[Pagina precedente]...139]all'ultimo la vittoria della parte avventurosa, benchè sempre desiderata e allora applaudita dal lettore, fosse nel tempo medesimo cordialmente da lui pianta e lagrimata, destandosi così nel suo animo sì pel corso del poema, sì massimamente nel fine, e durando in esso dopo la lettura quel vivo contrasto di passioni e di sentimenti, quella mescolanza di dolore e di gioia e d'altri similmente contrarii affetti che dà sommo risalto agli uni e agli altri, e ne moltiplica le forze, e cagiona nell'animo de' lettori una tempesta, un impeto, un quasi gorgogliamento di passioni che lascia durevoli vestigi di se, e in cui principalmente consiste il diletto che si riceve dalla poesia, la quale ci dee sommamente muovere e agitare e non già lasciar l'animo nostro in riposo e in calma. Questi mirabili effetti li produsse divinamente la Iliade, costringendo gli uditori greci a piangere sulla morte e sui funerali di Ettore ucciso dalle armi de' loro [3140]maggiori, in guerra, per loro, giusta, e con giusta causa (cioè la vendetta di Patroclo), e a mescolare i loro lamenti con quelli di Andromaca e della desolata città nemica, già vicina all'ultima calamità , che, per così dire, le loro proprie armi o i loro proprii eserciti gli avevano infatti recata. Sublimissimo effetto concepito, disegnato e prodotto da Omero in tempi feroci e semibarbari, e non saputo concepire nè produrre da verun altro epico in tempi civili. Perocchè temendo di raddoppiar l'interesse, (ch'era appunto ciò che avevano a fare, e senza il che non era possibile quel divino effetto), evitarono espressamente e studiosamente di fare in modo che la parte nemica o alcun personaggio di essa riuscisse più che tanto virtuoso o per qualunque lato interessante sino al fine. E maggiormente si guardarono di sempre ugualmente condurre e in ultimo annodare le fila della loro epopea tanto all'esito [3141]dell'Eroe vittorioso quanto a quello di un altro Eroe a lui per molti lati pari e seco lui compensabile e comparabile ma soccombente. Come fece Omero, perchè nell'Iliade Ettore è, e fu voluto rappresentare, espressamente comparabile ad Achille.
Turno non occupa se non pochissima parte dell'Eneide, e riesce così poco interessante che certo la sua sventura e morte non ha mai tratto ad alcuno un sospiro. Gli Eroi de' Barbari nella Gerusalemme sono appostatamente più d'uno e di ugualissimo pregio,65 sicchè l'interesse non si determina per alcuno di loro, nè della loro morte o calamità niuno si compiange, nè a veruna di queste morti o calamità tendono le fila del poema. Di più il Tasso, stante lo spirito del suo tempo, e stante che in quel caso pareva che la Religione interdicesse, come suole, e confondesse colla empietà l'imparzialità , non potè a meno di rappresentare con tratti odiosi (in alcuno più in altri manco, ma generalmente, e massime in Solimano ed Argante, odiosi), i nemici de' Cristiani. Quindi nella presa di Gerusalemme niuno sente per niun modo la sventura e il disastro di quella città infedele, nè [3142]la presa è descritta o narrata con intenzione di muovere a compatimento, nè in maniera da poterne mai cagionare nè meno a caso. Altrettanto dicasi delle sconfitte degli eserciti maomettani o pagani. E similmente si discorra dell'altre moderne epopee.
Non è già che Virgilio e gli altri volessero e intendessero spogliare affatto d'ogni valore, d'ogni virtù, d'ogni pregio la parte contraria alla vincitrice. Anzi intendendosi a' tempi loro meglio che a' tempi d'Omero, che tanto più si loda colui che vince non per caso ma per virtù, quanto s'amplifica quella del vinto, non lasciarono di volere espressamente rappresentare virtuosi in molte parti e degni di stima e lodevoli anche i nemici, sì tutti insieme, come parecchi distinti personaggi del loro numero. Ma ciò facendo, intentissimamente evitarono che l'interesse pe' nemici o per alcuno de' medesimi non giungesse di gran lunga a pareggiare quello che volevano ispirare ai lettori verso la parte e l'Eroe vittoriosi. Nel che riuscirono ottimamente, anzi al di là della loro intenzione, perchè laddove essi vollero pur [3143]comunicare alcun poco d'interesse a questo o quel personaggio nemico o alla parte inimica, niuno gliene comunicarono.
