[Pagina precedente]...egli non sarà nè figlio di viso is, nè diverso da esso per formazione e per significato originario (cioè esso frequentativo, e viso continuativo), anzi sarà fratello di viso is, formato nello stesso modo, cioè dal participio in us di video, continuativo com'esso visere; ma sarà fratello maggiore, perchè formato da un participio più antico e più regolare di visus, o piuttosto sarà originalmente tutt'un verbo con viso is, perchè formato da un medesimo participio, cioè visitus detto anche visus per contrazione e anomalia.
3. Ho sostenuto pag.2932. segg. l'esistenza del verbo pisare o pisere (tutt'uno con pigiare e pisar) fatto da un pisus participio di pinsere. Ora coll'esempio di visto, e coll'aiuto delle considerazioni ch'esso ci somministra, confermeremo quel nostro discorso; e all'incontro con esso discorso confermeremo il presente. Il participio regolare di pinso è pinsitus che tuttavia sussiste. Ecco un gemello di visitus. Da pinsitus si fece per contrazione [3036]e anomalia pinsus che altresì sussiste. Ecco da visitus, visus che solo sussiste nel latino conosciuto. Altresì da pinsitus si fece pistus che parimente sussiste. Questa formazione suppone e dimostra due cangiamenti; primo la detrazione della n, onde pisitus che non sussiste, ma si prova, come vedete. Ed eccoci di nuovo a visitus. Secondo, la solita detrazione dell'i (come in postus per positus), onde pistus ch'è il solo participio conservato nelle lingue moderne (pesto, ital. pisto italiano volgare, e spagnuolo), da cui pistare. Ed eccovi appunto il vistus conservato nelle lingue moderne in luogo e di visitus e di visus, onde avvistare ec. (v. la p.2844. 3005.). Ma siccome da pinsitus si fece pinsus, detrattele lettere it, così appunto da pisitus pisus, non altrimenti che pistus. E ciò nè più nè meno che da visitus visus, non altrimenti che vistus.49 E siccome da visus anomala contrazione di visitus si fece l'anomalo viso is in cambio di viso as, (qui si può vedere la p.3005. circa il verbo viser avvisare ec.) così è curioso a notare che anche da pisus anomala contrazione di pinsitus o pisitus, si trovi o si creda fatto, oltre [3037]a piso as, e fors'anche in luogo di questo, l'anomalo continuativo piso is.
E qui possiamo considerare quanti participii in us abbia uno stesso verbo cioè pinso, o piuttosto quanti ne sieno nati da un solo cioè pinsitus, parte esistenti, parte dimostrati per ragione, e alcuno di questi dalla nostra teoria de' continuativi. È bene il considerarlo perchè ciò serva d'esempio, e quindi si faccia ragione quanto giustamente io dica che moltissimi verbi della prima, che sembrano tutt'altro, sono veri continuativi di verbi o noti o ignoti (e vedi a questo proposito p.2928-30.), e quanti che si credono puri aggettivi, sono veri participii di verbi talora anche noti, ma non riconosciuti per loro padri, (del che vedi la p.3026.).
Dunque da pinso Pinsitus 1 Pinsus 2 Pisitus 3 Pistus 4 Pisus 5 1. 2. 4. esistenti nel buon latino. 3. dimostrato per ragione grammaticale da pistus. 5. dimostrato da' continuativi pisare o pisere, pigiare, pisar. [3038]Chi volesse che pisus non fosse da pisitus ma da pinsus, detrattane la n come da pinsitus in pisitus, poco monterebbe. Avremmo sempre e in pinsus e in pisus la detrazione dell'it a dimostrare la derivazione di visus da visitus, e l'anteriorità di questo, come anche di vistus che ha sola una lettera meno di visitus, e non due.
(25. Luglio. dì di S. Giacomo. 1823.). V. la p. seg.
Alla p.2929. Così da vivo-vixi-victum si dovette fare anche vixum e vixus. Lo deduco dal nostro antico visso, il quale non è contrazione di vissuto perchè tal contrazione non è dell'indole e uso della nostra lingua. Bensì vissuto (che molti dicono e dissero più regolarmente vivuto, anche trecentisti, come ho trovato io medesimo, non altrimenti che da riceVERE riceVUTO) sembra venire da un altro, ed anche più antico e regolare participio latino vixitus, cambiato l'i in u, come in latino a ogni tratto (v. p.2824-5. principio, e 2895.), e come particolarmente in italiano ne' participii passivi per proprietà , costume e regola della lingua (venditus-venduto, redditus-renduto, perditus-perduto, seditus antico [3039]e regolare - seduto, debitus da altra coniugazione - devuto, tenitus, antico e regolare - tenuto, ceditus antico e regolare - ceduto.).
