[Pagina precedente]...e, secondo i nostri principii, se la lingua francese appartenesse alla famiglia dell'altre quattro anche quanto all'indole. Laddove quanto all'indole, anche la lingua de' moderni francesi appartiene a una famiglia diversa (ch'ella forma, si può dir, da se sola se non quanto ella, come la sua letteratura, ha corrotte e va corrompendo parecchie altre lingue, e letterature, e ad alcune che ancor non hanno carattere, come la russa, la svedese, olandese ec. ha impresso o imprime il suo, più o meno durevolmente ec.), e l'altre quattro suddette, formano una famiglia a parte.
(30. Sett. 1823.)
Alla p.3557. fine. Del resto l'uso de' nomi ordinali de' numeri in vece de' cardinali è anche comune in parte agl'italiani, sì nel discorso familiare (come l'anno mille, il reggimento quattro ec. ec.) sì nella scrittura anche elegante. V. fra gli altri lo Speroni nel Discorso o lettera del tempo del partorire delle Donne, che tiene il terzo luogo tra' suoi Dialoghi, Ven. 1596. p.49. lin.16. paragonata colle superiori, p.50. lin.23. 24. p.51. lin.24. p.52. lin.1.7.9. 10. 18.22. p.56. lin.3. e altrove.
(30. Sett. 1823.)
Francesismo ed italianismo (fors'anche spagnolismo) [3561]del genitivo plurale invece dell'accusativo del medesimo numero, appresso Aristot. Polit. l.3. ed. Flor. ap. Iunt. 1576. p.209. mezzo, e veggasi quivi il commento di Pier Vettori. (30. Sett. 1823.). Noi ed i francesi usiamo il genit. plur. anche in vece del nominativo plurale. Anche in caso terzo ec. a di molti, con di molti, Ã des femmes ec.
Alla p.3413. Infatti la scrittura dello Speroni è tutta sparsa e talor quasi tessuta, non pur di vocaboli, o d'usi metaforici ec. di parole, tutti propri di Dante e di Petrarca, ma di frasi intere e d'interi emistichi di questi poeti, dall'autore dissimulatamente appropriatisi e convertiti all'uso della sua prosa. Nè tali voci, frasi ec. riescono in lui punto poetiche, ma convenientissimamente prosaiche. Altrettanto fanno più o meno molti altri autori del cinquecento, massime i più eleganti, ma lo Speroni singolarmente. Or andate e ditemi che altrettanto potessero fare, non pur i prosatori greci con Omero, o altro lor poeta, ma i latini con Virgilio ec. benchè il latino non abbia linguaggio poetico distinto. Che vuol dir ciò dunque, se non che il linguaggio di Dante e Petrarca era poco o nulla distinto da quel della prosa? Onde i prosatori potevano farne lor pro, anche a sazietà , senza dar nel poetico. Le voci e frasi e significati più poetici ed eleganti di Petrarca Dante ec. tengono come un luogo di mezzo tra il prosaico e il poetico, onde in una prosa alta, com'è quella dello Speroni, ci stanno naturalissimamente. P.e. talento in quel significato Che la ragion sommettono al talento. Non si sa ben dire se sia più del verso che della prosa. Vedilo benissimo usato dallo Speroni ne' Diall. Ven. 1596. p.69. fine. Altri, e non pochi, prosatori del 500, siccome nel 300 il Boccaccio, davano nel poetico sconveniente [3562]alla prosa, adoperando a ribocco e senza giudizio le voci, le significazioni, le metafore, le frasi, gli ornamenti, l'epitetare ec. sì di Dante e Petrarca sì de' poeti del 500. stesso. E ciò per la medesima ragione per cui i detti poeti adoperavano le frasi e voci ec. della prosa, come a pagg.3414. segg. Ciò era perchè i termini fra il linguaggio della poesia e della prosa non erano ancora ben stabiliti nella nostra lingua. Onde come noi non avevamo ancora un linguaggio propriamente poetico bene stabilito e determinato, (p.3414.3416.), così nè anche un linguaggio prosaico. Nella stessa guisa (ma però molto meno) che i francesi non hanno quasi altra prosa che poetica, perchè appunto non hanno lingua propriamente poetica, distinta e determinata, e assegnata senza controversia alla poesia (veggansi le p.3404-5.3420-1. 