[Pagina precedente]...ispostissimi a sovvenire agli altrui mali, inclinatissimi a beneficare, a prestar l'opera loro a chi ne li richiede, ancorchè indegno, a profferirla pure spontaneamente, sforzando l'altrui ripugnanza d'accettarla, e conoscendo quella di ricercarla; apparecchiati senza riservo e senza cerimonie ai bisogni ed a proccurare i vantaggi degli amici: ed in effetto sono quasi continuamente occupati per altrui più che per se stessi; le più volte in piccoli, ma pur faticosi, noiosi, difficili uffizi e servigi, la cui moltiplicità , se non altro, compensa la piccolezza di ciascuno; talora eziandio in cose grandi o notabili e che richieggono grandi o notabili cure, fatiche, ed anche sacrifizi. E ciò facendo, nè presso se stessi, nè presso i beneficati, nè presso gli altri attaccano un gran pregio ai loro servigi, nè gran conto ne fanno, nè se ne reputano di gran merito (quasi accecati e dissennati da Giove, come dice Omero di Glauco quand'egli scambiò le sue armi d'oro con quelle del Tidide ch'erano di rame): di più poca o niuna gratitudine esigono, quasi ei fossero stati tenuti a beneficare, [3277]o nulla avesse loro costato il benefizio; non mai si credono in diritto di ripetere il benefizio, o costretti a farlo, lo fanno con grandissima riserva e senza pretensione alcuna, e riavendone pure una parte, o domandata o spontanea, si tengono per obbligati essi a chi gli uffici da loro prestatigli scarsamente rimunerò.
Tutto questo o parte, più o meno, m'è avvenuto di notare ne' giovani della qualità sopra descritta, e non solo in quelli che per inesperienza del mondo, e gentilezza di natura, con pienezza di cuore, e con buona fede e semplicemente sono trasportati verso la virtù, la generosità , la magnanimità , ponendo il loro maggior piacere e desiderio nel far bene e negli atti eroici, e nella rinegazione e rinunzia e sacrificio di se stessi; ma eziandio ne' disingannati del mondo, e posti in quelle circostanze che di sopra ho notate, o in alcune di esse, o in altre somiglianti. Tutto ciò, dico, ho notato avvenire in questi cotali giovani, mentre essi godono e sentono i vantaggi della gioventù, della sanità , del vigore, e sono in istato da bastare a se stessi. Ma o coll'età , [3278]o innanzi all'età , sopravvenendo loro di quegl'incomodi, di quegli accidenti, di quei casi, di que' disastri fisici o morali, da natura o da fortuna, che tolgano loro il bastare a se medesimi, che li renda abitualmente o spesso bisognosi dell'opera e dell'aiuto altrui, che scemi o distrugga in essi il vigore del corpo, e seco quello dell'animo; questi tali, come ho pur veduto per isperienza, di misericordiosi e benefici divengono appoco appoco, in proporzione dell'accennato cambiamento di circostanze, insensibili agli altrui mali o bisogni, o comodi, solleciti solamente dei proprii, chiusi alla compassione, dimentichi della beneficenza, e interamente circa l'una e circa l'altra cangiati e volti in contrario, sì di costumi, sì di disposizione d'animo. Nè solo appoco appoco, ma eziandio rapidamente e quasi in un tratto, e nello stesso fiore della giovanezza, ho io veduto accadere tale cangiamento in persone sopravvenute da improvvisa o rapida calamità di corpo o di spirito o di fortuna, onde il loro animo fu atterrato e prostrato subitamente o in poca d'ora, o crollato e renduto mal fermo, e la loro vita fu soggettata agl'incomodi, e alla trista necessità dell'aiuto altrui, [3279]e la sanità scossa, e il corpo svigorito, e simili cose contrarie alla loro prima condizione. Insomma al subito o rapido cangiamento delle circostanze sopra notate, ho veduto con pari subitaneità o rapidità corrispondere il cangiamento del carattere e costume di tali persone rispetto al compatire, al beneficare e all'adoperarsi in qualunque modo per altrui.
