[Pagina precedente]...nsamente piangiamo in quel medesimo punto le nostre proprie, o mescoliamo il pensiero di queste al pensiero di quelle, e questa mescolanza (ch'è vera e propria e debita arte, e dev'essere scopo, del poeta l'occasionarla) è principal cagione di quelle nostre lagrime. E ci accade allora (e così ne' teatri ec.) come ad Achille piangente sul capo di Priamo il suo vecchio padre e la breve vita a se destinata ec. ec. sublimissimo e bellissimo e naturalissimo quadro di Omero. Le sventure, quando sieno nazionali, o in altra maniera più particolarmente appartenenti ai lettori, interesseranno sempre più, per la maggior somiglianza e prossimità , che non è quella dello sventurato in generale, e perchè sarà tanto più facile e pronto il passaggio dell'animo del lettore da quelle calamità alle sue proprie ec. Onde sarà sempre importantissimo che il soggetto del poema sia nazionale, e questi soggetti saranno sempre preferibili agli altri, e la nazionalità conferirà moltissimo all'interesse.
Venendo oramai a ristringere il mio discorso, dico che l'Iliade, benchè, oltre al non esser noi greci, sieno corsi da ch'ella fu scritta o cantata, ben ventisette secoli, con tutte quelle innumerabili e sostanzialissime diversità che sì lungo tratto di tempo ha portato allo spirito ed alle circostanze esteriori [3163]e interiori dell'uomo e delle nazioni, c'interessa senz'alcun paragone più che l'Eneide scritta in tempi tanto posteriori, e più conformi ai nostri, ed aiutata pur grandemente come ho detto, dall'interesse medesimo della Iliade; più che la Gerusalemme, più che altri tali poemi, i quali, massimamente rispetto all'Iliade, si possono dir nati l'altro ieri. Dico c'interessa estremamente di più, intendendo dell'interesse totale e finale, e risultante da tutto il poema, e diffuso e serpeggiante per tutto il corpo del medesimo. Il quale interesse così inteso, manca quasi affatto ai poemi che dalla Iliade derivarono; perocchè non bisogna confonder con esso, il piacere che ci cagiona la lettura di tali poemi, derivante dallo stile, dalle immagini, dagli affetti, e da tali altre cose che non hanno essenzialmente a far coll'ultimo e principale scopo e scioglimento del poema; nè anche i particolari (o episodici o non episodici) interessi qua e là sparsi, non finali nè continui [3164]o perpetui, e nascenti da questa o da quella parte e non dall'insieme e dal tutto del poema; nè anche finalmente quell'interesse che può nascere dal semplice intreccio, interesse di pura curiosità , che non aspira nè corre ad altro che a voler essere informato dello scioglimento del nodo, conosciuto il quale, esso interesse finisce; interesse pochissimo interessante, e superficialissimo nell'animo; interesse che può esser sommo in poemi, drammi ed opere di niuno interesse, anzi non è mai nè sommo nè principale nè anche molto notabile e sensibile, se non se in poemi, drammi ed opere di niun intimo e profondo interesse e di pochissimo valor poetico, perchè il destare, pascere e soddisfare la curiosità non è effetto che abbia punto che fare colla natura della poesia, nè le può esser altro che accidentale e secondario. Or dunque i poemi derivati dalla Iliade, leggonsi con molto piacere, destano di tratto in tratto alcuno interesse più o men vivo e durabile, [3165]ma essi mancano quasi affatto di quell'interesse totale, finale e perpetuo, di cui l'Iliade, dopo 27 secoli, appo uomini non greci, sommamente abbonda, e dal quale si dee senza fallo misurare il pregio e il grado di bontà del complesso e dell'intero di un poema epico, siccome d'ogni altro poema.
