[Pagina precedente]...ente fare, la composizione e la derivazione), non furono [3286]già nella lingua greca quasi casuali, rare, fuor di regola e di costume e d'ordine, quasi anomalie, aberrazioni, non proprie della lingua, ma frequentissime, ordinarie, usitate, abituali, e regolari, ossia fatte per regola, come apparisce dal gran numero di temi e verbi che si trovano alterati in questo o quello de' suddetti modi e degli altri che si potrebbero dire; onde i grammatici distinguono siffatte alterazioni o modificazioni affatto materiali in molti diversi generi, e sotto ciascun genere radunano un gran numero di verbi o temi, in quella tal guisa uniformemente alterati dal primo loro essere. Questa tal sorta di alterazione, questo modo di alterare le voci, indipendente e diverso affatto dal derivare e dal comporre, e del tutto scompagnato dalla mutazione o pur modificazione di senso, non si trova punto nel latino; certo non vi si trova per costume nè per regola, nè d'assai così frequente, nè così vario ec. Perlochè anche di qui si faccia ragione quanto più nel greco che nel latino sia difficile il rintracciare le origini, l'antichità, il primitivo o l'antico stato delle voci e della lingua e della [3287]grammatica, le radici, l'etimologie ec. Massime considerando che detta materialissima alterazione si fa non mica in uno o in due, ma in molti diversissimi modi, tutti però frequentatissimi e usitatissimi; che moltissimi verbi o vocaboli così alterati hanno mandato in disuso i non alterati ec. che naturalmente moltissimi verbi così alterati, essendo perduti quelli della primitiva forma, saranno da noi creduti aver la forma primitiva, e pigliati per radici, quando non saranno che alterazioni di queste, più o men lontane, mediate o immediate, maggiori o minori ec. ec.
Usa ancora la lingua greca alcune derivazioni di voci, p.e. di verbi, che nulla però cambiano il significato, e il non cambiarlo non è in esse anomalia, o cosa non ordinaria, come lo sarebbe in latino, ma ordinaria e regolare. Voglio dir p.e. di quella maniera siracusana di formare dal perfetto de' temi un nuovo verbo, come da ??????? di ???? fare ???????, da ?????? di ????, ??????, da ?????? di ???, ?????? (e questa maniera, con siffatti verbi, sono ricevuti massime da' poeti, ma anche da' prosatori greci, generalmente); e di quell'altra maniera greca di fare dal futuro primo de' temi un nuovo verbo, aggiungendoci il ?, come da ???? (inusitato) - ?????, ?????? inusitato onde ????????. (V. i Gram. se però è vera questa maniera, e non piuttosto si fa p.e. ?????? dal tema stesso, cioè ????, interpostovi ??, come da ???, ?????, interposto [3288]l'?? ec. ec.). Queste e tali altre molte derivazioni senza cambiamenti di significato, che perciò appunto hanno contribuito sommamente a perdere e distruggere le voci originarie, e contribuiscono a nasconderle, e renderne difficile l'investigazione, e confondere l'erudito, e dividere i gramatici in cento diversi sistemi e opinioni, sì circa le regole più o men generali, sì circa le particolari etimologie ec. ec.; non hanno luogo nella lingua latina, o certo assai meno senza confronto ec. ec.
(27. Agos. 1823.)
Ajouter quasi adjunctare, aggiuntare, spagn. juntar, da adiungere. Anche il nostro giuntare è da iungere. V. la Crusca in Giugnere §.7 e il Gloss. in iunctare, adiunctare ec. se ha nulla.
(28. Agosto. 1823.)
Succenseo è verbo, secondo me, indubitatamente formato dal participio in us d'altro verbo, cioè di succendo. (V. anche il Forcell. in Censeo fine.) Ma oltre al non essere della prima maniera, ei non solo non è di senso continuativo, ma è neutro nel mentre che succendo è attivo. Onde nulla ha che fare colla nostra teoria: se non ch'è notabile, come fatto da un participio passivo, della qual formazione [3289]non mi ricordo adesso altro esempio che sia fuori del numero de' nostri continuativi e frequentativi.
(28. Agos. 1823.)
Fator aris da for-aris-fatus. Verbo da porsi insieme con dato as, nato as, e s'altro ve n'ha (fatti tutti da un tema monosillabo.), dove l'a del participio in atus, non si muti, nella formazione del continuativo, in i.