E quelli che da natura, o per qualunque cagione, fin dalla fanciullezza o dalla prima giovanezza e dal primo loro ingresso nel mondo, son tali quali i sopraddetti divennero, cioè deboli di corpo e di spirito, timidi, irresoluti, avviliti dalla povertà o da qualsivoglia altra causa fisica o morale, estrinseca o intrinseca, naturale in loro o accidentale e avventizia; sempre o sovente bisognosi dell'opera altrui, avvezzi fin dal principio a soffrire, a mal riuscire nelle loro intraprese o ne' desiderii loro, e quindi a sempre sconfidar delle cose e della vita e dei successi, e quindi privi di confidenza in se medesimi; più domestici del timore o della triste espettazione che della speranza; questi tali, e quelli che loro somigliano in tutto o in parte, sono più o meno, fin dal principio della loro vita o fino dalla loro entrata [3280]nella società , alieni e dall'abito e dagli atti della compassione e della beneficenza, e dalla inclinazione o disposizione a queste virtù; interessati per se soli, poco o nulla capaci d'interessarsi per gli altri, o sventurati o bisognosi, o degni o indegni che sieno dell'aiuto altrui; meno ancora capaci di operare per chi che sia; poco o nulla per conseguenza atti alla vera ed efficace ed operosa amicizia, ben simulatori di essa per ottenerne dagli altri gli aiuti o la pietà di che hanno mestieri, ed abili a farla servire ai soli loro vantaggi; simulatori e dissimulatori eziandio generalmente in ogni altra cosa. E queste qualità divengono in loro caratteristiche, di modo che l'amor proprio non è in essi altro mai ch'egoismo, e l'egoismo è il loro carattere principalissimo; ma non veramente per colpa loro, piuttosto per necessità di natura; e neanche per natura che di sua mano immediatamente abbia posto negli animi loro più che negli altri questo pessimo vizio, ma perchè dalle circostanze in che essi o per natura o per accidente si sono trovati fin dal principio, [3281]nasce naturalmente e necessariamente questo tal vizio, forse più necessariamente e inevitabilmente e maggiore che da verun'altra cagione. V. p.3846.
Da' quali pensieri si dee raccogliere questo corollario, che le donne essendo per natura più deboli di corpo e d'animo, e quindi più timide, e più bisognose dell'opera altrui che gli uomini non sono, sono anche generalmente e naturalmente meno degli uomini inclinate alla compassione e alla beneficenza, non altrimenti ch'elle, per universale consenso, sieno generalmente e regolarmente meno schiette degli uomini, più proclivi alla menzogna e all'inganno, più feconde di frodi, più simulatrici, più finte; tutte qualità , con molte altre analoghe (che nelle donne generalmente si osservano), derivanti per natura niente più, niente meno che la sopraddetta, dalla debolezza d'animo e di corpo, e dall'insufficienza delle proprie forze, de' propri mezzi e di se stesso a se stesso. E si può concludere che le donne sono, generalmente parlando, più egoiste degli uomini, o più portate all'egoismo per natura (sebbene le circostanze sociali, che spesso rovesciano la natura, e fanno [3282]talora le donne, anche prima che abbiano formato il loro carattere, signore degli uomini, oggetti delle lor cure spontanee, de' loro omaggi, suppliche ec. ec., possano ben render vana questa disposizione), e naturalmente si troverà un maggior numero di donne egoiste che non d'uomini. Così le nazioni e i secoli più infelici, tiranneggiati ec. si vede costantemente che furono e sono i più egoisti ec. ec.
(26-27. Agos. 1823). V. p.3291. 3361.
Alla p.3275. marg. - Anzi quanto più questi tali son franchi, coraggiosi, non timidi dell'altrui aspetto nè dell'altrui conversazione, schietti, aperti, liberi nel parlare, nei modi, nell'operare, intolleranti di dissimulare e di mentire (anche, tal volta, eccessivamente); e quanto più sono vendicativi delle ingiurie, fieri con chi gli offende o insulta o disprezza o danneggia, quanto meno molli e facili ai nemici, agl'invidiosi, ai detrattori, ai maldicenti, agli oltraggiatori, agli offenditori qualunque; ed eziandio quanto più pendono a una certa soverchieria di parole o di fatti verso chi non è nè compassionevole nè bisognoso, amico o indifferente o nemico che sia; proclivi o facili all'ira, anche durevole; tanto più sono misericordiosi e benefici verso gli amici o gl'indifferenti (dandosene loro l'occorrenza, e la facoltà ec. e in questi il bisogno o l'utilità ec.), o verso i nemici stessi e gli offenditori, vinti che sieno, o già puniti, o chiedenti scusa o perdono, o riparata che hanno l'offesa, o anche senz'altro caduti in grave disgrazia o bisogno, ed avviliti ec. (Tale fu Giulio Cesare come si vede in Svetonio). E il contrario accade negli uomini di contraria qualità : [3283]il contrario, dico, si quanto al compatire o beneficare chi che sia, sì quanto al rimettere o dimenticare le ingiurie. E di contraria qualità sono gli uomini timidi, di maniere legate, deboli di corpo e d'animo ec. quali ho descritti a pagg.3279-80.
