[Pagina precedente]...una al mondo, nè altra lingua mai s'era udita, ed una era e sempre era stata la lingua, perchè una sempre la nazione infino allora, o una, se non altro, la nazione che di lingua avesse uso e notizia.
(23. Agosto. 1823.)
Quello poi che ho detto che una lingua strettamente universale, dovrebbe di sua natura essere anzi un'ombra di lingua, che lingua propria, maggiormente anzi esattamente conviene a quella lingua caratteristica proposta fra gli altri dal nostro Soave (nelle Riflessioni intorno [3255]all'istituzione d'una lingua universale, opuscolo stampato in Roma, e poi dal medesimo autore rifuso nell'Appendice 2.a al capo II del Libro 3° del Saggio filosofico di Gio. Locke su l'umano intelletto compendiato dal D. Winne, tradotto e commentato da Francesco Soave C. R. S. tomo 2do, intitolato Saggio sulla formazione di una Lingua Universale), la qual lingua o maniera di segni non avrebbe a rappresentar le parole, ma le idee, bensì alcune delle inflessioni d'esse parole (come quelle de' verbi), ma piuttosto come inflessioni o modificazioni delle idee che delle parole, e senza rapporto a niun suono pronunziato, nè significazione e dinotazione alcuna di esso. Questa non sarebbe lingua perchè la lingua non è che la significazione delle idee fatta per mezzo delle parole. Ella sarebbe una scrittura, anzi nemmeno questo, perchè la scrittura rappresenta le parole e la lingua, e dove non è lingua nè parole quivi non può essere scrittura. Ella sarebbe un terzo genere, siccome i gesti non sono nè lingua nè scrittura ma cosa diversa dall'una e dall'altra. Quest'algebra di linguaggio (così nominiamola) [3256]la quale giustamente si è riconosciuta per quella maniera di segni ch'è meno dell'altre impossibile ad essere strettamente universale, si può pur confidentemente e certamente credere che non sia per essere nè formata ed istituita, nè divulgata ed usata giammai. Dirò poi ancora, ch'ella in verità non sarebbe strettamente universale, perch'ella lascerebbe a tutte le nazioni le loro lingue, siccome ora la francese. Ella di più non sarebbe propria che dei dotti o colti. Ma di tutti i dotti e colti lo è pure oggidì la francese. Quale utilità dunque di quella lingua? la quale non sarebbe forse niente più facile ad essere generalmente nella fanciullezza imparata, di quello che sia la francese, che benissimo e comunissimamente nella fanciullezza s'impara. E tutti i vantaggi che si ricaverebbero da quella chimerica lingua, tutti, e molto più e maggiori, e forse con più facilità si caverebbero dalla lingua francese, divenendo, se pur bisogna, più comune e più studiata e coltivata di quel ch'ella già sia.
Quanto poi ad una lingua veramente [3257]universale, cioè da tutte le nazioni senza studio e fin dalla prima infanzia intesa e parlata come propria, lasciando tutte le impossibilità accidentali ed estrinseche, ma assolutamente insormontabili, che ognun conosce e confessa; dico ch'ella è anche impossibile per sua propria ed assoluta natura, quando pur gli uomini che l'avrebbero a usare, non fossero, come sono, diversissimamente conformati rispetto agli organi ec. della favella ed alle altre naturali cagioni che diversificano le lingue; di modo che, quando anche superato ogni ostacolo, una qualunque lingua, per impossibile ipotesi, fosse divenuta universale nella maniera qui sopra espressa, la sua universalità non potrebbe a patto alcuno durare, e gli uomini tornerebbero ben tosto a variar di lingua, per la stessa natura di quella tal favella universale, in cui le condizioni medesime che la farebbero atta ad esser tale, sarebbero in espressa contraddizione colla durevolezza della sua universalità, e formalmente la escluderebbono. Perocchè una lingua appropriata ad essere strettamente universale, deve, come [3258]in altri luoghi ho largamente esposto, essere di natura sua, servilissima, poverissima, senza ardire alcuno, senza varietà, schiava di pochissime, esattissime, e stringentissime regole, oltra o fuor delle quali trapassando, non si potesse in alcun modo serbare nè il carattere nè la forma d'essa lingua, ma in diversa lingua assolutamente