[Pagina precedente]...one di soffrir quello stesso che nella fanciullezza ha sofferto. E perchè così tormentata [3079]e fatta infelice quella povera età , nella quale l'infelicità parrebbe quasi impossibile a concepirsi? Perchè l'individuo divenga colto e civile, cioè acquisti la perfezione dell'uomo. Bella perfezione, e certo voluta dalla natura umana, quella che suppone necessariamente la somma infelicità di quel tempo che la natura ha manifestamente ordinato ad essere la più felice parte della nostra vita. Torno a domandare. Perchè fatta così infelice la fanciullezza? E rispondo più giusto. Perchè l'uomo acquisti a spese di tale infelicità quello che lo farà infelice per tutta la vita, cioè la cognizione di se stesso e delle cose, le opinioni, i costumi le abitudini contrarie alle naturali, e quindi esclusive della possibilità di esser felice; perchè colla infelicità della fanciullezza si compri e cagioni quella di tutte le altre età ; o vogliamo dire perch'ei perda colla felicità della fanciullezza, quella che la natura avea destinato e preparato siccome a questa, così a ciascun'altra età dell'uomo, e ch'altrimenti egli avrebbe ottenuta in effetto.
(1. Agosto. 1823.)
[3080]Assaltare da assalire, come il semplice salto lat. da salio.
(1. Agos. dì del Perdono. 1823.). V. p.3588.
Alla p.2740. marg. Io credo bene che il ? fosse posto in uso tanto per esprimere il ??, quanto il ?? e il ??; e così il ? tanto pel ??, quanto pel ?? e pel ??; posto in uso, dico, dagli scrivani che in quei primi tempi e in quella imperfezione dell'ortografia, non distinguevano bastantemente e confondevano rispetto ai segni le varie pronunzie e i vari suoni, massime affini, nè si curavano di distinguerli più che tanto l'un dall'altro nelle scritture, o non sapevano perfettamente farlo. Credo per conseguenza,???? che antichissimamente si pronunziasse e scrivesse ?????, non ?????; ?????? si pronunziasse e scrivesse ???????, e non ???????; ???? ?????, e non ?????; ???? ?????, e non ?????; e così dell'altre doppie. Ma che poi, introdotto l'uso di queste doppie si continuassero quelle lettere a pronunziare secondo la derivazione grammaticale o l'uso antico e le antiche radicali, e che quindi p.e. il ? e il ? avessero ora una pronunzia [3081]ed ora un'altra, cioè ora ?? ora ?? ec. non lo credo, anzi tengo che il ? fosse sempre pronunziato ??, e il ? sempre ??. Passaggio non difficile neppure nella pronunzia (e ordinario anche e regolare in milione d'altri casi sì nella pronunzia che nella scrittura e grammatica greca) d'una in un'altra affine, cioè dalle palatine ? e ? alla palatina ?, e dalle labiali ? ? alla labiale ?. Massime che il ? e il ? sono veramente medie nella pronunzia tra le loro affini, benchè si assegni il nome di medie al ? e al ?, e al ?, non al ? ec. Lo deduco dal latino, fra' quali parimente il x fu sostituito sì al cs che al gs, ed anticamente scrivevasi e pronunziavasi p.e. gregs, legs, regs, non grecs, lecs, recs, come oggidì, almeno noi italiani, sogliamo sempre pronunziare. V. il Forc. e il Diz. di gramm. e letterat. dell'Encicl. metod. in X. Ma che in seguito il x anche tra' latini antichi, ossia de' buoni tempi, fosse sempre pronunziato cs, come oggi, dimostrasi dal considerare p.e. i verbi lego, rego, tego e simili (appunto venuti da' nomi sopraddetti) i quali nel perfetto fanno rexi, texi (lego ha legi). Dove certo la x antichissimamente equivalse a gs, come ho detto altrove. Ma eccovi i participii lectus, rectus, tectus, che da prima furono legitus ec. e poi contratti, mutarono il g in c. Resta dunque più che probabile che anche quei perfetti si pronunziassero col c, recsi, tecsi malgrado [3082]la loro derivazione grammaticale e quindi è altrettanto probabile che qualora nell'x doveva esservi il g, passasse in c, giacchè non v'è niuna ragione di più perch'ei dovesse far questo passaggio ne' detti perff. che in qualunqu'altra voce.
