[Pagina precedente]...resse sarebbe per se, non per altrui), o da che che si voglia di simil fatta. La semplice stima non ha sede nel cuore, e non tocca in alcun modo al [3600]cuore. Or l'interesse così inteso come noi dobbiamo, e vogliamo intenderlo in questo discorso, o dev'esser tutto nel cuore, o il cuore non può far che non v'abbia parte. Si può veder nella vita, che non si prova interesse efficace e sensibile per persona alcuna, il quale risieda al tutto fuori del cuore. O gratitudine, o naturale consanguineità , o simpatia o altra cosa qualunque che produca tale interesse, il cuore v'ha sempre parte. E dov'ei non l'ha, o quello non è vero interesse, ma egoismo (come chi s'interessa per chi gli è utile o piacevole, o tale lo spera, e ci s'interessa con relazione diretta e immediata a se medesimo e al suo proprio vantaggio), o è ben debole, e per lo più inefficace, come quello ch'è prodotto dal solo dovere in quanto dovere, sia di natura sia di che che si voglia, o da altra tale cagione. Or quello interesse ch'è tutto nel cuore, o dove il cuore ha parte, o è amore o specie di amore. Non può dunque il poeta render molto interessante colui ch'e' non sa o non si propone di rendere amabile. E proprio della poesia il destar la meraviglia e pascerla. Ma oltre che questa passione [3601]non può esser molto durevole, e quando pure lo fosse, il maraviglioso, s'altro non l'accompagna, presto sazia; l'interesse che può concepirsi per una persona solamente ammirabile, non può esser che debolissimo. Si può dir di questo interesse appresso a poco quel medesimo che abbiam detto dell'interesse prodotto e sostentato dalla curiosità (il quale può anche esser più durevole di quello, perchè la curiosità può durar molto più della meraviglia, la quale spesso, e ne' poemi forse sempre, si è l'obbietto della curiosità , ch'è specie di desiderio, e l'obbietto conseguito, per poco spazio diletta). E tornando a mirar nella vita, possiamo veder tuttodì quanto sia debole e inefficace e passeggero l'interesse che producono l'ammirazione o la stima ancorchè somma; seppure interesse alcuno, degno veramente di tal nome, è mai prodotto da queste qualità . Or dunque volgendoci a' poemi epici veggiamo nell'Odissea che Ulisse, molto stimabile, in molte parti ammirabile e straordinario, in nessuna amabile, benchè sventurato per quasi tutto il poema, niente interessa. Ei non è giovane, anzi n'è ben lontano, benchè Omero si sforza di [3602]farlo apparire ancor giovane e bello per grazia speciale degli Dei, di Minerva ec. o per una meraviglia (che niente ci persuade perchè inverisimile), piuttosto che per natura, anzi contro natura. Ma il lettore segue la natura, malgrado del poeta e Ulisse non gli pare nè giovane nè bello. Le qualità nelle quali Ulisse eccede, sono in gran parte altrettanto forse odiose quanto stimabili. La pazienza non è odiosa, ma tanto è lungi da essere amabile, che anzi l'impazienza si è amabile.148 Insomma ne nasce che Ulisse malgrado delle sue tante e sì grandi e sì varie e sì nuove e sì continue sventure, e malgrado ch'ei comparisca misero fino quasi all'ultimo punto, non riesce per niun modo amabile. E per tanto ei non interessa. Ulisse è personaggio maraviglioso e straordinario. I pedanti vi diranno che ciò basta ad essere interessante. Ma io dico che no, e che bisogna che a queste qualità si aggiunga l'essere amabile, e che quelle conducano e cospirino a produr questa, o, se non altro con lei, sieno condite; e che il protagonista sia maravigliosamente e straordinariamente amabile, cioè straordinario e maraviglioso nell'amabilità , [3603]o per lo meno tanto amabile quanto maraviglioso e straordinario.
