[Pagina precedente]... trova fuor dell'ordine, e però sono amici dell'ordine. Questi ancora sono per lo più egoisti o nati o divenuti. (1. Settembre. 1823.).
Italianismi nell'uso della voce unus. Vedi Svetonio, in Iul. Caes. cap.32. §.1. e quivi il Pitisco ec. col Forcellini ec.
(1. Sett. 1823.)
[3318]Un francese, un inglese, un tedesco che ha coltivato il suo ingegno, e che si trova in istato di pensare, non ha che a scrivere. Egli trova una lingua nazionale moderna già formata, stabilita e perfetta, imparata la quale, ei non ha che a servirsene. Nè dal principio della loro letteratura in poi, è stato mai bisogno ad alcuno scrittore di queste nazioni, qual ch'ei si fosse, il formarsi una lingua moderna, cioè tale che volendo scrivere, come ognun deve, alla moderna, ei potesse col di lei mezzo esprimere i suoi concetti in qualsivoglia genere. Come dal principio delle loro letterature in poi, quelle nazioni non hanno mai intermesso di coltivar esse medesime gli studi in esse introdotti; o creando e inventando nuovi generi o discipline, con esse hanno naturalmente e sin dal loro principio creato o formato il linguaggio che loro si conveniva; o accettando generi o discipline forestiere, non mai per ancora in esse nazioni conosciute o trattate, insieme con essi generi e discipline accettarono senza contrasto alcuno quei modi e quei vocaboli, ancorchè forestieri, che con esse erano congiunte, e che a volerle trattare indispensabilmente si richiedevano; così non è stato mai tempo alcuno in [3319]cui gli scrittori di quelle nazioni, avendo che scrivere, non avessero come scrivere; mai tempo alcuno in cui quelle nazioni non avessero lingua nazionale moderna per qualunque genere di letteratura e per qualsivoglia disciplina da loro trattata.
Ben diverso è oggidì il caso dell'Italia. Come noi non abbiamo se non letteratura antica, e come la lingua illustre e propria ad essere scritta, non è mai scompagnata dalla letteratura, e segue sempre le vicende di questa, e dove questa manca o s'arresta, manca essa pure e si ferma; così fermata tra noi la letteratura, fermossi anche la lingua, e siccome della letteratura, così pur della lingua illustre si deve dire, che noi non ne abbiamo se non antica. Sono oggimai più di centocinquant'anni che l'Italia nè crea, nè coltiva per se verun genere di letteratura, perocchè in niun genere ha prodotto scrittori originali dentro questo tempo, e gli scrittori che ha prodotto, non avendo mai fatto e non facendo altro che copiare gli antichi, non si chiamano coltivatori della letteratura, perchè non coltiva [3320]il suo campo chi per esso passeggia e sempre diligentemente l'osserva, lasciando però le cose come stanno; nè per rispetto di questi scrittori verun genere della nostra letteratura s'è per niuna parte avanzato o migliorato, niun genere nuovo introdotto; la nostra letteratura è d'allora in poi, quanto a questi scrittori, affatto stazionaria; or questo si chiamerà aver coltivato la nostra letteratura? potremo dir che sia stata coltivata senza profitto alcuno: ciò viene a esser la stessa cosa.
In questo spazio di tempo la letteratura francese e la tedesca sono nate, la letteratura inglese si è primieramente formata e stabilita. Queste tre letterature, quante elle sono e quanto abbracciano, s'includono, si può dir, tutte, quanto al tempo, ne' centocinquant'anni della immobilità della nostra letteratura. La depravazione e quindi il cominciamento dell'ozio e della inoperosità della letteratura italiana furono quasi il segnale alle altre letterature più famose d'Europa di sorgere e comparire [3321]nel mondo. Elle sono sorte, e in breve spazio hanno avanzato e passato i termini da noi già tocchi, e il progresso universale della letteratura e delle cognizioni umane ne' centocinquant'anni ultimi è stato così rapido e così grande, ch'egli equivale per così dire a quello fatto per tutti i secoli addietro infino all'epoca nominata. Ciò singolarmente si può dire in quanto alla filosofia, la quale rinata dopo la detta epoca, e tutta nuova, fa parere più che pigmea la filosofia di tutti gli altri secoli insieme. Ella è divenuta la scienza, il carattere, la proprietà de' moderni; ella regge, domina, vivifica, anima tutta la letteratura moderna; ella n'è la materia e il subbietto; ella in somma è il tutto oggidì negli studi, e in qualsivoglia genere di scrittura; o certo nulla è senza di lei.
