimenti dimostrassero in lui una gran superiorità d'animo, e rinunzia di se stesso e del suo amor proprio. Egli aveva ben caro che così paresse agli [3481]altri, e a questo fine ne parlava, ma dava bene ad intendere che tale si era infatti la sua propria opinione. Tanto poteva in un animo il più radicato nel più schietto e completo egoismo, intollerante d'ogni menomo incomodo, e capace di sacrificar chi e che che sia ad una sua menoma comodità ; tanto poteva, dico, in un animo qual esso era infatti, e di più totalmente inerte, solitario, e segregato affatto dalla società , il desiderio di parere sì agli occhi altrui, sì ancora a' suoi propri, capace di grandi sacrifizi, superiore all'amor proprio, il contrario di egoista, ed insomma eroe. E tanto è vero che non si trova quasi uomo così impudentemente e perfettamente egoista nel fatto, che non desideri grandemente di comparire almeno a se stesso, e non si persuada effettivamente, e non si compiaccia sommamente dell'opinione di essere un eroe. Perocchè a tutti è grato il fare stima di se, e si può esser certi che tutti, o in un modo o nell'altro, si stimano, e grandemente, e così continuamente come e' si amano, che vuol dir tuttafiata, senza intervallo alcuno, [3482]benchè la stima di se stesso (come anche l'amore, secondo che altrove s'è dimostrato) abbia in un medesimo individuo ora il più ora il manco, secondo diverse circostanze e cagioni. Del resto puoi vedere la pag.124. 3108-9. e 3167-9. Questo che io dico dei vecchi egoisti si può applicare ai fanciulli, egoisti estremi, ignari ancora dell'eroismo, perchè niuno gliene ha parlato, e nondimeno vaghi di molte piccole glorie, come di star male o di farlo credere, perchè si parli di loro nella famiglia, e per aver qualche somiglianza cogli adulti, alla quale aspirano generalmente e continuamente in mille cose, solo per vanità o vogliamo dire ambizione ec. V. l'Alfieri di sè che facea gli esercizi militari da piccolo.
(20. Sett. vigilia della Festa di Maria Santissima Addolorata. 1823.)
Ne' tragici greci (così negli altri poeti o scrittori antichi) non s'incontrano quelle minutezze, quella particolare e distinta descrizione e sviluppo delle passioni e de' caratteri che è propria de' drammi (e così degli altri poemi e componimenti) moderni, non solo perchè gli antichi erano molto inferiori a' moderni nella cognizione del cuore umano, il che a tutti è noto, ma perchè gli antichi nè valevano gran fatto nel dettaglio, nè lo curavano, anzi lo disprezzavano e fuggivano, e tanto era impropria degli antichi l'esattezza e la minutezza quanto ella è propria e caratteristica de' moderni. Ciò nel modo e per le ragioni da me spiegate altrove.