(2. Agosto. dì del Perdono. 1823.)
È cosa dimostrata e dalla ragione e dall'esperienza, dalle storie tutte, e dalla cognizione dell'uomo, che qualunque società , e più le civili, e massime le più civili, tendono continuamente a cadere nella monarchia, e presto o tardi, qualunque sia la loro politica costituzione, vi cadono inevitabilmente, e quando anche ne risorgono, poco dura il risorgimento e poco giova, e che insomma nella società non havvi nè vi può avere stato politico durabile se non il monarchico assoluto. È altrettanto dimostrato, e colle medesime prove, che la monarchia assoluta, qual ch'ella sia ne' suoi principii, qual ch'ella per effimere circostanze possa di quando in quando tornare ad essere per pochi momenti, tende sempre e cade quasi subito e irreparabilmente nel despotismo; perchè stante [3083]la natura dell'uomo, anzi d'ogni vivente, è quasi fisicamente impossibile che chi ha potere assoluto sopra i suoi simili, non ne abusi; vale a dire è impossibile che non se ne serva più per se che per gli altri, anzi non trascuri affatto gli altri per curarsi solamente di se, il che è nè più nè meno la sostanza e la natura del despotismo, e il contrario appunto di quello che dovrebb'essere e mai non fu nè sarà nè può essere la vera e buona monarchia, ente di ragione e immaginario. Ora egli è parimente certo, almeno lo fu per gli antichi, e lo è per tutti i savi moderni, che il peggiore stato politico possibile e il più contrario alla natura è quello del despotismo. Altrettanto certo si è che lo stato politico influisce per modo su quello della società , e n'è tanta parte, ch'egli è assolutamente impossibile ch'essendo cattivo quello, questo sia buono, e che quello essendo imperfetto, questo sia perfetto, e che dove quello è pessimo, non sia pessimo questo altresì. Or dunque lo stato [3084]politico di despotismo essendo inseparabile dallo stato di società , e più forte e maggiore e più durevole nelle società civili, e tanto più quanto son più civili, ricapitolando il sopraddetto, mi dica chi sa ragionare, se lo stato di società nel genere umano può esser conforme alla natura, e se la civiltà è perfezionamento, e se nella somma civiltà sociale e individuale si può riporre e far consistere la vera perfezione della società e dell'uomo, e quindi la maggior possibile felicità d'ambedue, come anche lo stato a cui l'uomo tende naturalmente, cioè quello a cui la natura l'aveva ordinato, e la felicità e perfezione ch'essa gli avea destinate.
(2. Luglio. dì del Perdono. 1823.)
La delicatezza, p.e. la delicatezza delle forme del corpo umano, è per noi una parte o qualità essenziale e indispensabile del bello ideale rispetto all'uomo, sì quanto al vivo, sì quanto alla imitazione che ne fa qualsivoglia [3085]arte, la poesia ec. Puoi vedere la pag.3248-50. Ora egli è tutto il contrario in natura. Perciocchè la delicatezza, non solo relativamente, cioè quella tal delicatezza che la nostra imaginazione e il nostro concetto del bello esige nelle forme umane, e quel tal grado e misura ch'esso concetto n'esige, ma la delicatezza assolutamente, è per natura, brutta nelle forme umane, cioè sconveniente a esse forme. Giacchè l'uomo per natura doveva essere, e l'uomo naturale è tutto il contrario che delicato di forme. Anzi rozzissimo e robustissimo, come quello che dalla necessità di provvedere a' suoi bisogni giornalmente, è costretto alla continua fatica, e dal sole e dalle intemperie degli elementi è abbronzato e irruvidito. E la delicatezza gli nuocerebbe; onde s'egli pur accidentalmente sortisce una persona delicata dalla nascita, questo è un male e un difetto fisico per lui, e quindi una sconvenienza e bruttezza fisica, [3086]come lo sono tanti altri difetti corporali che sì l'uomo naturale come il civile (e così gli altri animali e vegetabili) si porta dalla nascita, non per legge e per regola generale della natura umana, ma per circostanze irregolari e per accidente individuale o familiare o nazionale ec. Per le quali cose è certissimo che nell'idea che l'uomo naturale si forma della bellezza fisica della