[Pagina precedente]...ersazione ec. Ma ciò è ben diverso, e in certo senso, contrario al modo in che i greci e i latini davano dignità ed elevatezza al loro stile, in che gliene diedero i nostri classici e gli spagnuoli, benchè non sempre perfetti nel loro genere di stile, come avrebbero e potuto e dovuto essere, e come esigeva naturalmente esso genere di stile, e l'indole stessa della lingua ec. Si possono vedere le pagg.3453. segg. e 3561. segg. ec. Vedi quello che altrove ho detto sopra il poetico dello stile di Floro, (v. p.3420.), e quello che ho detto sopra ciò, che la lingua francese sempre prosaica nel verso, è oggimai sempre poetica nella prosa; e altri tali pensieri.
Venendo alla conchiusione, ripeto che da una lingua così conforme alla nostra, come ho mostrato essere la spagnuola, per ogni verso, e per tante cagioni naturali, accidentali, intrinseche, estrinseche ec.; da una lingua sorella com'essa è all'italiana; da una lingua ec. ec.; molta bella ed utile novità possono trarre gli scrittori italiani moderni, come ne trassero gli antichi e classici nostri. Ma voglio io perciò introdotti nella lingua italiana degli spagnuolismi? Tanto come, consigliando [3405]di attingere dal latino, intendo consigliare che s'introducano nell'italiano de' latinismi.106 Sono nel latino molte parole, nello spagnuolo alcune, nel greco, nel latino e nello spagnuolo moltissimi modi e forme di dire, (e molte significazioni di vocaboli o modi già fatti italiani) le quali tutte non per altro non sono italiane, se [non] perchè da veruno per anche non introdotte nella nostra lingua. Adoperandole nell'italiano, elle sarebbero così bene intese, cadrebbero così bene e facilmente, parrebbero così spontanee e naturali, sarebbero così lontane da ogni sembianza d'affettate, che niuno s'accorgerebbe non pur ch'elle fossero o greche o latine o spagnuole anzi, o più, che italiane, ma neppur sentirebbe che fossero nuove nella nostra lingua, nè se n'avvedrebbe in altro modo che ricercandone espressamente il vocabolario. O se vi sentisse della novità , ne sentirebbe quel tanto e non più, che dà grazia, eleganza, forza, nobiltà , bellezza allo stile e alla lingua, e dividono l'una e l'altra dal popolo, il che non pur è concesso ma richiesto al nobile scrittore in qualunque genere. Queste [3406]voci, frasi, forme, benchè latine, greche, spagnuole di origine; benchè non mai per l'innanzi usate o sentite in italiano; introdotte che vi fossero, non sarebbero nè latinismi nè grecismi nè spagnolismi, perchè non vi si conoscerebbe nè la latinità , nè la grecità ec., o se vi si conoscerebbe, non vi si sentirebbe, ch'è quel che importa; nè vi si conoscerebbe che per cagioni estrinseche e proprie del lettore, cioè per la cognizione che questi avrebbe di quelle lingue, e degli scrittori italiani ec.; non per cagioni intrinseche, cioè proprie di quella tale scrittura, stile ec. per le qualità di quelle tali voci, frasi ec. rispetto alla lingua italiana o a quel tal genere e stile. Altre voci, frasi, forme, significazioni sono in gran numero nelle dette lingue, che si potrebbero pure utilissimamente introdurre nella italiana, ma non altrove che in certi luoghi, con certi contorni, preparazioni ec. nè senza molta avvertenza, arte, discrezione, giudizio dell'opportunità ec. Con le quali condizioni, nè anche queste (che sono in molto maggior numero dell'altre sopraddette) non riuscirebbero nè latinismi nè grecismi ec. per le stesse ragioni. [3407]Ovunque si senta latinità , grecità ec. o un sapore di non nazionale, indipendentemente dalle cognizioni ec. del lettore, e per propria qualità della parola o frase, o del modo in ch'ella è adoperata, quivi è latinismo, grecismo ec. quivi barbarismo, quivi sempre vizio. E siccome nei contrarii casi suddetti, malgrado la vera novità , niun vizio, anzi pregio vi sarebbe; così in questo caso, niun pregio sarebbevi, e sempre vizio, quando anche la novità non fosse vera, cioè quando bene quella tal parola ec. avesse già esempio d'autor classico nazionale, e n'avesse ancor molti; sia che in tutti questi ella stesse parimente male, o che stando bene in questi, ella stesse male nel dato caso, perchè non intelligibile o difficile a intendere, perchè male adoperata, e senza i debiti riguardi, e in occasione e con circostanze non opportune ec. Similmente accade e si dee discorrere intorno alle parole antiquate. La novità in una lingua, o la rarità ec., insomma il pellegrino, da qualunque luogo sia tolto (o da' forestieri, o dagli antichi classici nazionali ec.), deve sempre parere una [3408]pianta, bensì nuova nel paese o rara, ma nata nel terreno medesimo della lingua nazionale, e non pur della nazionale, ma della lingua di quel secolo, della lingua conveniente a quel genere a quello stile a quel luogo della scrittura. Sempre ch'ella par forestiera (e recata d'altronde) per qualunque ragione, e in qualunque di questi sensi, ella è cattiva. Nel caso contrario è sempre buona.