3429. e il pensiero seguente). Nessun buon autore del seicento, del sette e dell'ottocento dà nel poetico come molti buoni e classici del 500 (non ostante nel 600 la gran peste dello stile derivata appunto dal cercare il florido, il sublime, il metaforico, lo straordinario modo di parlare e di esprimere checchessia, il fantastico, l'immaginoso, l'ingegnoso; e consistente in queste qualità ec. peste [3563]che nel 500 ancor non regnava, eppur tanto regnava il florido e il poetico nella prosa, quanto non mai nelle buone e classiche prose del 600: segno che quel vizio nel 500. veniva da altra cagione, e ciò era quella che si è detta). Nessuno oggi (nè nei due ultimi secoli) per poco che abbia, non pur di giudizio, ma sol di pratica nelle buone lettere sarebbe capace di peccare, scrivendo in prosa, per poeticità di stile e linguaggio, altrettanto quanto nell'ottimo ed aureo secolo del 500. (mentre il nostro è ferreo) peccavano gli ottimi ingegni nelle classiche prose, sì nel linguaggio, sì nello stile, che quello si tira dietro (p.3429. fine). E come ho detto a pagg.3417-9. che il linguaggio propriamente poetico in Italia non fu pienamente determinato, stabilito, e distinto e separato dal prosaico, se non dopo il cinquecento, e massime in questo e nella fine dell'ultimo secolo; così si deve dire del linguaggio prosaico, quanto all'essere così esattamente determinato ch'ei non possa mai confondersi col poetico, nè dar nel poetico senza biasimo ec. Il che non ha potuto perfettamente essere finchè i termini fra questi due linguaggi non sono stati fermamente posti, e chiaramente precisamente [3564]incontrovertibilmente segnati, tirati, descritti. Onde il linguaggio perfettamente proprio e particolare della prosa, e il perfettamente proprio e particolare della poesia sono dovuti venire in essere a un medesimo tempo, e non prima l'uno che l'altro (o non prima esser perfetto ec. ec. l'uno che l'altro, e crescer del pari quanto alla loro prosaicità e poeticità ); perchè ciascun de' due è rispettivo all'altro ec. ec.
(30. Sett. 1823.)
Alla p.2911. marg. La lingua ebraica è poetica ancor nella prosa, per quella sua estrema povertà , della quale altrove ho ragionato, mostrando come in ciascuna sua parola cento significati si debbano accozzare e si accozzino, conforme accadde a principio in ciascheduna lingua, finchè col variare o per inflessione, o per derivazione, o per composizione, o con altra modificazione le poche radici a seconda de' loro vari significati, si venne d'una sola parola a farne moltissime, e di poche, infinite; per modo che ciascun significato de' tanti che dapprima erano riuniti in un solo vocabolo, non per esser trasportato ad altra parola, ma come per suddivisione o emanazione o altra varia modificazione di [3565]quello stesso primo vocabolo, ebbe una parola per se, o con poca e discreta compagnia d'altri significati.
Or dunque non potendo quasi la prosa ebraica usar parola che non formicolasse di significazioni, essa doveva necessariamente riuscir poetica e per la moltiplicità delle idee che doveva risvegliare ciascuna parola, (cosa poetichissima, come altrove ho detto);e perchè essa parola non poteva dare ad intendere il concetto del prosatore se non in modo vago e indeterminato e generale come si fa nella poesia; e perchè quasi tutte le cose, eccetto pochissime si dovevano esprimere con voci improprie e traslate (ch'è il modo poetico); cosa che in tutte le lingue intravviene, rigorosamente parlando, ma non si sente, se non alcune volte, la traslazione, perchè l'uso l'ha trasformata, quasi o del tutto, in proprietà ; laddove ciò non poteva aver fatto nella lingua ebraica, la qual se toglieva a una parola il significato proprio in modo che il traslato divenisse padrone e paresse proprio esso, al vero proprio che cosa poteva restare in tanta povertà ? [3566]sentivasi dunque sempre, anche nella prosa ebraica, la traslazione, perchè la voce, insieme co' sensi traslati, riteneva il proprio. Tale pertanto essendo la lingua destinata alla prosa, necessariamente anche lo stile del prosatore doveva esser poetico, siccome per la contraria ragione i primitivi poeti latini italiani ec. non trovando nella lingua voci poetiche, furono necessitati a tenersi in uno stile che avesse del familiare, come altrove ho detto.