sua specie, non entra per nulla la delicatezza, la quale per tutte le nazioni civili in tutti i secoli fu ed è indispensabile parte di tale idea. Anzi per lo contrario è certissimo che la delicatezza per l'uomo naturale entra nell'idea della bruttezza umana fisica. Che se l'uomo naturale non esigerà nelle forme feminili tanta rozzezza quanta nelle maschili, non sarà già ch'egli vi esiga la delicatezza, nè anche ch'egli concepisca per niun modo la delicatezza come bella nel sesso femminile; anzi per lo contrario egli esigerà [3087]nelle forme donnesche tanta robustezza quanta è compatibile colla natura di quel sesso, e tanto più belle stimerà quelle forme quanto più mostreranno di robustezza senza uscir della proporzione del sesso. E se la robustezza uscirà di tal proporzione, ei la condannerà , non come opposta alla delicatezza, quasi che la delicatezza fosse parte del bello, ma senza niuna relazione alla delicatezza, la condannerà come sproporzionata e fuor dell'ordinario in quel sesso. Laddove per lo contrario le nazioni civili esigono nelle forme donnesche tanta delicatezza quanta possa non uscir della proporzione, e piuttosto ne lodano l'eccesso che il difetto. E quando ne condannano l'eccesso, lo condannano solo in quanto eccesso, non in quanto di delicatezza, nè in quanto opposto alla grossezza e rozzezza; laddove l'uomo naturale condannando la soverchia robustezza non la condanna come robustezza, ma come soverchia secondo le proporzioni ch'egli osserva nel generale.
[3088]Ecco dunque l'idea universale di tutte le nazioni ed epoche civili circa il bello umano (ch'è pur quel bello intorno a cui gli uomini convengono naturalmente più che intorno alcun altro) dirittamente opposta a quella dell'uomo naturale, quanto alla parte che abbiamo considerata. Dicasi ora che l'idea del bello è naturale ed insita, non che universalmente conforme, eterna, immutabile.
E in questa differenza d'idee che abbiamo notata, qual è più conforme alla natura umana, più derivante dalla natura, e (se qui avesse luogo la verità ) qual è più vera, più giusta, più ragionevole? Certo quella dell'uomo naturale. Dunque non si dica, come diciamo di tanti altri in tante occasioni, ch'egli non concorda con noi circa il bello, perchè non ne ha il fino senso, nè la mente atta a concepire il vero bello ideale. (Il che noi diremo, cred'io, ancora degli Etiopi, il cui bello ideale umano è nero e non bianco, rincagnato, di labbra grosse, lanoso). Come mai può esser bella in una [3089]specie di animali la debolezza, la pigrizia? E pur tale ella è nell'uomo appo tutte le nazioni civili, perocchè la delicatezza non è senza l'una e l'altra, e da esse fisicamente nasce, e le dimostra necessariamente all'intelletto.
Sentimento e giudizio degli uomini di campagna circa la bellezza umana e la delicatezza. - Il qual sentimento e giudizio è certamente per le dette ragioni più giusto del nostro. Del nostro, uomini di fino senso e gusto, e profondi conoscitori del bello, è più naturale e quindi più giusto il sentimento e il giudizio di spiriti grossi, rozzi, inesercitati, ignoranti.
Quel che si è detto della delicatezza, dicasi di altre molte qualità che per consenso di tutti i secoli e popoli civili denno trovarsi nelle forme dell'uomo per esser belle; e che per natura non si trovavano, o non doveano trovarsi nelle forme dell'uomo, [3090]o vi si trovavano e dovevano trovarvisi le contrarie. Perocchè siccome l'animo e l'interiore dell'uomo e quindi i costumi e la vita, così anche le forme esteriori sono, in molte qualità , rimutate affatto da quel ch'erano negli uomini primitivi. E intorno a tutte queste qualità , il sentimento e il giudizio di tal uomini circa la bellezza umana corporale, differisce o espressamente contraddice a quello di tutte le nazioni ed epoche civili universalmente; e sempre è più ragionevole.
(4. Luglio 1823.)
Come le forme dell'uomo naturale da quelle dell'uomo civile, così quelle di una nazione selvaggia differiscono da quelle di un'altra, quelle di una nazione civile...
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