[Pagina precedente]...quanto giovanile. E forse che l'aspetto di Giove nelle antiche immagini è brutto? Anzi bellissimo, ma non giovane. [2969]Nè perciò men bello di Apollo giovane, nè di Mercurio più giovane ancora, nè di Amore fanciullo. La giovanezza in questi tali casi cagionerebbe la bruttezza perchè sarebbe sconveniente. Così fanno tutte l'altre qualità nello stesso caso per la stessa ragione. Dunque la giovanezza come tutte l'altre qualità , e può essere sconveniente, ed essendo, cagiona bruttezza. Dunque ella come tutte l'altre non cagiona bellezza se non quando conviene. Dunque la gioventù non è cagione nè parte di bellezza assolutamente nè per se, ma relativamente, e solo in quanto ella conviene, e ciò considerandola eziandio in quelle sole spezie di cose che possono parteciparne, e di più dentro i termini d'una medesima specie. Dunque la gioventù, filosoficamente ed esattamente parlando, non appartiene per se alla bellezza più di qualsivoglia altra qualità ; e, come tutte l'altre, è resa propria a formar la bellezza, non da altro che da una cagione a lei estrinseca e diversa, e per se variabilissima e incostante, cioè dalla [2970]convenienza. La quale ora ammettendo la gioventù, la rende propria al detto uffizio, ora escludendola, ve la rende al tutto inabile.
Potrà dirsi che, se non altro la bellezza giovanile è maggiore p.e. della senile. Potrei rispondere ch'ella è più piacevole, ma non già maggior bellezza per se, non essendo maggior convenienza. Il fatto però è questo. L'ordine universale della natura, indipendentemente affatto dalla bellezza, porta che le forme e le facoltà delle specie capaci di gioventù e di vecchiezza, si trovino nella maggior pienezza conveniente alla rispettiva specie e nella maggior perfezione relativa ad essa specie, nel tempo della gioventù perfetta di ciascun individuo. Quindi non assolutamente, ma relativamente all'ordine attuale della natura, si può dir che p.e. la forma dell'uomo perfettamente giovane è più perfetta di quella del vecchio, e la più perfetta di tutte quelle delle quali l'uomo è capace. Laonde la bellezza della sua forma giovanile si potrà dir maggiore di quella della senile. [2971]Ma questo maggiore è accidentale, e propriamente non appartiene alla bellezza, ma a quel soggetto in cui ella si considera. Perocchè la forma giovanile a cui essa bellezza appartiene, è per rispetto alla natura dell'uomo, e non per rispetto al bello, più perfetta della senile. E quindi, a parlare esattamente, nasce che la bellezza giovanile dell'uomo, non sia bellezza maggiore della senile, ma appartenente ad una forma che è la più perfetta di cui l'uomo sia capace, cioè alla giovanile. Onde la perfezione, e la maggior perfezione, non è qui propria della bellezza, ma del soggetto a cui ella appartiene accidentalmente, cioè della forma giovanile dell'uomo. E però la forma giovanile non può per se entrare nella composizione di quel che si chiama bello ideale; giacchè essa forma può ben essere il soggetto del bello (siccome può anche non essere, e spessissimo non è), ma non è già esso bello, e la bellezza non gli appartiene che accidentalmente, ed è del tutto [2972]estrinseca e diversa alla di lei natura. E conchiudesi che la bellezza giovanile è bellezza relativamente alla forma giovanile, ma non assolutamente, nè in quanto giovanile, dandosi bellezza scompagnata dalla gioventù, anche nella medesima specie. Sicchè la bellezza giovanile è come tutte l'altre relativa, e non assoluta. Relativa cioè alla forma giovanile. Tanto è lungi che la gioventù sia per se stessa una qualità bella, quando non è che il soggetto della bellezza, e può esserlo e non esserlo, e la bellezza può stare in una medesima specie con e senza la giovanezza.
(14-15. Luglio. 1823.)
Il tema di poto dev'esser po (fatto da ??????, come do da ??????, no da ??????), di cui potus, come il tema di nato è no, di cui natus.
(15. Luglio. 1823.)
