[Pagina precedente]..., e generalmente spregiata com'effetto o di viltà o di debolezza, la quale, sebbene involontaria, era poco meno spregiata della viltà , come lo sono anche oggidì proporzionatamente e la debolezza e tanti altri difetti degl'individui o delle nazioni, esteriori o interiori, che non dipendono dalla volontà di chi n'è il soggetto. Dico che la guerra è [3103]dell'uomo coll'uomo, sebbene Omero c'intramette anche gli Dei. Ma questa finzione era per abbellire e non per alterare la natura della guerra eccetto in alcune parti poco essenziali. Come quando s'introduce Achille alle prese col Csanto. Nel qual caso, non essendo la battaglia d'uomo con uomo, ma colla superior potenza di un Dio, Omero non si fa scrupolo d'introdurre Achille chiedente aiuto e fuggente, nè stima che questo tolga alla sua superiorità , perch'ei lo vuol far superiore agli uomini non agli Dei, e vittorioso nella guerra de' mortali, non degli Eterni. E infatti l'intervento degli Dei, come non doveva (volendo conservare il buono effetto) alterare, così effettivamente non altera appresso Omero la sostanza della guerra umana.
Conveniva dunque che l'Eroe e la nazione presa da Omero a celebrare fossero fortunati e vittoriosi, massimamente aggiungendosi alle [3104]predette considerazioni generali questa particolarità che l'Eroe da Omero celebrato era greco, e la nazione era la greca, cioè quella alla quale egli cantava e a cui egli apparteneva, e la guerra era stata contro i Barbari. Molto conveniente cosa, pigliare per soggetto del poema epico le lodi e le imprese della propria nazione e una guerra contro i perpetui e naturali nemici di lei, ciò erano i Barbari. Cosa che raddoppiava, anzi moltiplicava l'interesse del poema, siccome accade nella Lusiade, siccome ancora nell'Eneide ec. Onde Isocrate pensa che gran parte della celebrità di Omero e della grazia in che sempre furono i suoi poemi appo i greci, derivi dal patriotismo de' medesimi poemi e dalle battaglie e vittorie contro i Barbari, che in essi sono celebrate. (Vedilo nel Panegirico, ediz. del Battie Isocr. Oratt. 7. et epistt. Cantabrig. 1729. p.175-6.). Or come poteva Omero fingere o narrar perditori [3105]la sua nazione e un Eroe della medesima, e ciò in una guerra contro i Barbari? Il che tra gli antichi sarebbe stato tanto più assurdo che tra i moderni, quando anche le lodi e l'interesse del poema fossero stati tutti per li greci, e quando anche, fingendoli sventurati, Omero avesse mosso le lagrime e i singhiozzi sopra le loro sciagure, sarebbe tuttavia riuscito assurdo di maniera, che sarebbe eziandio stato pericoloso al poeta. Frinico ateniese, gran tempo dopo Omero, fece suggetto di una tragedia la presa di Mileto fatta da Dario, e mosse gli uditori a pietà sopra quella sciagura dei greci per modo, che, secondo l'espressione di Longino (sect.24.) tutto il teatro si sciolse in lagrime. 3 Gli Ateniesi lo multarono in mille dramme (Plut. politic. praecept. Strabo l.14. Schol. Aristoph. Vesp.) perch'egli avea rinfrescato la memoria delle domestiche calamità e ripostele sotto gli occhi rappresentandole al vivo (Herodot. l.6. c.21.); [3106]di più vietarono con decreto che quella tragedia fosse più recata sulle scene (Tzetz. Chil. 8. (alibi reperio 7.) hist. 156.): anzi secondo Eliano (Var. l.13. c.17.), lagrimando, lo cacciarono dal teatro esso stesso che stava rappresentando la sua propria tragedia. (Vedi Fabric. B. G. in Catal. Tragicorum, Meurs. Bibl. Att. Bentley Diss. ad Ep. Phalar. p.256) V. p.4078.