(28. Agosto 1823.)
Alla p.3246. Fatigo as da ago is (v. Forcell.) se questa etimologia è vera. (Noi abbiamo fatica, volgarmente fatiga, franc. fatigue, spagn. fatiga. Che questa sia la radice di tal verbo? Certo ella è voce commune a tutte tre le lingue figlie. Ma in tal caso dovrebb'ella esserlo ancora di fatisco per venir meno? il che non parrebbe probabile. V. il Gloss. se ha nulla). Ago ha dal participio actus il frequentativo actito, e dall'antico e regolare agitus l'usitato continuativo o frequentativo agito. Non so se mitigo as possa aver nulla che fare con questo discorso.
(28. Agos. 1823.)
Sogliono le opere umane servire di modello successivamente l'une all'altre, e così appoco [appoco] perfezionandosi il genere, e ciascuna opera, o le più [3290]d'esse riuscendo migliori de' loro modelli fino all'intero perfezionamento, il primo modello apparire ed essere nel suo genere la più imperfetta opera di tutte l'altre, per infino alla decadenza e corruzione d'esso genere, che suole altresì ordinariamente succedere all'ultima sua perfezione. Non così nell'epopea; ma per lo contrario il primo poema epico, cioè l'Iliade che fu modello di tutti gli altri, si trova essere il più perfetto di tutti. Più perfetto dico nel modo che ho dimostrato parlando della vera idea del poema epico p.3095-3169. Secondo le quali osservazioni da me fatte si può anzi dire che siccome l'ultima perfezione dell'epopea (almen quanto all'insieme e all'idea della medesima) si trova nel primo poema epico che si conosca, così la decadenza e corruzione di questo genere incominciò non più tardi che subito dopo il primo poema epico a noi noto. Similmente negli altri generi di poesia, per lo più, i migliori e più perfetti modelli ed opere sono le più antiche, o assolutamente parlando, o relativamente alle nazioni e letterature particolari, [3291]come tra noi la Commedia di Dante è nel suo genere, siccome la prima, così anche la migliore opera.
(28. Agosto. 1823.)
Alla p.3282. Bisogna distinguere tra egoismo e amor proprio. Il primo non è che una specie del secondo. L'egoismo è quando l'uomo ripone il suo amor proprio in non pensare che a se stesso, non operare che per se stesso immediatamente, rigettando l'operare per altrui con intenzione lontana e non ben distinta dall'operante, ma reale, saldissima e continua, d'indirizzare quelle medesime operazioni a se stesso come ad ultimo ed unico vero fine, il che l'amor proprio può ben fare, e fa. Ho detto altrove che l'amor proprio è tanto maggiore nell'uomo quanto in esso è maggiore la vita o la vitalità, e questa è tanto maggiore quanto è maggiore la forza e l'attività dell'animo, e del corpo ancora. Ma questo, ch'è verissimo dell'amor proprio, non è nè si deve intendere dell'egoismo. Altrimenti i vecchi, i moderni, gli uomini poco sensibili e poco immaginosi sarebbero meno egoisti dei fanciulli e dei giovani, degli antichi, degli uomini sensibili e di forte immaginazione. [3292]Il che si trova essere appunto in contrario. Ma non già quanto all'amor proprio. Perocchè l'amor proprio è veramente maggiore assai ne' fanciulli e ne' giovani che ne' maturi e ne' vecchi, maggiore negli uomini sensibili e immaginosi che ne' torpidi.84 I fanciulli, i giovani, gli uomini sensibili sono assai più teneri di se stessi che nol sono i loro contrarii. Nella stessa guisa discorrasi dei deboli rispetto ai forti e simili. Così generalmente furono gli antichi rispetto ai moderni, e i selvaggi rispetto ai civili, perchè più forti di corpo, più forti ed attivi e vivaci d'animo e d'immaginazione (sì per le circostanze fisiche, sì per le morali), meno disingannati, e insomma maggiormente e più intensamente viventi. (Dal che seguirebbe che gli antichi fossero stati più infelici generalmente de' moderni, secondo che la infelicità è in proporzion diretta del maggiore amor proprio, come altrove ho mostrato: ma l'occupazione e l'uso delle proprie forze, la distrazione e simili cose, essendo state infinitamente maggiori in antico che oggidì; e il maggior grado di vita esteriore essendo stato anticamente più che in [3293]proporzione del maggior grado di vita interiore, resta, come ho in mille luoghi provato, che gli antichi fossero anzi mille volte meno infelici de' moderni: e similmente ragionisi de' selvaggi e de' civili: non così de' giovani e de' vecchi oggidì, perchè a' giovani presentemente è interdetto il sufficiente uso delle proprie forze, e la vita esterna, della quale tanto ha quasi il vecchio oggidì quanto il giovane; per la quale e per l'altre cagioni da me in più luoghi accennate, maggiore presentemente è l'infelicità del giovane che del vecchio, come pure altrove ho conchiuso).