Fra queste generali vicende e questo progresso della letteratura, l'Italia, come di sopra dissi, nulla ha fatto per se. Gli scrittori alquanto originali ch'ella ha prodotti in questo tempo, gli scrittori che posson meritar nome di moderni, non [3322]sono stati sufficienti nè per originalità nè per numero, a darle una lingua nazionale moderna, nello stesso modo ch'ei non sono stati sufficienti a fare ch'ella avesse una letteratura moderna nazionale.
E quanto alla lingua, l'insufficienza loro a far che l'Italia n'avesse una moderna sua propria, è venuta principalmente da questa cagione. Trovando interrotta in Italia la letteratura, essi hanno trovato interrotta la lingua illustre; antica quella, antica ancor questa. Una lingua antica non può esser buona a dir cose moderne, e dirle, come devesi, alla moderna: nè la nostra lingua in particolare era buona ad esprimere le nuove cognizioni, a somministrare il bisognevole a tanta e sì vasta novità . Introducendosi fra noi appoco appoco la notizia delle letterature e discipline straniere, que' pochi italiani ch'eccitati da queste nuove cognizioni si trovarono un capitale di mente da poter loro aggiungere qualche cosa di loro; quei molti più che invaghiti della novità , o mossi da qualunque altro motivo, deliberarono, [3323]senza però aver nulla di proprio da scrivere, d'introdurre o divulgare, come si doveva, in Italia i nuovi generi, le nuove letterature e discipline, la nuova filosofia, anzi per meglio dire, la filosofia, non bastando a ciò la lingua italiana antica, intieramente la dismessero, e come di facoltà e di pensieri, così di lingua andarono a scuola dagli stranieri; e da cui toglievano le cose, sia per solamente ripeterle, sia pur talora per accrescerle e in qualche parte migliorarle, da essi tolsero anche le voci e le maniere e le forme del favellare e scrivere. Gli scienziati propriamente detti, rispetto ai quali la nostra nazione non fu quasi per alcun tempo seconda a verun'altra, sempre però poco curanti della lingua, seguirono la barbarie venuta in uso, come il linguaggio ch'era loro alla mano, e come indifferentemente avrebbero seguito qualunque altro linguaggio o puro o impuro che avessero avuto in pronto e che fosse stato comune, il che sempre avevano fatto qui ed altrove.
Tristo veramente e difficile era il caso loro, ma peggio il partito a cui s'appigliarono. Difficile il caso, perocchè quanto è facile il continuare a una nazione la sua lingua illustre insieme colla sua letteratura, tanto è difficile, interrotta per lungo spazio la letteratura, e dovendo quasi ricrearla, riannodare la lingua a lei conveniente colla già antiquata lingua illustre della nazione, colla lingua che fu propria della nazionale letteratura prima che questa fusse totalmente interrotta.
[3324]In questo caso non si trovò forse mai nazione veruna (se non se oggidì la spagnuola quando ella intraprendesse di ristorare la sua quasi spenta letteratura). Ma questo appunto è il caso nel quale si trova oggi l'Italia.
