[Pagina precedente]... per agitare, dimenare, sventolare (come tremolar unas vanderas nel citato luogo del Solìs), alla qual significazione par che appartenga l'ultimo esempio del Gloss. Cang. in Tremulare.
(17. Agos. 1823. Domenica.)
Gli uomini che nel mondo sono stimati e son tenuti da quanto gli altri o da più degli altri, lo sono per l'ordinario in quanto coll'uso della società essi si sono allontanati dalla natura lor propria e dagli abiti naturali dell'uomo generalmente, ed hanno in se oscurata e coperta la natura, o sanno, sempre che vogliono, coprirla. E quanto più è oscurata in loro e coperta e mutata sì la natura individuale e lor propria, vale a dire il loro natural carattere, e gli abiti a che essa particolar natura gli avrebbe condotti, sì la natura generale degli uomini, tanto la stima generale verso di essi è maggiore. Voglio dir che la più parte delle qualità che negli uomini ottengono stima appo il mondo, o sono totalmente acquisite e per nulla naturali, anzi spesso contrarie alla natura lor propria o generale; ovvero sono talmente svisate [3184]dal naturale che per naturali non si ravvisano, e più che sono svisate, più, per l'ordinario, si stimano. Perocchè egli è ben raro che una qualità semplicemente naturale, e tale qual ella è da natura, sia stimata punto nella società , e quando pur sialo, questa stima non è nè durevole, nè salda, nè generale, nè molta, ed è sempre inferiore a quella delle qualità acquisite o snaturate, le quali si apprezzano per regola, stabilmente e seriamente, ma le naturali quasi per gioco, per rarità , per variare, per passatempo, momentaneamente. Quelle si stimano come gravi, serie, e da negozio; queste come lievi, di poca importanza ed utilità , da semplice trattenimento e da ozio: e la società presto se ne annoia.
Questo genere di persone ch'è l'unico generalmente stimato nella società , tiene il mezzo fra due generi, non istimato nè l'uno nè l'altro, ma l'uno non istimabile, l'altro stimabilissimo e molto più stimabile veramente di quello che il mondo stima. Del primo genere sono quelle persone, in cui la natura non ha avuto forza bastante per cangiarsi; cioè quelle che non furono capaci dell'arte, onde vivendo nella società , non hanno da lei saputo apprendere, nè su di lei modellarsi, e per [3185]poca abilità naturale hanno conservata la loro natura, il loro natural carattere, gli abiti a cui la natura o propria o generale gl'inclinò; sicchè vivono e conversano nella società , tali appresso a poco quali dapprima vi entrarono. Ciò sono le persone povere di spirito, di tardo e duro ingegno, di corta e scarsa capacità . Eziandio spettano a questo genere coloro in cui la natura si conserva per mancanza di coltura che la scacci o la tramuti. Ciò sono le persone idiote e rozze, di poco o niuno uso sociale, poco o nulla assuefatte alla civile conversazione, le quali recano nella società , sempre che vi si accostano, il loro primitivo carattere, e le naturali abitudini, non mai cangiate da quello che furono da principio, non mescolate o accresciute con alcuna qualità sociale acquisita; e ciò non per durezza d'ingegno, nè per naturale insufficienza, e incapacità di apprendere, ma per mancanza d'insegnamento, di esercizio, di coltura dell'ingegno e delle maniere. Questo genere di persona sia della prima specie sia della seconda, non è punto stimata nè ricercata [3186]nè gradita nella società , perch'egli conserva la natura, al contrario di quelle persone che ho detto essere apprezzate nel mondo.