Per lo che tornando finalmente là donde incominciai, conchiudo che tutto all'opposto di ciò che si dice e si crede, il poema dell'Iliade sarà forse dai posteriori poemi vinto ne' dettagli o nelle qualità secondarie, come dir lo stile, o alcuna parte di esso, qualche immagine, qualche parte o qualità dell'invenzione; sarà forse eziandio vinto in alcuna parte della condotta, come nel celare più studiosamente l'esito, laddove Omero par che studiosamente lo sveli innanzi tempo (e forse anche questo si potrebbe difendere, e in ogni modo non nuoce che all'interesse di curiosità , del quale Omero, o come superficialissimo e non poetico ch'egli è, [3166]o come narrando forse cose universalmente allora cognite alla nazione, non si fece alcun carico); ma che nell'insieme, nel totale del disegno, nell'idea nello scopo e nell'effettivo risultato del tutto, tutti i poemi epici cedono di gran lunga all'Iliade.69 E soggiungo che in ciò gli cedono appunto per aver seguìto una unità che Omero non si propose, e a causa di quello stesso incremento e stabilimento dell'arte che li conformò e regolò, e che in essi si vanta, e che Omero non conobbe, e che peccano appunto per quella maggior perfezione di disegno che loro si attribuisce sopra l'Iliade, e che in questa pretesa perfezione consiste appunto il maggiore ed essenzial peccato del loro disegno, peccato che niuno ci riconosce, non potendo però lasciare di sentirne gli effetti, ma rapportandoli a non vere cagioni, e male esigendo che quei poemi producano effetti non compatibili realmente con quel disegno che in essi lodano, e senza cui gli avrebbero biasimati; e finalmente che Omero [3167]non conoscendo l'arte (che da lui nacque) e seguendo solamente la natura e se stesso, cavò dalla sua propria immaginazione ed ingegno un'idea, un concetto, un disegno di poema epico assai più vero, più conforme alla natura dell'uomo e della poesia, più perfetto, che gli altri, avendo il suo esempio e in esso guardando, e ridotta che fu ad arte la facoltà ond'egli avea prodotto que' modelli, e determinata, distinta e stretta che fu da regole la poesia, non seppero di gran lunga fare.
(5-11. Agosto. 1823.)
Alla p.3109. margine. E l'egoista lusinga il suo amor proprio anche col persuadersi di non essere egoista e di amare altri che se, e col credere di darne a se stesso una prova. Quindi per gli animi raffinati è anche più dolce la compassione verso gl'inimici che verso gli amici o gl'indifferenti, prima perchè tanto più facilmente e vivamente l'uomo si persuade che quel sentimento ch'egli allora prova sia sgombro e puro d'ogni mescolanza e influenza d'egoismo; poi perchè tanto maggior concetto [3168]egli allora forma della grandezza e generosità e nobiltà del suo proprio animo, e tanto più s'aggrandisce a' suoi propri occhi, (considerando la compassione ch'ei concede agli stessi nemici), del quale effetto della compassione ho detto p.3119. Onde veramente somma fu l'arte, squisitissima l'intenzione e lo scopo, e supremamente bello l'effetto della poesia d'Omero, il quale rivolge principalmente sui nemici la compassione di che egli anima tutto il suo poema, ed alla quale come all'uno de' principali effetti di questo, egli mira.
La compassione è quasi un'annegazione che l'uomo fa di se stesso, quasi un sacrifizio che l'uomo fa del suo proprio egoismo. Or questo è fatto per egoismo, niente meno che il sacrifizio della roba, de' piaceri, della vita medesima, che l'uomo fa talvolta, non da altro mosso che dall'amor proprio, cioè dal piacere ch'ei trova in far quella tale azione. Così l'egoismo giunge fino a sacrificar se stesso a se stesso: tanto è l'amor ch'ei si porta, ch'ei si fa volontaria vittima di se medesimo: tanto egli è pieghevole e vario, e capace di tanti [3169]e sì strani e sì diversi travestimenti, che per suo proprio amore ei cessa anche di esser egoismo, e quando voi lo vedete sacrificar se medesimo, egli è allora il più raffinato egoismo che si trovi, il più efficace e potente e imperioso, il più intimo e il più grande, perocch'egli è maggiore negli animi in proporzione ch'ei sono più vivi, delicati e sensibili, (come altrove più volte ho detto), quale è necessario che sia in sommo grado chi può veramente di sua propria volontà e scelta sacrificar se medesimo.
(12. Agosto. dì di Santa Chiara. 1823.)
Alla p.2776. Vedi la Grammat. del Weller, edit. Lips. 1756. p.50. v.7.8. p.58. fine.
(12. Agosto. dì di Santa Chiara. 1823.)