Adunque per tutte queste cagioni doveva nell'Eroe di Omero e nella nazione da lui celebrata concorrere colla virtù la fortuna. Ed ecco l'uno degl'interessi che campeggiano nell'Iliade senza interruzione per tutto il corpo del poema: interesse il quale consiste nell'ammirazione ispirata dalla straordinaria e superiore virtù; al quale interesse e alla qual maraviglia, cioè al pieno effetto di tal virtù descritta e figurata nel poema, richiedevasi necessariamente la felicità e il buon successo, che in tutti i tempi, ma negli antichissimi principalmente, sono considerati come il compimento della virtù, anzi pure come indispensabile perfezione [3107]di lei, o come solo indizio che possa dimostrarla veramente perfetta e somma.
Altra proprietà dell'uomo si è che laddove la superiorità , laddove la virtù congiunta colla fortuna non produce se non un interesse debole, cioè l'ammirazione; per lo contrario la sventura in qualunque caso, ma molto più la sventura congiunta colla virtù, produce un interesse vivissimo, durevole e dolcissimo. Perocchè l'uomo si compiace nel sentimento della compassione, perchè nulla sacrificando, ottiene con essa quel sentimento che in ogni cosa e in ogni occasione gli è gratissimo, cioè una quasi coscienza di proprio eroismo e nobiltà d'animo. La sventura è naturalmente cagione di dispregio e anche d'odio verso lo sventurato, perchè l'uomo per natura odia, come il dolore, così le idee dolorose. Mirando dunque, malgrado la sciagura, alla virtù dello sciagurato, e non abbominandolo nè disdegnandolo quantunque tale, e finalmente giungendo a compassionarlo, cioè a voler coll'animo entrare a parte de' suoi [3108]mali, pare all'uomo di fare uno sforzo sopra se stesso, di vincere la propria natura, di ottenere una prova della propria magnanimità , di avere un argomento con cui possa persuadere a se medesimo di esser dotato di un animo superiore all'ordinario; tanto più ch'essendo proprio dell'uomo l'egoismo, e il compassionevole interessandosi per altrui, stima con questo interesse che niun sacrifizio gli costa, mostrarsi a se stesso straordinariamente magnanimo, singolare, eroico, più che uomo, poichè può non essere egoista, e impegnarsi seco medesimo per altri che per se stesso. Veggansi le pagg.3291-97. e 3480-2. L'uomo nel compatire s'insuperbisce e si compiace di se medesimo: quindi è ch'egli goda nel compatire, e ch'ei si compiaccia della compassione. L'atto della compassione è un atto d'orgoglio che l'uomo fa tra se stesso. Così anche la compassione che sembra l'affetto il più lontano, anzi il più contrario, all'amor proprio, e che sembra non potersi in nessun modo e per niuna parte ridurre o riferire a questo amore, non [3109]deriva in sostanza (come tutti gli altri affetti) se non da esso, anzi non è che amor proprio, ed atto di egoismo. Il quale arriva a prodursi e fabbricarsi un piacere col persuadersi di morire, o d'interrompere le sue funzioni, applicando l'interesse dell'individuo ad altrui. Sicchè l'egoismo si compiace perchè crede di aver cessato o sospeso il suo proprio essere di egoismo. V. p.3167.
Tornando al proposito, il primo dei detti interessi, cioè quello della maraviglia era rilevato in Omero dalla circostanza che l'ammirazione cadeva sopra la superiorità , la virtù e la felicità di un eroe e di un esercito nazionale, sopra un'impresa fatta dalla propria nazione e fatta contro i di lei naturali nemici. Questa circostanza rendeva non solamente possibile ma naturalissima la vivacità e la durata di tale interesse ne' lettori o uditori greci (per li quali scriveva Omero) in tutto il corso del poema. Tolta questa circostanza, il detto interesse non può esser nè molto vivo nè molto durevole. Il lettore non s'interessa gran fatto per coloro per cui vede continuamente interessarsi lo stesso poeta. L'interesse del lettore (nel senso in cui presentemente ci conviene intenderlo) è quasi una cura ch'egli si prende [3110]di quelle persone su cui l'interesse cade. Or dunque il lettore trova inutile il darsi gran pensiero di quelli a' quali vede aversi bastante cura da altri. Il poeta e la fortuna da lui narrata fanno quello che avrebbe a fare il lettore interessandosi; essi medesimi provveggono al fortunato: il lettore non ha dunque niuna cagione di farlo egli, ei non desidera quello