Queste sono le forme di poema epico, e queste le regole e il processo seguiti e adoperati dall'una parte da Omero, dall'altra parte dai poeti epici che, per dir così, da lui nacquero. Comparate così le forme, l'idea, e se così vogliamo dire, le cagioni, e le intenzioni de' poeti, consideriamo ora generalmente e paragoniamo i rispettivi effetti.
Nell'Iliade oggidì l'interesse per Achille e per li greci, come ho detto, è poco o niuno, perchè i suoi lettori non sono più greci. Nondimeno l'interesse nell'Iliade è vivissimo continuo e durevole eziandio dopo la lettura. Esso è per Ettore e per li troiani. I lettori di qualsivoglia nazione, dopo tanti secoli, dopo tanti cangiamenti sofferti dallo spirito umano, tutti efficacemente e continuamente s'interessano leggendo la Iliade. E tutti non per altri che per li troiani e per Ettore, cioè per la sventura; e questo interesse [3144]si riduce principalmente e come a suo capo alla compassione. Questa cioè è quel sentimento dominante e finale, che noi nella Iliade provando, chiamiamo interesse della medesima. Le quali cose mossero il Cesarotti a intitolar quel poema, come ho detto, La Morte d'Ettore, misurando l'indole e l'intento primitivo, proprio e vero del poema dall'effetto ch'ei produce sopra di noi in tanta diversità e lontananza di tempo, di nazione, di opinioni, di carattere e di costumi. Nell'Eneide l'interesse della compassione non v'è. Dico non v'è, come interesse finale. Quello che si concepisce per Didone, quello per Niso ed Eurialo sono interessi episodici che non ci accompagnano se non per piccola parte del poema, nè hanno che fare colla sostanza e collo scopo di esso, talmente che possono affatto risecarsi senza che la testura nè il principale e finale effetto del poema per nulla se ne risentano o ne siano cangiati. L'interesse per l'Eroe felice, cioè per Enea, e per la parte felice, cioè per li troiani, dovette esser mediocre anche a principio, [3145]come di sopra ho mostrato, ed ora è più che mediocre. E ciò, non ostante che il lettore di Virgilio non possa quasi a meno di trasferire o di continuare ne' fortunati troiani dell'Eneide quell'interesse ch'egli ha conceputo per gli sfortunati e vinti troiani della Iliade. Perocchè egli è certissimo che l'Iliade oltre all'aver partorito l'Eneide, oltre all'averla nutrita e cresciuta, per dir così, del suo proprio latte, (voglio dire averle somministrato l'argomento e i materiali in gran parte, o datogliene l'occasione, e d'altronde averle porto i mezzi e i modi di trattarla, e gli ornamenti ec. cioè il modello, e le immagini, e le forme delle invenzioni, dell'ordine, dello stile poetico ec.) la sostiene e l'aiuta anche oggidì, comunicandole parte del suo proprio interesse, riscaldandola del suo fuoco, e riverberandosi sulla Eneide e in essa influendo e derivandosi e quasi irrigandola gli affetti che la lettura o la notizia della Iliade inspirò. Laonde se la Eneide, quanto al suo principal soggetto ispira alcuno interesse, egli è pur da notare che grande e forse la massima parte di esso, non a lei propriamente appartiene, ma le vien di fuori, e l'è totalmente accidentale ed estrinseco, non interiore ed essenziale, nè in essa [3146]nasce ma altrove ed anteriormente nacque. Il che non si deve confondere col proprio e nativo interesse dell'Eneide66.
La Lusiade avrà certo interessato ed interesserà forse anche oggidì i lettori portoghesi, nè si può bastantemente lodare lo sfortunato Camoens per l'avere scelto un soggetto così strettamente nazionale, e di più per l'aver saputo adattare e far materia di poema epico un argomento allora modernissimo, qualità che per l'una parte produce estreme difficoltà le quali a molti sono sembrate in un poema epico insuperabili, e per l'altra sommamente contribuirebbe a produrre o singolarmente accrescere l'interesse d'un'epopea, come ancora di un dramma e di qualsivoglia poesia. Ma per li lettori dell'altre nazioni non so quanto nella Lusiade possa essere l'interesse, nè se ne' medesimi portoghesi, mancata la recente memoria di quelle imprese, e raffreddato, come per tutta l'Europa, l'amor nazionale e gli altri sentimenti magnanimi, la Lusiade produca per ancora un interesse abbastanza [3147]vivo, continuo e durabile.