Et Davus non recte scribitur. Davos scribendum: quod nulla litera vocalis geminata unam syllabam facit. (geminata cioè p.e. due a, o come in questo caso, due u). Sed quia ambiguitas vitanda est nominativi singularis et accusativi pluralis, necessario pro hac regula digamma [3170]utimur, et scribimus DaFus, serFus, corFus. Donatus ad Ter. Andr. 1. 2. 2.
(12. Agosto, dì di S. Chiara. 1823.)
Così ridondante, o con un certo cotal significato che non si può altrimenti esprimere se non col gesto, si crede esser proprietà della nostra lingua, e idiotismo del nostro dir familiare (benchè molto usato dagli eleganti scrittori). V. pure Cic. ad Att. 14. 1. e il Forcell. in Abeo §.16o. Ma quest'uso è latino e greco. V. il Forcell. in Sic ai § sesto, nono, decimo, Catullo XIV. 16, e Platone nel Convito, ed. Astii, Lips. 1819. seqq. t.3. p.440. vers.24. E. Gli spagnuoli hanno qualcosa di simile.
(12. Agosto. dì di S.Chiara. 1823.)
Profittare, approfittare, profiter, aprovechar ec. quasi profectare da profectus di proficio. Pretextar spagn. prétexter franc. da praetexo-xtus.
(12. Agosto. dì di S. Chiara. 1823.)
Diciamo volgarmente uomo indigesto per difficile, bisbetico. Or tale appunto si è il proprio significato del greco ????????, per metafora morosus, opposto di ???????. E v. la Crus. in discolo.
(12. Agos. dì di Santa Chiara. 1823.)
[3171]Niuna cosa maggiormente dimostra la grandezza e la potenza dell'umano intelletto, nè l'altezza e nobiltà dell'uomo, che il poter l'uomo conoscere e interamente comprendere e fortemente sentire la sua piccolezza. Quando egli considerando la pluralità de' mondi, si sente essere infinitesima parte di un globo ch'è minima parte d'uno degli infiniti sistemi che compongono il mondo, e in questa considerazione stupisce della sua piccolezza, e profondamente sentendola e intentamente riguardandola, si confonde quasi col nulla, e perde quasi se stesso nel pensiero della immensità delle cose, e si trova come smarrito nella vastità incomprensibile dell'esistenza; allora con questo atto e con questo pensiero egli dà la maggior prova possibile della sua nobiltà , della forza e della immensa capacità della sua mente, la quale rinchiusa in sì piccolo e menomo essere, è potuta pervenire a conoscere e intender cose tanto superiori alla natura di lui, e può abbracciare e contener [3172]col pensiero questa immensità medesima della esistenza e delle cose. Certo niuno altro essere pensante su questa terra giunge mai pure a concepire o immaginare di esser cosa piccola o in se o rispetto all'altre cose, eziandio ch'ei sia, quanto al corpo, una bilionesima parte dell'uomo, per nulla dire dell'animo. E veramente quanto gli esseri più son grandi, quale sopra tutti gli esseri terrestri si è l'uomo, tanto sono più capaci della conoscenza e del sentimento della propria piccolezza. Onde avviene che questa conoscenza e questo sentimento anche tra gli uomini sieno infatti tanto maggiori e più vivi, ordinari, continui e pieni, quanto l'individuo è di maggiore e più alto e più capace intelletto ed ingegno.
(12. Agosto. dì di S. Chiara. 1823.)
Al proposito di habeo e di ??? usati per essere spettano i verbali habitus e ???? etc. P.e. habitus corporis, cioè modus habendi o se habendi, modus quo corpus habet [3173]o se habet, vale propriamente modo di essere del corpo ec.
(12. Agos. dì di S. Chiara. 1823.)
Alla p.3132. marg. principio. Da quello che si legge nell'epistola di Antonio Eparco a Filippo Melantone (ch'era pur non cattolico, ma famoso eretico e poco si doveva curare de' luoghi santi) la qual epistola è riportata dal Fabricio nel citato luogo; e dalle varie scritture ed anche storie di quei tempi, si raccoglie che in verità il gabinetto ottomanno mirasse a soggettarsi l'Europa, non tanto per diffondere la religione di Maometto (sebbene anche questo, s'io non m'inganno, è precetto o consiglio dell'Alcorano, che si proccuri di diffonderla coll'armi il più che si possa, promettend...
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