(27. Agos. 1823.)
Confictito da confingo-confictus o dal semplice fingo-fictus.
(27. Agos. 1823.)
Fissare o fisare, ficcare, fixar fixer, ficher, da figo-fixus. Affissare o affisare, afficher da affigo. Conficcare da configo. ec. Forse anche fitto sust. e affittare non d'altronde vengono che da fictus altro participio di figo, traendo il nome dall'avviso pubblico che suole affiggere alla sua casa, o a' cantoni della città ec. chi vuole affittare essa casa, o possessioni, terre ec.; il quale avviso o avvisi pubblicamente affitti si chiamano in francese affiches, da noi volgarmente affissi. Sebbene la prep. a in affittare sembra essere espressamente aggiunta al sostantivo fitto per esprimere il dare a fitto, come in francese affermer da ferme, e tra noi volgarmente annolare [3284]da nolo. Veggasi per tutte le suddette voci il Gloss. se ha nulla.
(27. Agos. 1823.)
Al detto da me circa l'anomalo partic. arso che il Perticari crede di arsare e non di ardere, del quale egli è pure in latino, cioè di ardeo, arsus; si può aggiungere che la lingua italiana (ed anche le sue sorelle) bene spesso, secondo che la lingua latina ha diversi participii d'un solo verbo, diversi n'ha ella pure, cioè quelli stessi che ha la latina, regolari o irregolari che siano quanto all'analogia latina o italiana. P.e. da figofixus-fictus, figgere-fisso, fitto. Talvolta ella ha quello che corrisponde all'analogia italiana, e insieme quello che il verbo ha nel latino, sia regolare participio o anomalo in esso latino. Del che ho detto altrove. Talvolta ec. ec.
(27. Agosto. 1823.)
La lingua greca, secondo che si può vedere a pagg.2774-2777, e più largamente e distintamente per capi presso i grammatici, ebbe in costume di alterare notabilmente le sue radici82, p.e. i temi de' suoi verbi, anche fuori affatto dei casi di derivazione e di composizione, e senza punto alterarne il significato, ma [3285]semplicemente la forma estrinseca e gli elementi del vocabolo. Onde i verbi in ? li trasmutavano in verbi in ??; dei temi ad altri aggiungevano le lettere ??, e li facevano terminare in ???, ad altri ???, e li terminavano in ????, ad altri ??83 e li finivano in ??? (ma questi non erano sempre alterati dal tema, ma da un altro tempo del verbo: v. i Grammatici), ad altri duplicavano la prima consonante, interponendo una vocale, come l'iota (????????), ec. Spesso si mutava la desinenza, volgendola in ??? ec. senza mutazione di significato: ????????????????, ????????????? ec. ec. E di questi verbi e temi così alterati materialmente senz'alcun'alterazione di significato, altri restarono soli, venendo a mancare il tema o verbo primitivo e incorrotto, altri restarono insieme con questo, altri insieme con altri verbi fatti per tali alterazioni dal medesimo tema ec. ec. Ed altri interi, altri difettivi, suppliti dal verbo primitivo in molte voci, anomali, regolari ec. ec. del che vedi i Grammatici. E queste alterazioni de' verbi primitivi e de' temi (e così dell'altre radici), alterazioni affatto diverse distinte e indipendenti dalla derivazione e dalla composizione, che anche nelle altre lingue hanno luogo; alterazioni che per niun conto influivano nè modificavano il significato (come influisce e modifica, o suole per lo più e regolarm...
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