Del secondo genere71 sono coloro in cui la natura straordinariamente forte, e più potente che nel comune degli uomini, ha superato e respinto l'arte, e non le ha lasciato luogo da situarsi, non per istrettezza e cortezza d'essa natura, ma perch'ella, sebbene amplissima ed estesissima, tutto il luogo essa medesima irremovibilmente occupò. Ciò sono le persone di carattere originale, straordinariamente vigoroso, costante, fermo, i quali rigettano le abitudini contrarie alla loro gagliarda natura e al detto carattere, di qualunque genere ei sia; e non soffrono di piegarsi e adattarsi agli altrui costumi, di seguire le altrui inclinazioni, di cangiare o di modificare o di nascondere e mascherare o finalmente di smentire se stessi; non ammettono nè modi, nè usanze, nè gusti, nè occupazioni, nè istituti di vita, nè parole, nè fatti se non conformi esattamente alla loro primitiva natura ed indole, e da essa richiesti, cagionati, mossi, suggeriti. Questi sono [3187]gli uomini chiamati singolari e originali; non mai stimati (certo oggidì, e nelle nazioni più civili e socievoli, non mai), per lo più disprezzati, ovvero odiati e fuggiti, sempre derisi. In questi tali tutto è forza, e per la forza si conserva in essi immutabile la natura. Altri pur v'ha del medesimo genere, ne' quali avvengachè la natura sia parimente fortissima e potentissima, contuttociò si mescola in essi e nella natura loro una sorta di debolezza e non poca. Ciò sono quelle persone di vastissimo finissimo e altissimo ingegno, al quale per la troppa capacità ed ampiezza sfuggono e in essa ampiezza si perdono le cose piccole; per la troppa finezza riescono difficilissime e impossibili ad apprendersi, a seguirsi, a possedersi le cose grosse; per la troppa altezza escono di vista le cose basse. Non già ch'essi sempre le sdegnino, anzi bene spesso con somma e intentissima cura le cercano e studiano, ma con gran meraviglia loro e dei pochi che ben li conoscono, non viene lor fatto di conseguire in quelle cose appena una centesima parte di quell'abilità e di quel successo che gl'ingegni mediocri, e talora [3188]piccoli, con molto minor cura e studio, facilmente e perfettamente conseguono, possiedono e adoprano. Il medesimo eccesso della cura e della contenzion d'animo che quei rari ingegni pongono a conseguire ed esercitare le qualità sociali, cura e contenzione abituale e familiare in essi, e che mai e' non sanno intermettere o rilasciare; il medesimo eccesso dico, togliendo loro la possibilità della disinvoltura, del riposo d'animo, della facilità , dell'abbandono, della sicurezza, della confidenza in se stessi (che a chi suol riflettere sulle cose, e conoscerne e investigarne e sentirne e pesarne le difficoltà , e a chi sempre mira alla perfezione, e d'altronde sa bene per molte esperienze e sente quanto ella sia difficile, a questi tali, dico, la confidenza in se stessi è impossibile); togliendo dunque loro la possibilità di queste qualità che sono d'indispensabilissima e primissima necessità per godere nella società e per piacerle, e generalmente per ottenere colle parole o coi fatti qualunque successo nel mondo; il detto eccesso, torno a ripetere, impedisce a quei rari ingegni di mai, se non imperfettissimamente conseguire, di mai, se non con grandissima difficoltà e stento, adoperare ed esercitare le [3189]qualità che nel mondo si apprezzano ed amano e premiano. Questi tali, benchè grandissimi ingegni, benchè fecondi di bellissimi, utilissimi, altissimi, nuovissimi pensieri, benchè scrittori sommi in questo o quel genere, o pur letterati o filosofi o privati politici di altissimo valore, benchè d'animo nobilissimi, sensibilissimi, rarissimi, benchè spesso capacissimi di dilettar sommamente o di sommamente giovare a qualsivoglia società e a qualunque genere di persone coi loro scritti o colle produzioni qualunque del loro ingegno, lungamente e maturamente, o almeno riposatamente, pensate; anzi benchè le dette misere qualità siano pur troppo propriissime de' singolari ingegni, e tanto più quanto alcun d'essi più s'inalza sopra il comune, e a proporzione di ciò più invincibili e costanti; e benchè quasi tutti gl'ingegni veramente singolari e sommi, massime quelli che risplendettero o risplendono negli studi delle scienze, delle lettere, o delle arti, fossero e sieno più o meno partecipi di tali qualità caratteristiche, si può dire, degli straordinarii e sublimi talenti; (vedi fra l'altre cose il Pseudo-Donato nella Vita di Virgilio [3190]cap.6. fine, dov'è l'autorità di Melisso, Grammatico, liberto di Mecenate, contemporaneo di Virgilio: Forcell. in Melissus, Fabric. B. Lat. 1. 494.); contuttociò questi tali nella società , se non da quelli che conoscono per altra parte il loro merito, e che conoscendolo sono capaci di apprezzare chi lo possiede, sono generalmente (e non irragionevolmente, perocchè niun diletto e molta noia e fatica reca la loro conversazione) disprezzati ed evitati, ancor maggiormente che quelli dell'altra specie, e confusi dai più coi primi del primo genere, ai quali in fatti, nell'esteriore e in ciò che d'essi apparisce, quasi a capello si rassomigliano. In questo genere si può recar per esempio della prima specie l'Alfieri, della seconda G. G. Rousseau.72 Anche questo genere di persone benchè stimabilissimo non è stimato, perocch'ei conserva la natura, o non è bastantemente mutato dal naturale.