si parlasse. Nè senza una buona parte o similitudine almeno di queste qualità e di ciascuna di esse, la lingua francese sarebbe potuta giungere a quel grado di universalità largamente considerata, in cui la veggiamo; nè certo mantenervisi, seppur momentaneamente vi fosse giunta, come vi giunse un dì la greca. Perocchè queste qualità indispensabilmente richieggonsi ad una, ancorchè non assoluta o stretta, universalità durevole di una lingua. Ora una lingua così formata e costituita, e di tali qualità in sommo grado (come a una lingua strettamente universale si ricercherebbe) fornita, a pochissimo andare, per cagione di queste medesime qualità, si corromperebbe e traviserebbe [3259]in modo che più non sarebbe quella; come altrove ho dimostrato di tali lingue non libere, coll'esempio (fra l'altre cose) della latina, la quale, siccome ogni altra, quantunque servilissima, che si conosca, fu ed è ben lontana dall'aver queste qualità in sommo grado, come si richiederebbe di necessità ad una lingua che avesse ad essere strettamente e durabilmente universale. Così quelle medesime condizioni che da una parte cagionerebbono, e in modo che senza esse non potrebbe stare, la propria, o vogliam dire esatta, e durevole universalità di una lingua; d'altra parte e nel tempo stesso, per propria natura loro, rendono assolutamente inevitabile e inevitabilmente prontissima una totale corruzione e mutazione della lingua medesima. Onde nè senza esse la stretta universalità di una lingua può stare, nè qualsivoglia universalità durare, come si è altrove provato; e parimente con esse non può durare nè la stretta universalità nè il proprio stato di una lingua. Perocchè, quanto al proprio stato, è evidente che una lingua di necessità corrompendosi e cangiandosi [3260]del tutto, di necessità lo perde, cioè perde la sua forma, proprietà, carattere e natura. E quanto alla stretta universalità, dato ancora che una lingua corrompendosi appo una sola nazione, si corrompesse ugualmente, di modo ch'ella quantunque mutata da quella prima, fosse pur sempre una sola in essa nazione, e a tutta comune; egli è fisicamente impossibile a seguire, e assurdo a supporre che una medesima lingua corrompendosi appo molte e diversissime nazioni e cambiandosi affatto da quella di prima, pur corrompendosi da per tutto ugualmente, e facendo da per tutto in un medesimo tempo gli stessi passi, si mantenesse sempre una sola appo tutte le dette nazioni insieme. La corruzione non ha legge, e quella che nasce dalla troppa schiavitù e circoscrizione d'una lingua, n'ha meno che mai, ed è più cieca che ogni altra; nè dove non v'ha regola alcuna, nè scambievole convenzione e consenso (il che sarebbe contrario alla natura della corruzione di una lingua), nè conformità di circostanze, quivi può essere uniformità. La quale se è quasi impossibile in una sola nazione, dal continuo commercio e da [3261]tante altre circostanze congiunta insieme e fatta una, quanto più tra molte nazioni, sempre, per quanto commercio possano avere insieme, disgiunte e fra se diverse! E si è infatti veduto quanto diversa fosse la corruzione della lingua latina nelle diverse nazioni in ch'ella si propagò, fino a produrre varie affatto distinte e separate e separatamente regolate e costituite favelle, che tuttavia si parlano. E ciò quantunque la lingua latina non fosse d'assai così servile ec. come è necessario supporre una lingua strettamente universale. Resta dunque provato che una lingua strettamente universale, per cagione di quelle stesse condizioni ond'ella sarebbe divenuta e con cui sole sarebbe potuta divenire universale, e senza cui l'universalità sua non potrebbe durare se non momentaneamente, per causa, dico, di queste medesime condizioni, subitamente corrompendosi, dividerebbesi ben tosto, per causa di tal corruzione, e quindi per causa di quelle medesime condizioni, che naturalmente e necessariamente l'occasionerebbero, in diverse lingue, e perderebbe conseguentemente la sua [3262]universalità, la durata della quale sarebbe fatta impossibile da quelle medesime condizioni che a tal durata indispensabilmente richieggonsi.