La prosa ebraica era dunque poetica per difetto e mancamento, e perchè la lingua scarseggiava di voci. Non così la prosa francese, la qual è per lo più poetica, mentre la lingua abbonda di voci, come ho detto altrove. Ma essa prosa è poetica perchè la lingua francese scarseggia, e si può dir, manca di voci poetiche, cioè di voci antiche ed eleganti propriamente, cioè peregrine ec. E vedi il pensiero antecedente con quello a cui esso si riferisce. Le voci ebraiche sono tutte poetiche non appostatamente, nè perchè usate da' poeti, nè perchè fatte ad esser poetiche e destinate all'uso della poesia, nè perchè peregrine o per antichità , o per [3567]traslazione ec. ma per causa materiale ed estrinseca, e semplicemente perchè son poche. E la lingua ebraica è tutta poetica materialmente, cioè semplicemente perciocch'è povera. E lo stile e la prosa ebraica sono poetiche stante la semplice povertà della lingua. Qualità comune a tutte le lingue ne' loro principii, insieme colla conseguenza di tal qualità , cioè insieme coll'esser poetiche. Non intendo però di escludere le altre ragioni non materiali che certo anch'esse grandemente contribuirono a render poetica la lingua, stile e prosa ebraica, cioè l'orientalismo e la somma antichità , del che vedi la pag.3543. E questa seconda condizione influisce altresì grandemente e produce l'effetto medesimo in ciascun'altra lingua ne' di lei principii, in ciascuna lingua che conserva il suo stato primitivo, in ciascun'altra lingua antichissima ec. Del resto la somma forza e il sommo ardire che si ammira nelle espressioni della Bibbia, e che si dà per un segno di divinità , (veggasi la p. citata qui sopra) non proviene in gran parte d'altronde che da vera impotenza e necessità , cioè da estrema povertà che obbliga a [3568]un estremo ardire nelle traslazioni e in qualsivoglia applicazione di significati, a tirar le metafore di lontanissimo ec.
(1 Ottobre, giorno in cui s'intese la creazione del nuovo Papa. 1823.)
Della corruzione, degenerazione, snaturamento, deterioramento ec. delle generazioni degli uomini civili, e degli animali dagli uomini dimesticati, cioè alterati, snaturati e corrotti, in quanto tal deterioramento viene da cause fisiche, e in quanto la civiltà dell'uomo ec. opera fisicamente sulla generazione, è da esser veduto il Discorso o Lettera del tempo del partorire delle donne di Sperone Speroni, che tiene il 3°. luogo tra' suoi Dialoghi, Venez. 1596. p.53-54. principio.
(1. Ottobre. 1823.)
????? ?? ?? ?????????? ?????? ??????????? ?? ?????? ??? ???????? ?????????? ??? ???, ?? ??????? ????? ?????????(prosperitatis. Victorius) ?? ???? ??? ?????????? ???????. Aristot. Polit. l.3. ed. Flor. Iunt. 1576. p.211.
(1. Ottobre. 1823.)
A ciò che ho detto del nostro usare, usar, user continuativo di utor-usus, aggiungi [3569]il nostro abusare, abusar, abuser, continuativo di abutor abusus, e v. il Gloss. se ha nulla. Oltre disusare, ausare o adusare ec.
(1. Ott. 1823.)
Cuso as continuativo di cudo-cusus. V. il Forcell. e le cose da me dette in proposito di accuso, excuso, recuso, incuso e simili.
(1. Ott. 1823.)
Curtare (cortar spagn. accortare, scortare coll'o stretto, accorciare ec. ital. accourcir ec. franc.) viene da curtus. Così decurtare ec. Ma curtus che cos'è? forse un semplice aggettivo? Signor no, ma egli è senza fallo originariamente un participio (come insinua anche la sua forma materiale e il modo della sua significazione e del suo uso assolutamente e generalmente considerato) di un verbo di cui curtare è continuativo. E questo verbo perduto era un curo o cero o ciro o simile da ??????? o da ?????, tondeo, scindo, abscindo. Curtare per tondere vedilo nell'ultimo esempio del Forcellini; il qual luogo non sarebbe stato tentato dai critici, o forse guasto dagli amanuensi se avessero saputo e considerato questa certissima etimologia e formazione di curtare che, s...
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