Prisciano riconosce il verbo legito da lego, invece di lecto o di lectito che pur sussistono. Questo legito conferma quello ch'io ho detto altrove in proposito di [2973]agito, cioè che gli antichi, anzi originali, propri e regolari participii di questi tali verbi fossero p.e. agitus, legitus, docitus, onde per sincope agtus, legtus, e in ultimo actus, lectus, doctus. E ci dimostra evidentemente l'originale, primitivo e perduto participio di lego, cioè legitus. E non ha che far con rogito, come dice il Forcell. o Prisciano stesso appo lui, il quale non viene da rogitus, ma da rogatus, come mussito da mussatus, e come ho provato largamente altrove. Giacchè il tema di rogito, cioè rogo appartiene alla prima coniugazione, e non alla terza come lego, nè alla seconda come doceo, e però la formazione del suo continuativo o frequentativo è soggetta a un'altra regola, da me altrove stabilita. Eccetto se rogo non avesse anticamente avuto un participio anomalo rogitus (come domo domitus), del che mi pare aver detto altrove, inducendomi in questo sospetto la voce rogito, cioè rogato (quasi un aggettivo neutro sostantivato), la qual voce è latino-barbara (v. il Glossar. Cang.) [2974]e italiana.
(15. Luglio 1823.)
Urito presso Plauto, se questa voce è vera, dimostra il perduto e regolare participio uritus di uro, in vece di ustus, onde ustulo ec.
(16. Luglio 1823.). V. p.2991.
Alla p.2864. Noi abbiamo anche i positivi frate e suora, cioè frater e soror. I francesi non hanno che i positivi. Frayle spagnuolo, cioè frate religioso sembra essere un diminutivo di frater, cioè, non che sia diminutivo in ispagnuolo, ma che sia venuto da fratellus, o dall'italiano fratello.
(16. Luglio 1823.). V. p.2983. fine.
Se la voce eructus appresso Gellio è vera, essa non si potrebbe considerare se non come un participio d'un verbo anteriore ad eructo e ructo, dai quali si fa ructatus ed eructatus, come da poto potatus, e non potus, il qual potus dimostra un verbo originario di poto. Ructus us eziandio par che dimostri un verbo originario di ructo e di eructo, formandosi, come altrove ho notato, questi sostantivi verbali della 4. declinazione da' participi in us [2975]de' loro verbi originali, sicchè da ructo si farebbe ructatus us, non ructus. Così motus us viene da moveo, non da moto as, potus us da po, non da poto ec. Queste considerazioni mi portano a sospettare che ructo ed eructo siano continuativi d'un tema perduto, a cui spettino eructus a um appo Gellio, e ructus us onde ructuo e ructuosus. Anche eructuo vedi nel Forcell. in Eructo. Al qual sospetto mi spinge massimamente la forma propria e materiale di ructare ed eructare tutta continuativa.
(16. Luglio 1823.)
Alla p.2786. marg. Anche ????? potrebb'esser preterito medio o di ????, come ????? di ???? da ????, o di ????? contratto, come ????? da ?????? di ????, ????? da ?????? di ??? ec. Non si direbbe però ?????? nè ?????? ec. come ??????, ??????, ??????, ma ???????? ec. attivo, o attivi o medii che sieno ?????, ????? ec. che non si trovano, ch'io sappia, se non mascolini o neutri. I quali participii molti li chiamano attivi e contratti nel modo che ho detto alla p.2786. e 2788. marg. (e v. Schrevel. in ?????) ma altri, e credo con più ragione, li chiamano medii, e contratti nel modo detto qui di sopra. L'attivo participio perfetto di ???? sarebbe non ?????, ma ????? o ????? come ???????? di ?????. Di ????? però sarebbe ??????? o ???????, come [2976]ho detto a pag.2776. ovvero anche ??????? o ???????, come ?????? nè più nè meno, il quale fa ??????.
(16. Luglio 1823.). V. p.2987.
