[Pagina precedente]... Crepo is ui itum sarebbe come strepo is ui itum, da cui strepitare, come appunto da crepo as o is, crepitare. E crepo as riterrebbe o torrebbe in prestito il perfetto e il supino di crepo is, cioè crepui, itum, come appunto accubo ec. quelli di accumbo ec. cioè accubui itum. Profligo [3235]as è da fligo is, onde affligo is, confligo is ec. che hanno i continuativi afflicto, conflicto ec. fatti regolarmente da' participii. V. Forc. in Profligo e proflictus.
(22. Agos. 1823.). V. p.3246. e 3341. 3987.
Saluto as si deriva da salus. Ma io l'ho in forte sospetto di continuativo fatto da salveo-salvitus (antico), mutato in salutus, ovvero da salvo, mutato il part. salvatus parimente in salutus. (V. Forc. in saluto, fin. e in Salvo). Giacchè spessissimo la lingua latina, massime antica, scambiava tra loro l'u e il v, mutando questo in quello, o per lo contrario. Così lavo ne' composti diviene luo: ed ablutus si dice in luogo di ablavatus. Così lautus per lavatus, fautam per favitum. A questo proposito noterò il continuativo lavito. Forcell. Cerebrum in fine. E commentor e commento, a particip. commentus verbi comminiscor (forse anche comminisco), dice il Forcell.; e notate che qui non dice dal supino, cioè da commentum, come suole.
(22. Agos. 1823.)
Platone nel Sofista verso il fine, ediz. dell'Astio, Opp. di Plat. Lips. 1819. sgg. t.2. p.362. v.2. sgg. A. penult. pagina del Dialogo. ????? ??? (???? ??????? ??? ?? ??????? ??????; ? ????? ?? ??????? ??, ????? ??? ??? ????? ???? ???? ?????????? ?????? ???, ?? ??????, ????? (??. ?????. Ast.) ???? ????????? ??? ???????? ?????, ???? ???? ?????????? ?????? ???????????? ???? ?? ??? ???????? ?????? ?? ?????? ????????; [3236]Unde iam nomen utrique eorum quisquam arripiet conveniens? an dubium non est quin difficile sit, propterea quod ad generum in species distributionem vetustam quandam, ut videtur, et inconsideratam superiores habebant offensionem atque fastidium, ita ut ne conaretur quidem ullus dividere; quocirca etiam nomina non satis nobis possunt in promptu esse? Astius. Vuol dir Platone e si lagna, che gli antichi greci (e così tutti gli antichi d'ogni nazione) ebbero poche idee elementari, onde la loro lingua (e così tutte le lingue fino a una perfetta maturità e coltura, e fino che la nazione non filosofa) mancava di termini esatti, e sufficienti ai bisogni del dialettico massimamente e del metafisico. Ond'è che Platone il quale volle sottilmente filosofare, ed esercitare l'esatto raziocinio, e considerare profondamente la natura delle cose, fu arditissimo nel formare de' termini di questa fatta, ed abbonda sommamente di voci nuove e sue proprie, esatte e logiche ovvero ontologiche,75 che da niuno altro si trovano adoperate, o che da' suoi scritti furono tolte. E notisi che Platone faceva questa lagnanza della sua [3237]lingua, la più ricca, la più feconda, la più facile a produrre, la più libera, la più avvezza e meno intollerante di novità , ed oltre a questo, nel più florido, perfetto ed aureo secolo d'essa lingua, e quasi ancora nel più libero e creatore. Nondimeno a Platone parve scarsa a' bisogni dell'esatto filosofare la stessa lingua greca nel suo miglior tempo, e trattando materie sottili egli ebbe bisogno di parere ardito agli stessi greci in quel secolo, e di fare scusa e addur la ragione del suo coniar nuove voci. Nè certo si dirà che Platone le coniasse o per trascuratezza e poco amore della purità ed eleganza della lingua, di ch'egli è fra gli Attici il precipuo modello, nè per ignoranza d'essa lingua, e povertà di voci derivante da questa ignoranza.
(22. Agos. 1823.)