Oltre di ciò i moderni ne' drammi vogliono interessare col mettere i lettori o uditori in relazione coi personaggi di quelli, col far che i lettori [3483]ravvisino e contemplino se stessi, il proprio cuore, i propri affetti, i proprii pensieri, le proprie sventure, i proprii casi, le proprie circostanze, i proprii sentimenti, ne' personaggi del dramma, e nel loro cuore, affetti, casi, ec. quasi in un fedelissimo specchio. Si può esser certi che l'intenzione de' greci tragici, massime de' più antichi, fu tutt'altra, e in certo senso contraria. Questo effetto era troppo debole, molle, intimo, recondito, sottile, perchè o i poeti antichissimi fossero capaci di proporselo, o i loro uditori di provarlo, o provato, di compiacersene. Secondo la natura de' popoli e de' tempi meno civili, gli spettatori cercavano e i poeti si proponevano nel dramma un effetto molto più forte e gagliardo ed éclatant, delle sensazioni molto più fiere, più energiche, piùprononcées; delle impressioni molto più grandi; ed al tempo stesso meno interiori e spirituali, più materiali ed estrinseche. I tragici greci cercarono lo straordinario e il maraviglioso delle sventure e delle passioni, appresso a poco come fa oggi Lord Byron (con molta maggior cognizione però dell'une [3484]e dell'altre); tutto l'opposto di quel che si richiedeva per metterle in relazione, in conformità , e d'intelligenza, con quelle degli uditori. Sventure e casi orribili e singolari, delitti atroci, caratteri unici, passioni contro natura, furono i soggetti favoriti de' tragici greci. Tale per certo si fu l'intenzion loro, sebbene la scelta l'invenzione l'immaginazione non sempre corrispondesse pienamente all'intento, e talor più talor meno, in chi più in chi meno. Ma generalmente parlando, e massime, torno a dire, i più antichi tragici greci, cercarono o amarono di preferenza il sovrumano de' vizi e delle virtù, delle colpe e delle belle o valorose azioni, de' casi, delle fortune: al contrario appunto de' moderni tragici che cercano in tutto questo il più umano che possono. Quindi coloro si rivolsero per lo più al favoloso, quindi il corrispondente apparato della scena e degli attori; quindi non solo il soggetto ma il modo di trattarlo, di condurre il dramma, d'intrecciarlo, di recare lo scioglimento dovettero corrispondere al fine del poeta e dell'uditorio, che era in questo di ricevere in quello di produrre una sensazione delle più vive, [3485]delle più poetiche ec.; quindi anche gli episodii dovettero corrispondere alla natura di tale scopo e di tal dramma; quindi le furie introdotte nel teatro (nelle Eumenidi di Eschilo), che fecero abortir le donne e agghiacciare i fanciulli (v. Fabric. Barthélemy ec.); quindi i soggetti per lo più lontani o di tempo, o di luogo, di costumi ec. dagli spettatori, benchè tanti soggetti poetici offrisse ai tragici greci la storia, non pur nazionale ma patria, e non pur patria, ma contemporanea ec. ec.; quindi le inverisimiglianze d'ogni genere, i salti, le improvvisate, (fatte per verità con meno arte, varietà ec. che non farebbero i modi e che non si fa ne' modi drammi e romanzi d'intreccio), l'intervento sì frequente degli Dei o semidei ec. ec. I moderni drammatici come gli altri poeti, come i romanzieri ec. si propongono di agir sul cuore, ma gli antichi tragici, non men che gli altri antichi, sulla immaginazione. Questa osservazione, che non si può negare, basta a far giudizio quanto debbano essenzialmente differire i caratteri dell'antico e del moderno dramma, con che diversi canoni si debba giudicar dell'uno e dell'altro, quanto sia assurdo il tirar le moderne poesie drammatiche a parallelo d'arte ec. colle antiche, quasi appartenessero a uno stesso genere, ch'è falsissimo. Gli antichi tragici non vollero altro che por sotto gli occhi e l'immaginazione degli spettatori quasi un volcano ardente o altro [3486]tale terribile fenomeno o singolarità della natura, che niente ha che fare con quelli che lo riguardano. Essi rappresentavano così quelle sciagure, quelle colpe, quelle passioni, quelle prodezze, come meteore spaventevoli che gli spettatori potessero contemplare senza pericolo di nocumento, provando il piacer della maraviglia, e dello spaventoso impotente a nuocere, senza però trovare nè dover trovare alcuna conformità o somiglianza fra esse sciagure ec. e le lor proprie, o quelle de' loro conoscenti, anzi neppur de' loro simili e degl'individui della loro specie.
Da queste osservazioni si dee raccogliere per qual ragione non si trovi, e come sia vano il cercare e più il pretendere di trovare nelle antiche tragedie que' dettagli quelle gradazioni quella esattezza nella pittura e nello sviluppo e condotta delle passioni e de' caratteri, che si trovano nelle moderne; anzi neppur cosa alcuna di simile odi analogo.