Sicchè tra quello che non è stimabile e quello ch'è degno di somma stima, restano solamente stimati quelli che tengono il mezzo, e cioè gli uomini mediocri e mediocremente [3191]degni. E ritrovasi per questa via e sotto questo rispetto, siccome per tutte l'altre vie e per ogni altro riguardo, trionfare nell'umana conversazione la mediocrità .
Nè solamente alla stima del mondo, ma a qualunque altro successo nella società , come al far fortuna, all'avanzarsi nel favore o de' principi o de' privati, e a cose tali si può applicare la triplice distinzione e la successiva suddivisione degli uomini da me fatta fin qui, e troverannosi dovunque gli effetti corrispondere ai sopra osservati, secondo i generi e le spezie surriferite.
(18. Agos. 1823.)
All'amore che noi abbiamo della vita, e quindi delle sensazioni vive, dee riferirsi il piacere che ci recano negli scritti o nel discorso le parole chiamate espressive, cioè quelle che producono in quanto a loro una idea vivace, o per la vivacità dell'azione o del soggetto qualunque ch'elle significano (come spaccare), o perchè vivamente rappresentano all'immaginativa questa [3192]medesima azione o soggetto, qualunque siasi la cagione perch'esse vivamente lo rappresentino (come spaccare più vivamente rappresenta l'azione significata, e desta un'idea più viva che fendere per varie ragioni che ora non accade specificare, e lungo sarebbe il farlo), o perchè di un'azione o di un soggetto non vivace, ne destano però una viva e presente idea.
(18. Agosto. 1823.)
Per li nostri pedanti il prender noi dal francese o dallo spagnuolo voci o frasi utili o necessarie, non è giustificato dall'esempio de' latini classici che altrettanto faceano dal greco, come Cicerone massimamente e Lucrezio, nè dall'autorità di questi due e di Orazio nella Poetica, che espressamente difendono e lodano il farlo. Perocchè i nostri pedanti coll'universale dei dotti e degl'indotti tengono la lingua greca per madre della latina. Ma hanno a sapere ch'ella non fu madre della latina, ma sorella, nè più nè meno che la francese e la spagnuola sieno sorelle dell'italiana. Ben è vero che la greca letteratura e [3193]filosofia fu, non sorella, ma propria madre della letteratura e filosofia latina. Altrettanto però deve accadere alla filosofia italiana, e a quelle parti dell'italiana letteratura che dalla filosofia debbono dipendere o da essa attingere, per rispetto alla letteratura e filosofia francese. La quale dev'esser madre della nostra, perocchè noi non l'abbiamo del proprio, stante la singolare inerzia d'Italia nel secolo in che le altre nazioni d'Europa sono state e sono più attive che in alcun'altra. E voler creare di nuovo e di pianta la filosofia, e quella parte di letteratura che affatto ci manca (ch'è la letteratura propriamente moderna); oltre che dove sono gl'ingegni da questa creazione? ma quando anche vi fossero, volerla creare dopo ch'ella è creata, e ritrovare dopo trovata ch'ell'è da più che un secolo, e dopo cresciuta e matura, e dopo diffusa e abbracciata e trattata continuamente da tutto il resto d'Europa del pari; sarebbe cosa, non solo inutile, ma stolta e dannosa, ...
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