Da questi discorsi si raccoglie essere un sostanziale e capitale (benchè non avvertito) difetto della Gerusalemme, che il suo principale Eroe, o quello che tale doveva essere, non solamente non riesca per niuna parte amabile, ma il suo carattere e le sue azioni sieno state espressamente delineate e composte in modo ch'ei non dovesse riuscire amabile, o senza l'intenzione di renderlo tale; essendosi il Tasso contentato di farlo ammirabile e fra tutti sommamente (insieme con Rinaldo) stimabile, e straordinario per qualità solamente stimabili. Goffredo è appresso a poco conforme ad Ulisse nel genere di eroismo e di superiorità (salva la differenza de' tempi, de' costumi e circostanze ec. tanto d'ambo gli Eroi, quanto de' due poeti): conforme, dico, ad Ulisse, eccetto nell'odiosità , la quale ancora non so bene se manchi affatto al carattere di Goffredo, e se possa mancare ad un uomo incapace affatto di passioni, privo affatto d'illusioni, tutto ragione, austerissimo ne' costumi, nelle azioni, nella disciplina militare o civile o privata ec. nelle [3604]massime di morale, di condotta ec. austero verso se e verso gli altri, verso i soggetti ec. irreprensibile in ogni cosa, grave, malinconico, e quasi tristo e accigliato ec. ec. Non so, dico, se il lettore della Gerusalemme lasci di concepire nel suo secreto, se non odio, pure una certa mal conosciuta, mal distinta, non confessata alienazion d'animo ed avversione per Goffredo.
Richiedendosi necessariamente, come s'è mostrato, al poeta epico (e similmente al drammatico, al romanziere ec. ed anche allo storico) ch'egli renda in alcun modo, qualunque siasi, amabile colui ch'e' voglia rendere interessante, e grandemente amabile, colui ch'abbia ad essere sommamente interessante; è da considerare che a tal effetto giova grandissimamente la sventura, la quale accresce a più doppi l'amabilità ove la trova, e rende spesse volte amabile chi non lo è, ancorchè sia meritevole delle disgrazie; molto più quando e' ne sia immeritevole. L'uomo poi amabilissimo, che sia indegnamente sventuratissimo, è la più amabil cosa che possa concepirsi. [3605]L'uomo amabile e sventurato meritatamente, è sempre molto più caro e compatito e interessante, che il non amabile e immeritatamente sventurato, il quale può non esser nulla compatito e nulla interessare (e così spessisimo accade), quando eziandio le sue sventure sieno estreme, e quelle dell'altro menome, nel qual caso ancora, colui non può mancare d'esser compatito e riuscir più amabile dell'ordinario. Ma non entriamo in tante sottigliezze e distinzioni. La infelicità nel principal Eroe dell'impresa ch'è il proprio soggetto del poema, non può aver luogo, se non come accidentale, e risolvendosi all'ultimo in felicità , secondo che a suo luogo ho spiegato e mostrato. Per tanto queste osservazioni confermano grandemente il mio discorso sulla necessità di raddoppiar l'interesse nel poema epico, a voler ch'esso poema riesca sommamente interessante e produca grandissimo effetto; e giustificano ed esaltano il fatto di Omero nell'Iliade. Perocchè non dandosi sommo interesse senza somma amabilità , e la sventura essendo principalissima [3606]fonte di amabilità , e quasi perfezione e sommità di essa, e non potendo una grandissima e piena e finale infelicità aver luogo nell'eroe dell'impresa, resta che sia bisogno, a far che il poema sia sommamente interessante, duplicarne formalmente l'interesse, e diversificar l'uno interesse dall'altro, introducendo un altro eroe sommamente amabile, e sommamente sventurato, dalla cui finale sventura sia prodotto e intorno ad essa si aggiri, e ad essa sempre tenda e sia spinto, e in vista di essa per tutto il poema sia proccurato, questo secondo interesse di cui parliamo, il quale renda il poema sommamente interessante e capace di lasciar l'interesse nell'animo de' lettori per buono spazio dopo la lettura ec. Questo è ciò che fece Omero nell'Iliade, nella quale Ettore è per le sue proprie qualità ed azioni, e per la sua somma, piena e finale sventura, sommamente amabile, e quindi sommamente interessante. Quanto ad Achille, ch'è l'altro protagonista, e l'Eroe dell'impresa (così lo chiameremo per esser brevi), Omero non potea farlo sfortunato e infelice, massime considerando la natura e le opinioni di quei tempi, che riponeano il sommo pregio degli uomini nella fortuna, ed anche ragionando (nel modo che altrove ho [3607]detto), dalla fortuna o buona o ria argomentavano o la malvagità o la bontà , o il merito o il demerito di ciascuno, non istimando che nè la sventura nè la buona sorte potesse toccare agl'immeritevoli. Pur quanto gli fu possibile, Omero non mancò di cercar di conciliare ad Achille, cogli altri affetti i più favorevoli, anche l'affetto dolcissimo della pietà , madre o mantice dell'amore. Ciò non solo coll'accidentale sventura della morte del suo amico Patroclo e con altre tali, ma col mostrare eziandio, come in lontananza, la finale sventura e l'infelice destino del bravo Achille, che per immutabile decreto del fato aveva a morire nel più bel fiore degli anni, e questo in prezzo della sua gloria, ch'egli scientemente e liberamente aveva scelta e preposta, insieme con una morte immatura, a una vita lunga e senza onore. Tratto sublime che perfeziona il poetico e l'epico del carattere di Achille, e della sua virtù, coraggio, grandezza d'animo, ec. e che finisce di renderlo un personaggio sommamente amabile e interessante.