Quello spirito dell'Italia e dell'Europa Cristiana verso gl'infedeli (e, diciamolo ancora, verso il Cristianesimo) che disopra ho descritto, che regnò al tempo del Tasso e ne' precedenti, che in lui ancora grandemente potè, che ispirò e produsse la Gerusalemme, è totalmente sparito e perduto, e le nostre condizioni a questo riguardo sono affatto cangiate in tutta l'Europa. Nullo è dunque oggidì l'interesse della Gerusalemme. Dico che la Gerusalemme non ha più realmente veruno interesse finale e principale, cioè non ispira più quell'interesse ch'ella principalmente e per istituto si propone d'ispirare; perocchè esso non ha più luogo negli animi de' lettori, affatto cangiati come sono, nè può più nascere in alcuno quell'interesse, essendo mutate e quasi volte in contrario le circostanze. Benchè certo la Gerusalemme al suo tempo ispirò moltissimo interesse, e forse maggiore che l'Eneide al tempo suo, ed oltre di questo universale nelle colte nazioni, [3148]dove quello dell'Eneide non potè esser che nazionale. Nè certo la Gerusalemme mancò del suo fine. Ma ora non per tanto non può più produrlo. Interessi però episodici e non finali ve n'hanno molti nella Gerusalemme. V'ha quello di Olindo e Sofronia e nasce dalla sventura. V'ha quello di Erminia, quello di Clorinda, e nascono dalla sventura. V'ha quello del Danese, e nasce dalla sventura, e, quel ch'è notabile, da sventura toccante alla stessa parte che aveva a riuscir vittoriosa e fortunata, cioè a dire alla Cristiana. Colla quale occasione è da considerare la bella e straordinaria facoltà che concedeva al Tasso lo spirito del suo tempo, cioè di congiungere la compassione alla felicità , di far nascere questa da quella, di salvar l'estrema unità che si esigeva ne' poemi epici pigliando un Eroe felice e facendolo non per tanto compassionevole. Alleanza impossibile anticamente, difficile e di poco buono effetto oggidì. Ma le opinioni Cristiane (che al suo tempo fiorivano) riponendo [3149]la felicità propria dell'uomo nell'altra vita, facendola indipendente da quella di questo mondo, considerando le sventure temporali come vantaggi e reali fortune, insegnando massimamente esser felicissimo chi soffre per la giustizia e per la fede e per Dio, e più chi muore per loro amore e cagione, davano luogo al Tasso di rappresentare come felice e come giunto al suo desiderio e scopo un personaggio, il quale, facendolo temporalmente sventurato e nelle sventure magnanimo ec., poteva pur fare sommamente compassionevole e tenero. Nè altrimenti egli si governò circa il Danese, il quale ei non diede già per infelice, ma per felicissimo veramente, essendo morto, e generosamente morto per Dio, e nel tempo stesso il volle fare e il fece oggetto di compassione e di tenerezza per la temporale sventura e per questa morte fortemente incontrata e sostenuta. Ma ei non si volle prevalere di tal facoltà nè di tali opinioni e disposizioni del suo tempo, se non quanto a personaggi secondarii (come questo e Dudone) [3150]e in episodii; e l'eroe principale volle farlo felice non solo eternamente ma temporalmente altresì, e la principale impresa volle che bene uscisse non pure secondo il cielo, ma eziandio secondo la terra. Nel che non m'ardisco però di riprendere il suo giudizio, nè so biasimarlo s'ei credette che i dogmi metafisici (e poco conformi, anzi contrarii alla natura e che troppa forza le fanno) non dovessero gran fatto influire sulla poesia, nè potessero molto giovare a produr con essa un buono, bello e splendido effetto. Siccome essi poco veramente influivano, anch...
[Pagina successiva]