Queste osservazioni possono in parte applicarsi anche alle antiche commedie, massime a quella [3487]che in Atene si usò da principio e che poi fu chiamata propriamente antica, ??????. Neppure questa mirava a mettere i personaggi in relazione cogli spettatori, se non con alcuni in particolare, che in essa erano espressamente rappresentati in caricatura. Ancor essa mirava ad agir sull'immaginazione, intento affatto alieno dalla moderna commedia, ed anche da quella che fu chiamata in Grecia la commedia nuova ???, o seconda ???????, ch'è del genere di Terenzio, traduttor di Menandro, che ne fu il principe. Quindi nell'antica commedia le invenzioni strane, non naturali, poetiche, fantastiche; i personaggi allegorici, come la Ricchezza ec.; le rane, le nubi, gli uccelli; le inverisimiglianze, le stravaganze, gli Dei, i miracoli ec. Le antiche commedie non erano propriamente azioni (???????), ma satire immaginose, fantasie satiriche, drammatizzate, ossia poste in dialogo; come quelle di Luciano, conformi in tutto alle antiche commedie, se non quanto all'estensione, alla personalità , ed altre tali non qualità ma circostanze estrinseche, accidentali, arbitrarie ec. che non toccano alla natura del genere ec.
(20. Sett. [3488]1823. Vigilia di Maria SS. Addolorata.)
Alla p.2928, marg. fine. Da falsus di fallere (fatto aggettivo) gli spagnuoli falto (seppur e' non fosse contrazione di fallito, ma non credo, e in tal caso gli spagnuoli direbbero anzi faldo da un falido), e falta sostantivo per falsa, e così il franc. faute, cioè falte. E da falto o da falta il verbo spagn. faltar per falsare che noi diciamo, e che si disse ancora in latino (v. Forcell.), e che i francesi dicono fausser; e per fallare o fallire ital., faillir franc., fallere lat. Faltar la palabra spagn. fausser sa parole, franc. falsare la fede, Speroni Orazz. Ven. 1596. Or. 8. contra le Cortegiane, par.2. p.195. ovvero fallire la promessa, ib. p.198. fine. falseggiar l'amore per mancar delle promesse fatte in amore, abbandonando una donna per amare un'altra, o amando un'altra insieme, malgrado delle parole date. Speroni Dial. 1. Ven. 1596. p.9. principio. V. p.3772.124 V. la Crusca e il Glossar.
(21. Sett. Festa di Maria Santissima Addolorata. 1823.)
Molti sono timidi i quali sono insieme coraggiosissimi. Voglio dire che molti si perdono d'animo nella società , i quali nè fuggono nè temono ed anche volontariamente incontrano i pericoli [3489]e i danni e le fatiche e le sofferenze ec.; e non sostengono gli sguardi o le parole amichevoli o indifferenti di tali di cui sosterrebbero facilissimamente l'aspetto minaccioso e l'armi nemiche in battaglia o in duello. La timidità spetta per così dire ai mali dell'animo, il coraggio a quelli del corpo. L'una teme de' danni e delle pene interne, l'altro brava i danni e le sofferenze esteriori. L'una s'aggira intorno allo spirituale, l'altro al materiale. E tanto è lungi che la timidità escluda il coraggio, che anzi ella piuttosto lo favorisce, e da essa si può dedurre con verisimiglianza che l'uomo che n'è affetto sia coraggioso. Perocchè la timidità è abito di temer la vergogna, la quale assai facilmente e spesso incontra chi teme e fugge i pericoli. Onde il temer la vergogna, ch'è male, per così dire, interno e dell'animo, giacchè nulla nuoce al corpo nè alle cose esteriori, ed opera sul pensiero solo, ed ai sensi non dà noia; fa che l'uomo non tema i danni esteriori, e non fugga e, bisogna...
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