Lo studio della lingua greca, latina, spagnuola, applicato a quello dell'italiana, non ci deve servire a latinizzare, grecizzare ec. in niuna parte (sensibilmente) la nostra lingua. Esso ci deve servire e ci serve mirabilmente a conoscere in quanti modi, niuno per anche usato, si possa usare e rivolgere questa lingua italiana medesima che abbiam per le mani, si possano comporre insieme, o adoperare per se stesse le sue parole, frasi ec.107 Noi dobbiamo pescare in esse lingue, non latinismi, grecismi, ec. ma, per dir così, voci e forme e frasi italiane non per anche usate; delle quali esse lingue abbondano. Studiandole (siccome strettissimamente affini alla nostra, alla sua indole) ec. noi ci avveggiamo [3409]che l'italiano può adoperare un tal modo, forma, voce, significazione, ch'e' non ha mai adoperato; la può adoperare, non perchè latina, greca, spagnuola, ma perchè conforme all'indole dell'italiano stesso, perchè questa lingua per se medesima, e tale qual ella è n'è capace; perchè appunto adoperata nell'italiano, non parrà nè latina nè greca nè spagnuola, ma parrà e sarà subito italiana. (cioè sarà intesa subito, cadrà naturalmente, o dovunque o in certi tali generi o luoghi, ec. ec.). Fatta questa scoperta, e avvedutici di questa verità , della quale senza lo studio di quelle lingue non avremmo avuto alcuna notizia, noi introduciamo nell'italiano quella tal frase ec. da niuno ancora usata, e che noi, se la lingua latina ec. non ce l'avesse mostrata, non avremmo potuto concepire e immaginare e inventare da noi medesimi e mediante la sola cognizione della nostra lingua, se non per caso.108 Così quelle lingue ci somministrano copiose novità , che non sono nè latinismi nè grecismi, ec. ma italianismi o nuovi o rari, e questi bellissimi e utilissimi, e insomma degnissimi d'entrare in uso. Nello stesso modo che sono italianismi, [3410]e degnissimi d'entrare in uso, infiniti vocaboli, locuzioni (significati) e forme nuove, che l'abile e giudizioso e ben perito scrittore, può inesauribilmente e incessantemente derivare, formare, comporre ec. dalle stesse radici, degli stessi materiali, degli stessi capitali e fondi della lingua nostra, profondamente conosciuti e perfettamente posseduti, seguendo sempre e intieramente la vera indole e proprietà d'essa lingua, e conformandosi con tutte le sue qualità sieno intrinseche, sieno estrinseche ec.
(9-10. Sett. 1823.)