Il sacrifizio di se stesso e dell'amor proprio, qualunque sia questo sacrifizio, non potendo esser fatto (come niun'altra opera umana) se non dall'amor proprio medesimo, e d'altronde essendo opera straordinaria, sopra natura, e più che animale (certo in niuno altro animale o ente non se ne vede esempio, se non nell'uomo), anzi più ancora che umana, ha bisogno di una grandissima e straordinaria forza e abbondanza di amor proprio. Quindi è che dove maggiormente [3294]abbonda l'amor proprio, e dov'egli ha maggior forza, quivi più frequenti e maggiori siano i sacrifizi di se stesso, la compassione, l'abito, l'inclinazione, e gli atti di beneficenza. (Vedi a questo proposito le pagine 3107-9, 3117-19, 3153-4, 3167-9.). Ond'è che tutto questo debba trovarsi e si trovi infatti maggiore e più frequente ne' giovani, negli antichi, negli uomini sensibili e d'animo vivo, e finalmente negli uomini, i quali hanno, generalmente parlando, maggior quantità e forza d'amor proprio e minore d'egoismo; di quello che ne' maturi e ne' vecchi, ne' moderni (eccetto quanto alla compassione, come ho detto ne' luoghi qui sopra citati, perchè gli antichi non si sacrificavano che principalmente per la patria), ne' torpidi e insensibili e duri e d'animo tardo e morto, e per fine nelle donne; i quali in genere hanno maggior quantità e forza d'egoismo, e minore d'amor proprio.
Restringendo il discorso conchiudo in primo luogo, tanto esser lungi che l'egoismo sia in proporzion diretta dell'amor proprio, ch'egli [3295]n'è anzi in proporzione inversa; egli è segno ed effetto o della scarsezza e languidezza primitiva, o dello scemamento e affievolimento dell'amor proprio; egli abbonda maggiormente ed è maggiore ne' secoli, ne' popoli, nel sesso, negl'individui e nelle età di questi, in che la vita è minore, e quindi l'amor proprio più scarso, più debole e freddo.
Conchiudo in secondo luogo che i vecchi e maturi, i moderni, gl'insensibili, le donne hanno maggiore egoismo e minore e men vivo amor proprio che i fanciulli e i giovani, gli antichi, i sensibili, gli uomini (perocchè quelli hanno men vita o vitalità, e l'egoismo è qualità o passione morta, ossia men vitale che si possa).85 E che per questa cagione sono naturalmente e men disposti e meno soliti di sacrificarsi per chi o per che che sia, di compatire efficacemente o inefficacemente, di beneficare, di adoperarsi per altrui: il che si vede effettivamente essere, e non può negarsi. (Altrettanto dicasi dei deboli e dei forti, degl'infelici abitualmente e degli abitualmente fortunati, e simili; tutte qualità [3296]alle quali corrisponde e dalle quali nasce in questi maggiore, in quelli minore vitalità, ed abito di maggiore o minore attività e vita).86
Se non che potrà farsi un'eccezione in favor delle donne quanto alla compassione, massime inefficace. Perocchè a questa, come s'è detto ne' luoghi citati qui dietro (p.3294.), si richiede o giova, non solo la maggior vita, e quindi la maggior quantità e forza dell'amor proprio, ma eziandio la maggiore raffinatezza e delicatezza d'esso amor proprio e dell'animo: nelle quali proprietà le donne sono forse, o certo son riputate essere, superiori generalmente, e in parità di circosta...
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