[Pagina precedente]...feriore a se stesso, che che ne dica Chateaubriand. V. p.3717.
In verità questo affievolimento e spossamento dell'immaginazione, del calore, dell'entusiasmo in un poema di lungo spirito, non solo ci dee parer perdonabile, ma così naturale, ch'egli sia quasi inevitabile anche ai più grandi e veri poeti. Massime considerando quella continuità d'azione che si richiede all'immaginativa, nel modo spiegato di sopra. Ma Omero, da niuno attingendo, non avendo esemplari coll'uso e meditazione de' quali, se non altro, ristorasse le sue forze, si rinfrescasse, e ripigliasse animo (come accade anche ai più originali poeti), senz'altro nè fonte nè [2981]soccorso, nè modello, nè sprone che se medesimo, la sua propria immaginativa e la natura, in uno anzi in due interi poemi più lunghi di tutti quelli ch'essi poscia hanno prodotti, non mostra mai nè quanto all'invenzione nè quanto allo stile il menomo languore o isterilimento, ma dura fino all'ultimo colla stessa freschezza, vivacità , efficacia, ricchezza, copia, impeto, così intero di forze, così abbondante di novità , così fervido, così veemente, così mosso ed affetto dalla natura, e dagli oggetti che se gli presentano o ch'egli immagina, come nel principio. Massimamente nella Iliade. Nella quale anzi la ricchezza, varietà , bellezza, originalità e forza dell'invenzione tanto più s'accrescono, quanto più si avanza, ed è maggiore nel fine che nel principio.
E veramente si può dire che Omero fu molto più ricco del suo solo, che tutti gli altri poscia non furono del loro proprio e dell'altrui accumulato insieme. Nè certo, secondo le addotte considerazioni, dee parer poco maraviglioso e notabile, benchè materiale, il dire che i poemi epici d'Omero sono più lunghi di [2982]tutti quelli che da essi in uno o altro modo derivarono (poichè anche il Paradiso perduto e la Messiade derivano pur di là ), e che di essi in una o altra guisa si alimentarono. Massime aggiungendo che in tutta la loro estensione essi sono i medesimi, cioè sempre veri poemi, e sempre uguali a se stessi, il che non si può neppur sempre dire di tutti gli altri sopraddetti.
Par che l'immaginazione al tempo di Omero fosse come quei campi fertilissimi per natura, ma non mai lavorati, i quali, sottoposti che sono all'industria umana, rendono ne' primi anni due e tre volte più, e producono messi molto più rigogliose e vivide che non fanno negli anni susseguenti malgrado di qualsivoglia studio, diligenza ed efficacia di coltura. O come quei cavalli indomiti, lungamente ritenuti nelle stalle, che abbandonati al corso, si trovano molto più freschi e gagliardi de' cavalli esercitati e addestrati, dopo aver fatto un doppio spazio. Tanto che, considerando la freschezza dello stile, delle immagini, della invenzione di Omero nella fine della Iliade, par ch'ei non lasci di poetare [2983]e non chiuda il poema, se non perch'ei vuol così, e per esser giunto alla meta ch'ei s'era prefisso, o perchè ogni opera umana dee pure aver qualche fine, ma che fuori di questo caso, egli avrebbe ancora e spirito e lena per seguire, senza pur posarsi, a correre ancora non interrottamente altrettanto e maggiore, anzi non determinabile spazio. E che l'opera sua riceva il suo termine, ma la ricchezza e copia della sua immaginativa non sia di gran lunga esaurita, anzi sia poco meno che intatta; e che il suo corso finisca, ma non il suo impeto.
E par che la natura ancor vergine dalla poesia (siccome vergine dalle scienze e dalla filosofia ec. che distruggono l'immaginazione e l'illusioni ch'essa natura ispira) le somministrasse in quel tempo tanta copia d'immagini e sentimenti che non avesse quasi alcun fondo, e a rispetto di cui sembri povera e scarsa quella che i più grandi poeti trassero poscia in qualunque tempo dalla natura già molto studiata e imitata.
(16-17. Luglio. 1823.)