Benchè materiale, non sarà perciò vana l'osservazione che i poemi d'Omero, massime l'Iliade, avuto rispetto alla qualità della lingua greca, la quale in un dato numero di parole o di versi dice molto più che le lingue moderne naturalmente e ordinariamente non dicono, i poemi d'Omero, ripeto, sono i più lunghi di tutti i poemi Epici conosciuti nelle letterature Europee. Paragonati all'Eneide, ch'è poema scritto nella lingua più di tutte vicina alla detta facoltà della lingua greca, oltre ch'essi sono composti di 24 libri ciascuno, laddove l'Eneide di soli dodici, si trova che avendo l'Eneide 9896 versi, l'Odissea n'ha 12096, e l'Iliade 15703, il qual computo l'ho fatto io medesimo. Notisi che i versi di Virgilio sono della stessa misura che quelli di Omero. Questo parallelo così esatto non si potrebbe fare coi poemi scritti nelle lingue moderne, sì per la differente misura [2977]de' versi e quantità delle sillabe che questi contengono, sì molto maggiormente perchè le lingue moderne hanno bisogno d'assai più parole che non la lingua greca e latina per significare una stessa cosa. Onde quando anche v'avesse qualche poema epico moderno che di parole eccedesse quelli d'Omero, credo però che tutti debbano consentire che nel numero, per così dire, o nella quantità delle cose niuno ve n'ha che non sia notabilmente minore di questi, o certo dell'uno d'essi, cioè dell'Iliade.
Ora ella è pur cosa mirabile ad osservare che lo spirito e la vena di Omero, l'uno tanto vivido gagliardo e fervido e l'altra così ricca e feconda in ciascheduna parte, abbiano potuto reggere, lascio stare in due poemi, ma in un poema medesimo, per così lungo tratto. Perciocchè tutti gli altri poeti epici, avendo tolto qual più qual meno, quale direttamente e quale indirettamente, qual più visibilmente e qual più copertamente da lui, e successivamente gli uni dagli altri di mano in mano, si vede tuttavia che non hanno [2978]potuto reggere a un corso così lungo, per vigorosi e vivaci che fossero, e sonosi contentati d'una carriera assai più breve, e bene spesso prima di giungere al termine di questa medesima, hanno pur lasciato chiaramente vedere che si trovavano affaticati, e che la lena e l'alacrità veniva lor manco, tanto più quanto più s'avvicinavano alla meta39. E Virgilio, il quale che cosa non ha tolto ad Omero?, nella seconda metà della sua Eneide riesce evidentemente languido e stanco, e diverso da se medesimo, se non nella invenzione40, certo però nell'esecuzione cioè nelle immagini, nella espansione e vivacità degli affetti e nello stile, il che non può esser negato da veruno che ben conosca la maniera, la poesia, la lingua, la versificazione di Virgilio, anzi a questi tali la differenza si fa immediatamente sentire: e vedesi che l'immaginazione di Virgilio era per la lunga fatica illanguidita, raffreddata, e sfruttata; non rispondeva all'intenzione del poeta; non [2979]gli ubbidiva; egli poetava già per instituto e quasi debito, per arte e per abitudine, arte e abitudine che in lui erano eccellentissime, e possono ai meno esperti sembrare impeto ed ???? poetica, ma non sono, e non paiono tali ai più accorti, i quali in quegli ultimi libri desiderano la vena, la ????????, l'alacrità di Virgilio. L'invenzione doveva essere stata da lui tutta concepita e disposta fin dal principio, com'è naturale in ogni buon poeta, e massime in un poeta di tant'arte e maestria. Quindi s'ella nel fine non è inferiore al principio, niuna maraviglia. L'immaginazione era così fresca quando inventava il fine del poema, come quando inventava il principio. Ma non minor forza, vivezza, attività , prontezza, fecondità d'immaginativa si richiede allo stile, ossia all'esecuzione che all'invenzione. Anzi si può dire che lo stile poetico, e nominatamente quello di Virgilio, sia un composto di continue, innumerabili e successive invenzioni. Ogni metafora, ogni aggiunto che abbia quella mirabile [2980]e novità ed efficacia ch'e' sogliono avere in Virgilio, sono tante particolari e distinte invenzioni poetiche, come sono invenzioni le similitudini, e richiedono una continua energia, freschezza, mobilità , ricchezza d'immaginazione, e un concepir sempre vivamente e quasi sentire e vedere qualsivoglia menoma cosa che occorra di nominare o di esprimere eziandio di passaggio e per accidente. Anche in ogni altra parte dell'esecuzione, cioè nelle immagini ec. e nella vena degli affetti anche in situazioni che per la invenzione sono patetichissime ec. Virgilio ne' sei ultimi libri è in...
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