Gli uomini che vivono in solitudine sono inclinatissimi al metodo. Ma non tanto quelli che nella solitudine sono occupati, o che perciò appunto vivono in solitudine, (ne' quali, siccome in tutti quelli che sono molto occupati, il metodo e l'ordine dell'azioni sarebbe ragionevolissimo, perchè l'ordine così di luogo come di tempo è sempre risparmio dell'uno o dell'altro, e il disordine al contrario) quanto in quelli che nulla hanno da fare, come malati cronici, carcerati, vecchi ritirati per cagionevolezza dell'età , per debolezza, o per abito di pigrizia. Questi sogliono esser metodici fino all'ultimo eccesso. Pare che l'uomo sia tanto più [3411]geloso di ordinare la sua vita quanto meno ha da occuparla, o quanto meno la occupa.109 Non potendo o non volendo impiegare il tempo, si occupa a regolarlo e partirlo e distinguerlo. L'ordinare le sue operazioni diviene l'unica sua operazione e occupazione. (11. Sett. 1823.). Io ho conosciuto uno di questi che dal capo al piè della giornata non aveva una sola cosa da fare, e lagnavasi della brevità del tempo, e che il giorno non bastava alle sue occupazioni quotidiane; e perciò sopportava di mala voglia qualunque straordinaria distrazione o altro, che gli occupasse alcun poco di tempo.
(11. Sett. 1823.)
Come altrove ho detto, la monarchia è il più, anzi il solo, perfetto stato di società , perchè il solo naturale, il solo primitivo, il solo comune agli animali che hanno qualch'ombra di società , il solo che si trovi nel cominciamento di tutte le nazioni. (In qual modo nascesse la monarchia, vedilo nel principio della Rep. di Aristotele, che benissimo lo spiega, perocchè [3412]certo le nazioni o le popolazioni non convennero mai espressamente di ubbidire ad alcuno, nè mai diedero in niun modo i loro suffragi per li quali riuscisse eletto ad unanimità un monarca, che in questa elezione fondasse di quindi innanzi il diritto di comandarle.) Da questo principio segue che ogni repubblica o stato franco, comunque antichissimo, comunque anteriore a quella civilizzazione ch'è affine alla corruzione, comunque proprio eziandio di tempi e di popoli affatto rozzi, od anche di tempi e popoli eroici e virtuosi e magnanimi ec., sempre ch'esso si trova in una società già formata, già capace di tal nome, (sia antica, sia moderna, sia civile, sia selvaggia) è indizio certo di corruzione di questa tal società , ed è esso medesimo una corruzione del governo; il quale senza fallo, si sappia o non si sappia dalla storia, prima fu monarchico; ond'esso stato franco è indubitatamente in essa società una sorta di governo secondaria e non primitiva, ma sottentrata in luogo della primitiva, e nata dalla corruzione di questa, o certo della respettiva società .
(11. Settembre. 1823.). V. p.3517.
[3413]Alla p.2841. Sperone Speroni nell'Orazione in morte del Cardinal Bembo, quinta delle Orazioni sue stampate in Ven. 1596. pag.144-5. poco innanzi il mezzo dell'orazione suddetta. I medesimi verbi colla stessa construtione (p.145.) usa il volgar poeta, (il poeta italiano) che suole usar l'oratore; onde non pur è lunge da quell'errore, ove spesse fiate veggiamo incorrere i Greci, et qualche volta i Latini, cioè a dire, che egli si paia di favellare in un'altra lingua, che non è quella dell'oratore; anzi i più lodati Toscani all'hora sperano di parlar bene nelle lor prose, et par quasi, che sene vantino, quando al modo, che da' Poeti è tenuto hanno affettato di ragionare. Et chi questo non crede, vada egli a leggere il Decameron del Boccaccio, terzo lume di questa lingua, et troveravvi per entro cento versi di Dante così intieri, come li fece la sua comedia.110 Non parrebbe da queste parole che l'Italia non avesse lingua propriamente [3414]poetica, o certo ben poco distinta dalla prosaica? E non è d'altronde manifesto ch'ella ha una lingua poetica più distinta dalla prosaica che non è quella di forse niun'altra lingua vivente, e certo più che non è quella de' Latini, in quanto si vede che noi, imparato che abbiamo ad intendere la prosa latina, intendiamo con poco più studio la poesia, (lo studio che ci vuole, e il divario tra il linguaggio della poesia latina e della prosa, consiste principalmente nella diversità di molta parte delle trasposizioni, ossia nell'ordine e costruzione delle parole, ch'in parte è diversa) ma uno straniero non perciò ch'egli ottimamente intendesse la nostra moderna lingua prosaica, intenderebbe senza molto apposito studio la poetica? Tant'è. Nello stesso cinquecento, l'Italia non aveva ancora una lingua che fosse formalmente poetica, cioè la diversità del linguaggio tra i poeti e gli oratori, non era per anche se non lieve, e male o insufficien...
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