Questo che ho detto di una lingua universalmente parlata come propria, devesi pur dire di una sognata lingua che in tutte le nazioni civili i dotti e gl'indotti scrivessero come propria, rimanendo le varie lingue nazionali pel solo uso di favellare, a un di presso nel modo che ai bassi tempi le varie favelle o dialetti volgari, scrivendo tutti, anche notai ec., ogni sorta di scritture in Latino, corrotto e barbaro, e secondo i diversi luoghi diverso, ma pur da per tutto Latino.
E conchiudo che una lingua universalmente da tutte le nazioni, anche sole civili, o parlata o scritta, o l'uno e l'altro, ed intesa, come propria è impossibile, non solo estrinsecamente e per ragioni estrinseche, ma per sua propria ed intrinseca natura e qualità e proprietà ed essenza, non relativamente nè accidentalmente, ma essenzialmente, di necessità, ed assolutamente.
(25. Agos. dì di S. Bartolomeo. 1823.)
Movere neutro, o in forma ellittica per movere se o movere castra, come tra noi muovere [3263]neutro o ellittico (e così trarre), del che mi sembra avere altrove notato un esempio di Floro, vedilo appo Svetonio, in Divo Julio, Cap.61. §.1. e quivi le note degli eruditi. Vedi pure, se ti piace, a questo proposito il Poliziano Stanze I. 22. dove troverai muovere neutro, senza l'accompagnamento del sesto caso, come ancora in latino.
(25. Agos. dì di S. Bartolomeo. 1823.)
Alla p.2889. Tumultuo e tumultuor da tumultus us. Acuo da acus us, è della terza coniugazione per una che, stante la moltitudine anzi la pluralità degli esempi dimostranti che tali verbi sono regolarmente della prima, possiamo chiamare anomalia. Così statuo is da status us. Arcuo as da arcus us.
(26. Agos. 1823.)
Grassor aris continuativo di gradior eris il cui participio in us oggi irregolarmente è gressus, in antico, come dimostra il detto continuativo, più regolarmente fu grassus. Gressus bensì ne' composti i quali, come molti altri, mutano l'a di gradior in e; ingredior, aggredior ec. Così ascendo ec. da scando, e puoi vedere la pag.2843.
(26. Agos. 1823.)
[3264]Alla p.2864. Castello, château, castillo tengono fra noi il luogo del positivo castrum, col quale anche in latino bene spesso indifferentemente si scambiava castellum, o si usava equivalentemente ec.
(26. Agos. 1823.)
Francesismi familiarissimi, usitatissimi e volgarissimi in quella nazione, tant mieux, tant pis, frasi ellittiche o irregolari, e che paiono veri idiotismi francesi, non sono che latinismi, anzi idiotismi, cioè volgarismi, latini. Vedi gli eruditi alla favola 5. lib.3. di Fedro, Aesopus et Petulans. V. anche il Forcellini se ha nulla, la Crusca ec. Noi pur diciamo volgarmente e scriviamo tanto meglio, tanto peggio, ma in senso meno ellittico, più naturale e regolare, anzi per lo più regolarissimo, e meno sovente assai de' francesi.
(26. Agos. 1823.)
Alla p.2996. marg. - vengono cred'io da medeor (medeo ancora si disse, poichè medeor si trova pure passivo), non da medicus. Lo deduco appunto dal veder medicor deponente come medeor, (laddove medico corrisponderà all'antico medeo), e dal vedere ancora che medicatus e medicatus sum suppliscono pel verbo medeor che manca del preterito e del participio in us. V. Forc. in Medeor. fine. Veggasi la p.3352. sgg. circa il continuativo meditor di medeor fatto dal suo participio in us.
(26. Agos. 1823.)
[3265]Si può dire che le viste, i disegni, i proponimenti, i fini, le speranze, i desiderii dell'uomo, tutto ciò in somma che ne' suoi pensieri ha relazione al futuro, tanto più si stendono, cioè tanto più mirano e tendono, o giungono, lontano, quanto minore naturalmente è lo spazio di vita che gli rimane, e viceversa. Niun pensiero del bambino appena nato ha relazione al futuro, se non considerando come futu...
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