Alla p.2974. Cervello (cerebellum), cerveau, cervelle da cerebrum. V. p.3618. Crivello (cribellum come flabellum da flabrum) diminutivo di cribrum. I franc. crible, gli spagn. [2984]criva. Cerebro, celabro, cribro, cribrare ec. per crivellare ec. non sono voci volgari, ma tolte dal latino dagli scrittori. Così lo spagn. celebro, in vece di cui volgarmente dicono sesso. Così pure il nostro moderno e tecnico cerebello. Trivello o trivella (Forcell. in terebra) voci nostre volgari, onde nella Crusca trivellare, sono quasi terebellum o terebella diminutivo del lat. terebra, come cerebellum e cervello di cerebrum. Vecchio, viejo, vieil sono indubitatamente diminutivi di vetus, come pecchia, aveja, abeille da apecula. Forse da vetulus o da veculus volgarmente contratto da vetusculus. Vieux forse è lo stesso che il positivo vetus. Vedi per tutte le soprascritte voci il Forcellini e il Glossario, se hanno nulla a proposito.
(17. Luglio 1823.). V. p.3514. 3557.
Trapano, trapanare, trépan, trépaner - ???????? ec.
(17. Luglio 1823.)
Usitari e altri tali frequentativi o diminutivi da me notati poscia qua e là , sono da aggiungersi a quelli che io notai già tutti insieme per dimostrare che molti verbi hanno il frequentativo in itare senza avere il continuativo in tare, contro il Forcellini che spesso dice quello esser derivato da questo. [2985]
(17. Luglio 1823.)
Se molti continuativi latini non hanno una significazione continuativa del verbo originale, ma uguale o poco diversa da questo, ciò non toglie che la virtù della loro formazione non sia veramente continuativa, e che la proprietà loro non sia tale, benchè non sempre osservata e custodita dagli scrittori latini, e in alcuni verbi non mai, per le ragioni dette altrove. Che se questa obbiezione valesse, ella varrebbe nè più nè meno contro coloro che chiamano quei verbi frequentativi, non trovandosi ch'essi abbiano sempre o tutti un significato diverso da' verbi originali, e varrebbe anche circa quei medesimi verbi in itare ch'io dico esser veramente frequentativi di formazione. P.e. il Forcell. in parito dice ch'egli è frequentativo di paro (e per formazione può infatti esser non meno frequentativo che continuativo), soggiungendo et eiusdem fere significationis. Così in haesito, e spessissimo. Dunque la detta obbiezione farebbe tanto contro i passati grammatici e le passate denominazioni e teorie de' verbi formati [2986]da' participii in us, quanto contro di me e delle mie denominazioni, distinzioni e teorie. Se tali verbi non hanno senso continuativo neanche l'hanno frequentativo. Dunque l'obbiezione non è più per me che per gli altri.
(17. Luglio 1823.)
È notabile che tutte le maniere di verbi frequentativi o diminutivi italiani da me altrove enumerati, come saltellare, salterellare ec. sono immancabilmente e solamente della prima coniugazione, ancorchè il verbo originale e positivo sia d'altra coniugazione, come scrivere, onde scrivacchiare ec.; nè più nè manco che in latino tutti i continuativi e frequentativi o diminutivi (se non forse pochi anomali) del genere ch'io ho preso ad esaminare, da qualunque coniugazione essi vengano; ed anche altri verbi derivativi, sieno diminutt. sieno frequentatt. sieno l'uno e l'altro insieme, ec. di verbi originali ec. con diverse formazioni, che non spettano alla mia teoria, ed istituto, come ustulare, misculare di cui altrove ec. pandiculari, vellicare (v. p.2996. marg.), sorbillo, cantillo, conscribillo ec. cavillor, missiculo, claudico, ec. Anche in francese tali verbi diminutivi ec. e così in ispagnuolo mi par che sieno della 1. coniugazione.
(17. Luglio 1823.)
Scambio del v in g, del quale ho detto altrove. Nuvolo (dal latino nubilum) - nugolo. Pagolo per Pavolo o Paulo (spagnuolo Pablo).
(18. Luglio. 1823.)
Dico che nella formazione dei continuativi da' verbi della prima, l'ultima a del participio si cambia in i. Da mussatus mussitare. Ed aggiungo che i verbi della prima non hanno se non questo o continuativo o frequentativo, e non un altro frequentativo che verrebbe a essere in ititare. Si eccettuino [2987]i verbi il cui participio è dissillabo, come do, flo, no-datus, flatus, natus, i quali non mutano l'a in i, ma la conservano. Datare, flatare, natare. E da questi participii si potrà anche fare un distinto frequentativo in itare, sebbene ora non mi sovvenga esempio al proposito.