Chiunque esamina la natura delle cose colla pura ragione, senz'aiutarsi dell'immaginazione nè del sentimento, nè dar loro alcun luogo, ch'è il procedere di molti tedeschi76 nella filosofia, come dire nella metafisica e nella politica, potrà ben quello che suona il vocabolo analizzare, [3238]cioè risolvere e disfar la natura, ma e' non potrà mai ricomporla, voglio dire e' non potrà mai dalle sue osservazioni e dalla sua analisi tirare una grande e generale conseguenza, nè stringere e condurre le dette osservazioni in un gran risultato; e facendolo, come non lasciano di farlo, s'inganneranno; e così veramente loro interviene. Io voglio anche supporre ch'egli arrivino colla loro analisi fino a scomporre e risolvere la natura ne' suoi menomi ed ultimi elementi, e ch'egli ottengano di conoscere ciascuna da se tutte le parti della natura. Ma il tutto di essa, il fine e il rapporto scambievole di esse parti tra loro, e di ciascuna verso il tutto, lo scopo di questo tutto, e l'intenzion vera e profonda della natura, quel ch'ella ha destinato, la cagione (lasciamo ora star l'efficiente) la cagion finale del suo essere e del suo esser tale, il perchè ella abbia così disposto e così formato le sue parti, nella cognizione delle quali cose dee consistere lo scopo del filosofo, e intorno alle quali si aggirano insomma tutte le verità generali veramente grandi e importanti, queste cose, dico, è impossibile il ritrovarle [3239]e l'intenderle a chiunque colla sola ragione analizza ed esamina la natura. La natura così analizzata non differisce punto da un corpo morto. Ora supponghiamo che noi fossimo animali di specie diversa dalla nostra, anzi di natura diversa dalla general natura degli animali che conosciamo, e nondimeno fossimo, siccome siamo, dotati d'intendimento. Se non avendo noi mai veduto nè uomo alcuno nè animale di quelli che realmente esistono, e niuna notizia avendone, ci fosse portato innanzi un corpo umano morto, e notomizzandolo noi giungessimo a conoscerne a una a una tutte le più menome parti, e chimicamente decomponendolo, arrivassimo a scoprirne ciascuno ultimo elemento; perciò forse potremmo noi conoscere, intendere, ritrovare, concepire qual fosse il destino, l'azione le funzioni le virtù le forze ec., di ciascheduna parte d'esso corpo rispetto a se stesse, all'altre parti ed al tutto, quale lo scopo e l'oggetto di quella disposizione e di quel tal ordine che in esse patti scorgeremmo, e osserveremmo pure co' propri occhi, e colle proprie mani tratteremmo; quali gli effetti particolari e l'effetto generale e complessivo di esso ordine, e del tutto di esso corpo; quale il fine di questo tutto; quale insomma e che cosa la vita dell'uomo; anzi se quel corpo fosse mai e dovesse esser vissuto; [3240]anzi pure, se dalla nostra stessa vita non l'arguissimo, o se alcuno potesse intendere senza vivere, concepiremmo noi e ritrarremmo in alcun modo dalla piena e perfetta e analitica ed elementare cognizione di quel corpo morto, l'idea della vita? o vogliamo solamente dire l'idea di quel corpo vivo? e intenderemmo noi quale e che cosa fosse l'uomo vivente, e il suo modo di vivere esteriore o interiore? Io credo che tutti sieno per rispondere che niuna di queste cose intenderemmo; che volendole congetturare, andremmo le mille miglia lontani dal vero, o sarebbe a scommetter millioni contro uno che di nulla mai, neanche facendo un milione di congetture, ci apporremmo; finalmente ch'egli sarebbe cosa probabilissima, ch'esaminato e conosciuto quel corpo morto, in questa conoscenza ci fermassimo, e neppur ci venisse in sospetto ch'ei fosse mai stato altro, nè fosse mai stato destinato ad esser altro che quel che noi lo vedremmo, e tale qual noi lo vedremmo, nè della sua passata vita nè dell'uom vivo, ci sorgerebbe in capo la più menoma conghiettura.