Noi abbiamo una lingua; antica bensì, ma ricchissima, vastissima, bellissima, potentissima, insomma colma d'ogni sorta di pregi; perocchè abbiamo una letteratura, antica ancor essa, ma vasta, varia, bellissima, abbondantissima di generi e di scrittori, splendidissima di classici, durata per ben tre secoli e più, tale che rispetto all'età ch'ella aveva quando fu tralasciata, l'età che hanno presentemente l'altre letterature, è affatto giovanile. Per queste cagioni, e per altre che ora non accade specificare, questa lingua italiana che noi ci troviamo, supera di ricchezza, di potenza, di varietà tutte le lingue moderne, salvo forse la tedesca; di bellezza avanza d'assai tutte queste lingue senza eccezione nè dubbio alcuno; d'altri pregi è superiore, non solamente a esse lingue, ma alle antiche eziandio. Tale si è [3325]la lingua italiana per se ed intrinsecamente. Ma ella è antica; cosa estrinseca; ed essendo antica non basta, nè si adatta tal quale ella è, a chi vuole scriver cose moderne in maniera moderna. Perciò forse potrà un uomo sano volere o concedere che una tal lingua si gitti e dimentichi come divenuta del tutto inutile, e che dando all'Italia una letteratura moderna propria, se le debba dare con essa insieme una lingua affatto nuova, come finora s'è fatto, o pigliandola dagli stranieri, ch'è pur quel che s'è fatto, o creandola di pianta, quasi niuna, o solo una imperfettissima e debole e scarsa e spregevole lingua, avesse avuto l'Italia per lo passato.
Ma certo, come questo è assurdissimo, e siccome per prova veggiamo, dannosissimo; così quello è necessario, evidente e certo, che volendo dare alla moderna Italia una moderna letteratura, conviene non già mutare la sua antica lingua, nè disfarla, nè rinnovarla, ma salvi i suoi fondamenti, l'indole e proprietà sua, e tutti i suoi pregi secondo le loro speciali e proprie qualità , rimodernarla, e fare in modo che la lingua [3326]moderna italiana illustre sia propriamente una continuazione, una derivazione dell'antica, anzi la medesima antica lingua continuata, niente meno che la francese dell'ultima metà del passato secolo, e quella del presente, non sono altra che quella del tempo di Luigi XIV. continuata di mano in mano.
Or questo ai francesi fu facile, perchè la loro letteratura non fu interrotta per alcun tempo, da Luigi in poi; laonde la loro lingua fu sempre continuata naturalmente e senza sforzo, e sempre successivamente modificandosi secondo i tempi, fu in ciascun tempo moderna, ma una in tutti i tempi considerati insieme. A noi bisogna far forza alle cose, e quasi scancellare e annullare o nascondere il fatto, cioè governarci in modo che quel che fu, apparisca non essere stato, e la lingua italiana sembri non essere stata per alcun tempo interrotta, ma continuamente avanzata e modificata sino a divenir propria e conforme e conveniente all'odierna Italia ed alla sua moderna letteratura.
Quindi si consideri le grandissime difficoltà ed ostacoli che si attraversano, le angustie [3327]che stringono, la vera infelicità della condizione in cui si trova oggidì l'italiano che aspiri ad esser scrittor classico, cioè pensare originalmente, dir cose proprie del tempo, dirle in modo proprio del tempo, e perfettamente adoperare la sua lingua, senza le quali condizioni, e una sola che ne manchi, non si può mai nè pretendere giustamente, nè ragionevolmente sperare l'immortalità letteraria. (Alla quale, e sia detto per incidenza, ben raro o niuno è che giungesse per mezzo di opere scritte in lingua non sua; come se noi spaventati dalle difficoltà che ho detto e son per dire, volessimo scrivere in francese piuttosto che in italiano.)
Un italiano ancorchè pienamente istruito in tutto ciò che si richiede oggidì in qualsivoglia luogo a un perfetto uomo di lettere, ancorchè sommamente ricco d'immaginazione e di cuore, ancorchè fecondissimo e gravido di pensieri propri, importantissimi, profondissimi, novissimi, d'invenzioni, d'idee d'ogni genere convenientissime al tempo; ancorchè osservatore, meditatore, ragionatore senza pari; ancorchè peritissimo di tutte l'arti e artifizi dello [3328]stile; volendo perfettamente scrivere in italiano, ed essendo, per ogni altro riguardo, capacissimo di perfettamente scrivere; si trova mancare affatto della lingua in cui possa farlo, non solo perfettamente, ma pur mediocrissimamente. A questo tale è duopo apprestarsi prima di tutto una lingua colle sue mani. Ma questa in qual modo? Manco difficile sarebbe il crearsela. Se l'Italia non avesse che una lingua imperfettissima, ristrettissima e bambina, manco difficile sarebbe a un grande ingegno il p...
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