(18. Luglio. 1823.)
Alla p.2677. Anche il volgo e il discorso familiare spagnuolo usa questo idiotismo del singolare dice per lo plurale dicono. Nella Historia del famoso Predicador Fray Gerundio de Campazas s'introduce un contadino chiamato Bastian Borrego a usar queste frasi plebee disque, dizque per dicenque.
(18. Luglio 1823.)
Alla p.2976. ????????, ?????????, ???????, ????????, ???????, ??????? e ?????? sono tutti chiamati dai Grammatici participii perfetti della voce attiva di ??????, o ???? ec., e non della media, ma contratti dai due primi.
(18. Luglio 1823.)
La gioventù non era fra gli antichi un bene inutile, e un vantaggio di cui niun frutto si potesse cavare, nè la vecchiezza era un incomodo e uno [2988]svantaggio che niun bene, niun comodo, niun godimento togliesse, e niuna privazione recasse seco. Quindi e molto meno frequente che a' tempi nostri era il numero di quelli che in gioventù si uccidevano, e molti più vecchi suicidi si trovano commemorati nell'antichità che non si veggono al presente. Come dire Pomponio Attico e molti filosofi greci e romani. Perocchè al presente le contrarie cagioni producono effetto contrario. Il giovane moltissimo desidera e nulla ha, neppure ha come distrarre, divertire, ingannare il suo desiderio, e occupare la sua forza vitale, adoperarla, sfogarla. Quindi più giovani suicidi oggidì che fra gli antichi non pur giovani solamente, ma giovani e vecchi insieme. Il vecchio nulla perde per la vecchiezza, e poco, o meno ferventemente e impetuosamente e smaniosamente, desidera. Quindi è così raro un vecchio suicida oggidì, che parrebbe quasi miracolo. E pure il giovane che si uccide, privasi della gioventù, e rinunzia a una vita, ch'ei si può ancora promettere, [2989]di molti anni. Il vecchio si priva della vecchiezza (qual privazione Dio buono) e rinunzia a pochi anni o mesi di vita. Nonpertanto per mille giovani suicidi appena e forse neanche si troverà oggi un solo vecchio suicida, e questo, se pur si troverà , sarà forse tale per qualche estrema disgrazia, in qualche caso ove la vita fosse già disperata, e per salvarsi da una morte più trista, e sicura. Ma neanche nell'estreme sventure è costume de nostri vecchi il ricorrere volontariamente alla morte. Applicate queste considerazioni a quello che ho detto altrove circa l'amor della vita nei vecchi, l'amore e la cura della vita crescenti in proporzione che per l'aumento dell'età scema il valore d'essa vita.
(18. Luglio 1823.)
Alla p.2870. Come la nazion francese è tra tutte quelle europee che si chiamano meridionali quella che più partecipa del settentrionale sì per clima, come per indole, costumi eccetera41 così la lingua francese è di tutte le figlie della latina, o vogliamo dire delle meridionali colte, quella che ha più del settentrionale sì per la natura, asprezza ec. dei suoni, come per [2990]la proprietà ed indole della dicitura, forma, struttura ec. E si può dire che per l'uno e per l'altro rispetto essa lingua, siccome la nazione che la parla tenga il mezzo, e sia quasi un grado e un anello fra le meridionali e le settentrionali europee colte. Dico per l'uno e per l'altro rispetto, cioè per li suoni e per l'indole. Le quali due cose sono sempre analoghe e corrispondenti fra loro, cioè tale è sempre l'indole di una lingua perfetta qual è quella de' suoni materiali ch'ella adopera. E la varietà medesima che si trova fra i suoni di due lingue d'una medesima classe, o di due lingue di classi diverse, o delle lingue di due classi (come settentrionale e meridionale), si troverà sempre fra i caratteri e i geni delle medesime lingue o classi, purch'elle sieno perfette, e ben corrispondenti all'indole della nazione, il che sempre accade quando una lingua è perfettamente sviluppata, e senza di che non può es...
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