E qui è da osservare la conservazione nel nostro volgare, di questo antichissimo vixus ignoto nel latino, simile a quella di vistus, di cui veggasi p.3032-4. (25. Luglio. 1823.). Sia che visso sia fatto dal supino vixum ignoto, o dall'ignoto participio neutro vixus, in luogo del quale non si trova neppur victus a um (trovandosi victum supino), sebbene dovette esservi, secondo quello che di tali participii neutri ec. ho detto altrove. E infiniti ne conservano le lingue figlie, che non si trovano nel latino scritto.
(25. Luglio, dì di S. Giacomo. 1823.)
Alla p. anteced. Chi poi volesse che pisere non venisse da pisus (benchè pur se n'abbia un bellissimo esempio in visere da visus, siccome ho detto), ma che (s'ei veramente esistè) fosse lo stesso che pinsere, detratta la n come in pistus, mi darebbe altresì poca noia. In tal caso pisare non sarebbe fratello ma figlio di pisere; e certo esso e pisar e pigiare verrebbero da pisus, come dimostrano gl'infiniti [3040]esempi che della formazione di tali verbi della prima maniera da' participii in us d'altri verbi, raccoglie la mia teoria de' continuativi ec. ec.
(26. Luglio. dì di Sant'Anna. 1823.). V. p.3052.
L'uomo in cui concorressero grande e colto ingegno, e risolutezza, si può affermare senz'alcun dubbio che farebbe e otterrebbe gran cose nel mondo, e che certo non potrebbe restare oscuro, in qualunque condizione l'avesse posto la fortuna della nascita. Ma l'abito della prudenza nel deliberare esclude ordinariamente la facilità e prontezza del risolvere, ed anche la fermezza nell'operare. Di qui è che gli uomini d'ingegno grande ed esercitato sono per lo più, anzi quasi sempre prigionieri, per così dire, dell'irresolutezza, difficili a risolvere, timidi, sospesi, incerti, delicati, deboli nell'eseguire. Altrimenti essi dominerebbero il mondo, il quale, perchè la risolutezza per se può sempre più che la prudenza sola, fu ed è e sarà sempre in balia degli uomini mediocri.
(26. Luglio, dì di S. Anna. 1823.)
Alla p.2864. Avolo, abuelo, ayeul da avulus. Noi abbiamo anche il positivo avo.
(26. Luglio. 1823.). V. p.3054. 3063.
[3041]Alla p.3014. Io credo per certo che in qualunque modo, quelle inflessioni, voci, frasi ec. che in Omero si credono proprie di tale o tal altro dialetto, fossero al suo tempo per qualsivoglia cagione conosciute ed intese da tutte le nazioni greche, o se non altro, da una tal nazione (come forse la ionica), alla qual sola, in questo caso, egli avrà avuto in animo di cantare e di scrivere, e avrà probabilmente cantato e scritto. Quanto agli altri poeti, se le ragioni che ho addotte per ispiegare come, malgrado l'uso de' dialetti, essi fossero universalmente intesi, non paressero bastanti, si osservi che effettivamente in Grecia, siccome altrove, i poeti cessarono ben presto di cantare al popolo, (e così pur gli altri scrittori), e il linguaggio poetico greco divenne certo inintelligibile al volgo, dal cui idioma esso era anche più separato che non è la lingua poetica italiana dalla volgare e familiare. Scrissero dunque i poeti per le persone colte, le quali intendendo e studiando tuttodì e sapendo a memoria i versi d'Omero, e citandoli, parodiandoli, alludendovi a ogni tratto [3042]nella colta conversazione e nella scrittura, intendevano anche facilmente gli altri poeti, e il linguaggio poetico greco, benchè composto delle proprietà di vari dialetti. Perocchè esso era tutto Omerico, come ho detto, sia in ispecie sia in genere; cioè le inflessioni, le frasi, le voci che lo componevano, o erano le identiche Omeriche (e tali erano in fatti forse la più gran parte), o erano di quel tenore, di quella origine, derivate o formate da quelle di Omero, o tolte dai fonti e dai luoghi ond'egli le trasse, e ciò secondo i modi e le leggi da lui seguite. Quei poeti che scrissero dopo Omero al popolo, e per il popolo composero, come