che gli è spontaneamente dato, quello ch'egli ottiene già senza darsene briga e sollecitudine. Per queste cagioni accade che poco e poco durevolmente c'interessi il fortunato, massime ne' poemi epici e ne' drammatici. Ed effettivamente oggidì i lettori della stessa Iliade, non essendo greci, o non s'interessano mai vivamente per li greci, i quali sanno già dovere uscir vittoriosi, o presto lasciano d'interessarsene.56 Ma non bisogna dall'effetto che l'Iliade fa in noi, misurar quello ch'ei faceva nei greci, ai quali essa era destinata, nè per conseguenza l'arte del poeta che la compose, nè il pregio e valore del poema. [3111]L'altro interesse, cioè quello della compassione, non poteva Omero introdurlo nel suo poema in modo ch'ei si riferisse ad Achille o ai greci; non poteva, dico, per le suddette ragioni. Solamente poteva fare che la compassione si riferisse pur talvolta ai greci o a qualcuno di loro, come a soggetti secondarii e accidentalmente (qual è p.e. Patroclo), non come a soggetto primario della compassione, al qual soggetto tendessero tutte le fila del poema. Questo soggetto ei lo prese nella parte contraria alla greca, in quella parte alla quale doveva appartener la sventura, se alla greca doveva appartener la felicità . Egli scelse o finse tra' nemici un Eroe per così dir, di sventura, il quale fosse opposto all'Eroe della fortuna, e l'interesse del quale dovesse perpetuamente bilanciare e contrastare e accompagnare l'interesse dell'altro nell'animo de' lettori. Questo Eroe sfortunato ei lo fece inferiore di forze ad Achille, ed anche ad Aiace e a Diomede, perchè la superiorita delle forze doveva [3112]esser l'attributo e la lode principale della parte greca (lode ch'era ai tempi eroici la più grande); ma oltre che di forze eziandio lo fe' superiore a tutti gli altri greci e troiani, di coraggio e magnanimità lo fece pari allo stesso Achille, e nel rimanente ornandolo di qualità diverse da quelle di costui, lo venne però a far tale che tanto pesasse egli quanto questi. Somma pietà verso gli Dei, verso la patria, verso i parenti, somma affabilità , giovanezza, e viril bellezza sopra ogni altra (giacchè quella di Paride non era virile) della sua parte. Di più accortezza e destrezza nel maneggio della guerra e nel governo delle battaglie, vigilanza, provvidenza, cura degli amici, pazienza delle fatiche, arte di parlare ne' consigli pubblici o a' soldati, disprezzo d'ogni pericolo, l'onore stimato sopra ogni cosa, come quando ei ricusa di entrare nella città vedendosi venir sopra Achille, e dopo l'onore, la patria; costanza ec. ec. In somma com'egli aveva fatto in Achille un uomo [3113]sommamente ammirabile, così fece e volle fare in Ettore un eroe sommamente amabile. E come la vittoria riportata da Achille sopra l'invincibile Ettore, porta al colmo l'ammirazione per colui, così la sventura di Ettore mette il colmo alla sua amabilità e volge l'amore in compassione, la quale cadendo sopra un oggetto amabile è il colmo per così dire del sentimento amoroso. Molte sventure e di greci e di troiani si narrano o fingono nella Iliade, ma quella di Ettore è lo scopo del poema, ad essa tendono tutte le fila del medesimo niente meno e del paro che alla vittoria di Achille, e sempre unitamente: in essa il poema si chiude. Alle quali cose mirando il nostro Cesarotti, e giudicando che Ettore fosse il principal soggetto dell'interesse nella Iliade, e la sua sventura per se medesima il principale scopo ed assunto del poema, prosuntuosamente ne volle cangiare il titolo e intitolarlo la morte d'Ettore, stimando che Omero non avesse bene inteso se [3114]stesso e la sua propria intenzione quando ne' primi versi della Iliade annunziò espressamente un altro assunto. Nel che s'ingannò grandemente, per non aver mirato alla natura umana, alle qualità di que' tempi, alle circostanze di Omero (giacchè se oggi nell'Iliade l'unico, non che principale, interesse è per Ettore, non così fu anticamente, nè tale fu l'intenzione di Omero scrivendo ai greci), e per avere avuto l'occhio alle moderne opinioni circa l'unità dell'interesse e del soggetto principale. Ma come nell'intenzione di Omero l'unico interesse non dovette esser quello di Achille, nè l'unico soggetto e scopo...
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