Il carattere di Enea partecipa molto de' difetti di quel di Goffredo. Egli ha più fuoco, ma e' [3608]non lascia però di essere alquanto freddo (e un carattere freddo sì nella vita sì ne' poemi lascia freddo e senza interesse il lettore, o chi ha qualunque relazione reale con esso lui, o di lui ode o pensa); egli ha o mostra più coraggio personale e valor di mano, ma queste qualità ci appariscono in lui come secondarie, e poco spiccano, e tale si è l'intenzion di Virgilio, il quale volle che ad esse nel suo Eroe prevalessero altre qualità , che non molto conducono, o piuttosto nuocono all'essere amabile. La pazienza in lui è simile a quella di Ulisse. La prudenza e il senno soverchiano ed offuscano le altre sue doti, non quanto in Goffredo, ma tuttavia troppo risaltano, e troppo sono superiori all'altre sue qualità , e troppo è maggiore la parte ch'esse hanno. Troppa virtù morale, poca forza di passione, troppa ragionevolezza, troppa rettitudine, troppo equilibrio e tranquillità d'animo, troppa placidezza, troppa benignità , troppa bontà . Virgilio descrive divinamente l'amor di Didone per lui: da questo, e quasi da questo solo, ci accorgiamo ch'egli è ancor giovane e bello; e sebben questo in lui non ripugna alla [3609]natura e al verisimile naturale, come in Ulisse, pur tanta è la serietà dell'idea che Virgilio ci fa concepir del suo Eroe, che la gioventù e la bellezza ci paiono in lui fuor di luogo, e quasi ci giungono nuove e ci fanno meraviglia (la meraviglia poetica non dev'esser certo di questo genere), e quasi non ce ne persuadiamo, benchè sieno naturalissime; o per lo meno vi passiamo sopra, senza valutarle, senza fermarci il pensiero, senza formarne l'immagine, senza considerarli come pregi notabili di Enea, perchè Virgilio avrebbe creduto quasi far torto al suo eroe ed a se stesso, s'egli ce gli avesse rappresentati come pregi veramente importanti e degni di considerazione, e notabili in lui fra le altre doti. E così mentre Virgilio si ferma e si compiace in descrivere la passion di Didone e i suoi vari accidenti, progressi, andamenti, ed effetti; dà bene ad intendere ch'ella non era senza corrispondenza, e nella grotta, come ognun sa quel che Didone patisse, così niun si può nascondere quello ch'Enea facesse;ma Virgilio a riguardo d'Enea e della sua passione [3610]parla così coperto, anzi dissimulato, (dico della passione, e non di ciò che ne segue d'inonesto a descrivere, nel che giustamente egli è copertissimo anche rispetto a Didone), anzi serba quasi un così alto silenzio, che e' non mostra essa passione se non indirettamente e per accidente, e in quanto ella si congettura e si lascia supporre per necessità da quel ch'ei narra di Didone, e sempre volgendosi alla sola Didone. E par che volentieri, se si fosse potuto, egli avrebbe fatto che il lettore non istimasse Enea per niun modo tocco dalla passion dell'amore (di donna pur sì alta e sì degna e sì magnanima e sì bella e sì...
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