[3241]Applicando questa similitudine al mio proposito dico che scoprire ed intendere qual sia la natura viva, quale il modo, quali le cagioni e gli effetti, quali gli andamenti e i processi, quale il fine o i fini, le intenzioni, i destini della vita della natura o delle cose, quale la vera destinazione del loro essere, quale insomma lo spirito della natura, colla semplice conoscenza, per dir così, del suo corpo, e coll'analisi esatta, minuziosa, materiale delle sue parti anche morali, non si può, dico, con questi soli mezzi, scoprire nè intendere, nè felicemente o anche pur probabilmente congetturare. Si può con certezza affermare che la natura, e vogliamo dire l'università delle cose, è composta, conformata e ordinata ad un effetto poetico, o vogliamo dire disposta e destinatamente ordinata a produrre un effetto poetico generale; ed altri ancora particolari; relativamente al tutto, o a questa o quella parte. Nulla di poetico si scorge nelle sue parti, separandole l'una dall'altra, ed esaminandole a una a una col semplice lume della ragione esatta e geometrica: nulla di poetico ne' suoi mezzi, nelle sue forze e molle interiori o esteriori, ne' suoi processi in questo modo disgregati e considerati: nulla nella natura decomposta e risoluta, e quasi fredda, morta, esangue, immobile, giacente, per così dire, sotto il coltello anatomico, o introdotta nel fornello chimico di un [3242]metafisico che niun altro mezzo, niun altro istrumento, niun'altra forza o agente impiega nelle sue speculazioni, ne' suoi esami e indagini, nelle sue operazioni e, come dire, esperimenti, se non la pura e fredda ragione. Nulla di poetico poterono nè potranno mai scoprire la pura e semplice ragione e la matematica. Perocchè tutto ciò ch'è poetico si sente piuttosto che si conosca e s'intenda, o vogliamo anzi dire, sentendolo si conosce e s'intende, nè altrimenti può esser conosciuto, scoperto ed inteso, che col sentirlo. Ma la pura ragione e la matematica non hanno sensorio alcuno. Spetta all'immaginazione e alla sensibilità lo scoprire e l'intendere tutte le sopraddette cose; ed elle il possono, perocchè noi ne' quali risiedono esse facoltà , siamo pur parte di questa natura e di questa università ch'esaminiamo; e queste facoltà nostre sono esse sole in armonia col poetico ch'è nella natura; la ragione non lo è; onde quelle sono molte più atte e potenti a indovinar la natura che non è la ragione a scoprirla. E siccome alla sola immaginazione ed al cuore spetta il sentire e quindi conoscere ciò ch'è poetico, però ad essi soli è possibile ed appartiene l'entrare e il penetrare addentro ne' grandi misteri della vita, dei destini, delle intenzioni sì generali, sì anche particolari, della [3243]natura. Essi solo possono meno imperfettamente contemplare, conoscere, abbracciare, comprendere il tutto della natura, il suo modo di essere di operare, di vivere, i suoi generali e grandi effetti, i suoi fini. Essi pronunziando o congetturando sopra queste cose, sono meno soggetti ad errare, e soli capaci di apporsi talora al vero o di accostarsegli. Essi soli sono atti a concepire, creare, formare, perfezionare un sistema filosofico, metafisico, politico che abbia il meno possibile di falso, o, se non altro, il più possibile di simile al vero, e il meno possibile di assurdo, d'improbabile, di stravagante. Per essi gli uomini convengono tra loro nelle materie speculative e in molti punti astratti, assai più che per la ragione, al contrario di quel che parrebbe dover succedere; perocchè egli è certissimo che gli uomini discorrendo o conghietturando per via di semplice ragione, discordano per lo più tra loro infinitamente, s'allontanano le mille miglia gli uni dagli altri, e pigliano e seguono tutt'altri sentieri; laddove discorrendo per via di sentimento e d'immaginazione, gli uomini, le diversissime [3244]classi di essi, le nazioni, i secoli, bene spesso, e costantemente, convengono del tutto fra loro, come si può vedere in moltissime proposizioni (sistemi) ed anche pùre supposizioni, dall'immaginativa e dal cuore o trovate o formate, e da essi soli derivate e autorizzate, e in essi soli fondate, le quali furono sempre e sono tuttavia ammesse e tenute da tutte o da quasi tutte le nazioni in tutti i tempi, e dall'universale degli uomini avute, anche oggidì, per verità indubitabili, e da' sapienti, quando non altro, per più verisimili e più universalmente accettabili che alcun'altra sul rispettivo proposito. Il che forse di niuna ipotesi (generale o particolare, cioè costituente sistema, o no ec.) dettata dalla pura ragione e dal puro ra...
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