i drammatici, poco o nulla mescolarono i dialetti, e ne segue effettivamente che se talvolta il loro stile è Omerico, come quello di Sofocle, il loro linguaggio però non è tale. Esso è attico veramente, siccome fatto per gli Ateniesi, se non forse nei pezzi lirici, i quali anche per la natura del soggetto e del genere, sarebbero stati poco alla portata degl'ignoranti. In effetto Frinico appresso Fozio (cod. 158.) conta fra' modelli, regole [3043]norme del puro e schietto sermone attico i tragici Eschilo, Sofocle, Euripide, e i Comici in quanto sono attici, perocchè questi talora per ischerzo o per contraffazione mescolarono qualche cosa d'altri dialetti, e ciò non appartiene al nostro proposito, ed alcuni tragici, forse, avendo rispetto al gran concorso de' forestieri che d'ogni parte della Grecia accorrevano alla rappresentazione dei drammi in Atene, non avranno avuto riguardo di usare alcuna cosa d'altri dialetti. Ma generalmente si vede che il dialetto de' drammatici greci è un solo. E del resto, siccome tra noi e ne' teatri di tutte le colte nazioni, benchè la più parte dell'uditorio sia popolo, nondimeno i drammi che s'espongono, non sono scritti nè in istile nè in lingua popolare, ma sempre colta, e bene spesso anzi poetichissima e diversissima dalla corrente e familiare ed eziandio dalla prosaica colta; così si deve stimare che accadesse appresso a poco più o meno anche in Grecia e in Atene, dove i giudici de' drammi che concorrevano al premio, [3044]non era finalmente il popolo, ma uno scelto e piccol numero d'intelligenti, e dove le persone colte fra quelle che componevano l'uditorio, erano per lo meno in tanto numero come fra noi. V. il Viaggio d'Anacar. cap. 70.
Altri poeti non drammatici si restrinsero pure a tale o tal dialetto particolare, e per conseguenza scrissero a una sola nazione o parte della Grecia, e questa si proposero per uditorio (com'è verisimilissimo che facesse anche Omero); nè questi furono pochi, anzi fra gli antichi furono i più. E si può dir che la totale, confusa, indifferente, copiosa mescolanza de' dialetti nel linguaggio poetico greco, e il seguir ciecamente la lingua e l'uso di Omero non sia proprio se non de' poeti greci più moderni e nella decadenza della poesia, come Apollonio Rodio, Arato, Callimaco e tali altri de' tempi de' Tolomei, quando già la base della letteratura greca era l'imitazione de' suoi antichi classici. Perocchè di Esiodo contemporaneo di Omero, o poco anteriore o posteriore, non è maraviglia se il suo linguaggio si trova omerico: spieghisi l'uso di [3045]questo linguaggio in lui, colle ragioni e considerazioni stesse con cui si spiega in Omero. In Anacreonte v'ha pochissima mescolanza di dialetti. (V. Fabric. B. Gr. in Anacr.) Certo il suo linguaggio è tutt'altro da quello di Omero. Esso è Ionico. Saffo scrisse in Eolico. Empedocle, benchè Siciliano e pittagorico, adoperò in vece del dorico l'ionico. (V. Fabric. in Empedocle, Giordani sull'Empedocle di Scinà , fine dell'articolo secondo). Forse che il dialetto ionico era allora il più comune della Grecia? Probabile, pel gran commercio di quella nazione tutta marittima e mercantile. Forse quello che noi chiamiamo ionico non era in quel tempo che il linguaggio comune della Grecia, siccome poi lo fu con certe restrizioni l'attico, che nacque pur dall'ionico? Probabile ancora; e in tal caso sarebbe risoluta anche la quistione intorno ad Omero, il quale da tutti è riconosciuto per poeta principalmente ionico di linguaggio; e si confermerebbe la mia opinione che il linguaggio da lui seguito, non fosse allora che l'idioma comune di tutta la Grecia, siccome l'italiano [3046]del Tasso è l'italiano comune di tutta l'Italia. O forse la Grecia era ancor troppo poco colta universalmente per aver un linguaggio comune già reg...
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