[Pagina precedente]...sere che una lingua, ancorchè [2991]colta, abbia perfettamente sviluppato, o conservi, il suo vero, conveniente, naturale e proprio carattere.
(19. Luglio 1823.)
Alla pag.2974. Intorno a questo verbo urito, e al verbo quaerito di cui diffusamente altrove, e ad altri simili, è da discorrere come segue. Puoi vedere la p.3060 1. e le note grammaticali del Mai a Cic. de Rep. I. 5. p.18. Gli antichi latini dissero frequentissimamente s per r. Veggasi il Forcell. in S, ed R, e in Quaeso. Quindi, dicendo essi uso per uro, dissero eziandio ussi per uri preterito perfetto (raddoppiando la s dopo vocale lunga, del qual uso v. Quintil. ap. Forcell. in S), ed usitum per uritum che sarebbe stato il vero supino di uro. O quando anche non iscambiassero la s e la r nelle altre voci di uro, le scambiarono certo nel perfetto nel supino e nel participio in us, per modo che mancando il perfetto il supino e il participio regolare, non restò in uso se non il detto ussi ed usitus e usitum, contratto però questo in ustus e ustum, come positus-postus, e come quaestus us e chiesto, quisto ec. da quaesitus (del che vedi la p.2894-5.). [2992]Similmente da haereo, haurio, sia che dicessero anticamente, haeseo, hausio, o sia come si voglia, certo è che in luogo dei regolari haeri o haerui, haeritum haeritus, hauri o haurii o haurivi, hauritum, hauritus, fecero haesi, hausi hausitum hausitus, che oggi rimangono in luogo di quelli, contratto però hausitum ed hausitus in haustum ed haustus, come appunto usitus in ustus. E fecero similmente haesitus il quale oggi non rimane, ma è dimostrato da haesitare, che regolarmente dovrebb'essere haeritare. Haesum, onde haesurus ec. o è contratto diversamente o anomalo, come haesi per haesui (o haerui), il quale però fu trovato da Diomede in non so quale antico (Forcell. Haereo fin.). Così dite di hausum ed hausus. Ma in conferma di questo mio discorso, e di tutto quanto io dico circa questi tali continuativi, come urito, quaerito, ed anche legito, agito e tanti altri che non sembrano poter derivare da participii, e in conferma di quanto altrove ho ragionato degli antichi e regolari participii e supini ora perduti, ma dimostrati in parte da continuativi e frequentativi, eccovi appunto [2993]haurivi o haurii, hauritu, hauriturus, hauritus (come appunto uritus perduto, onde uritare; quaeritus perduto, onde quaeritare, querido, chéri ec.) usati anch'essi in vece di hausi, haustu, hausturus (o, come Virg. hausurus), haustus; bensì da autori, la più parte, recenti, perchè, come ho detto, l'antica pronunzia preferiva la s. Ma la regolare era pur questa, e il vederla usata da' più moderni e più rozzi, e il vederla convenire coi continuativi antichi (come urito, quaerito), i quali da essa e non d'altronde derivano, persuade ch'ella fosse conservata continuamente nelle bocche del volgo, fino a passare nelle lingue moderne, giacchè p.e. querido chéri ec. non sono altro che il regolare e originario quaeritus per quaesitus, onde l'antico quaeritare proprio de' Comici Plauto e Terenzio, il qual verbo fa fede al detto participio, che conservatosi nelle lingue moderne, è perduto nel latino.
Del resto, io non so, come ho detto, se gli antichi dicessero anche uso, haeseo, hausio ec. per [2994]uro ec. come dissero ussi, hausi, haesi ec. per uri perfetto, hauri o haurii ec. Ben so che siccome dissero quaesii, quaesivi, quaesitus, quaesitum per quaerii, quaerivi, quaeritus, quaeritum che sono affatto perduti, così dissero quaeso per quaero, e tutto questo verbo profferirono colla s siccome colla r, benchè questa in molte voci di quaero non sia perduta, anzi col tempo sia rimasta in esse voci la sola pronunzia della r, e non quella dell's. Dalle quali cose è seguìto che di quaero e quaeso si facciano dai lessicografi ec. due verbi, essendo un solo, e che quaero si faccia anomalo (quaero is, sii o sivi, situm) e quaeso difettivo (quaeso is, ii o ivi), quando in realtà il primo (volendoli distinguere, che non si dee) sarebbe difettivo, e il secondo intero e regolarissimo. Ma tornando al proposito, questo quaeso mi persuade che si dicesse anche haeseo, hausio e così in ogni altra voce; e così pure in molti altri verbi de' quali si dee discorrere nel [2995]modo stesso che si è fatto di uro, haereo, haurio, quaero.
(19. Luglio. 1823.)
Alla p.2893. Chiedere vien da quaerere, ed è propriamente (benchè con diverso significato) lo stesso che il nostro chierere, siccome fedire verbo difettivo italiano, onde fiedo, fiede ec. vien dal lat. ferire, ed è propriamente lo stesso che il nostro fierere o ferere, onde fiéro, fiére, fére (colla e larga) ec. usato dagli antichi nostri in alcune voci in cambio dell'ital. ferire. V. la Crusca e il Buommattei ec.
(20. Luglio. 1823.)
Alla p.2891. Il Fischer nella prefazione alla Grammat. Greca del Weller, ed. Lips. 1756. dice che i pleonasmi d'Omero derivano dalla lingua ebraica. Che che sia di questa proposizione, certo è che quel pleonasmo di ???????? ???? e simili, da me notato altrove, e non osservato dal Fischer, può servire a spiegar molti passi della Scrittura nei quali la parola giorno non serve che ad una perifrasi, onde [2996]p.e. in die irae tuae, non vale altro che in ira tua; cosa finora, ch'io sappia, non veduta dagl'interpreti, i quali p.e. pensano che quel dies significhi il giorno del giudizio ec.
(20. Luglio. 1823.)
Alla p.2815. A questa categoria di verbi (che forse si potrebbero chiamare continuatt. irregolari, tutti, come viso is) spettano senza dubbio i seguenti. Occupo da ob e capio. Veggasi la pag.3006-7. Obstino da ob e teneo, interposta la s, come in ostendo che anticamente dovette dirsi obstendo ed esser lo stesso che il più moderno verbo obtendo. Nè è maraviglia che la prep. ob sia fatta seguire da una s nella composizione per proprietà di lingua, o ch'esistesse anche anticamente una prep. obs per ob; giacchè vediamo appunto ab e abs, e nella composizione preporsi sempre alle voci comincianti per t la prep. abs e non ab. Così anche fuor di composizione, quando non s'usi la prep. a: perocchè convien dire p.e. o a te, o abs te, non ab te. V. Forcell. in A, ab, abs, e in Abs. V. p.3001. fine. 3696. Tornando al proposito è manifesto [2997]che obstino, obstinatus vien da teneo, come ne viene pertinax, pertinacia ec. che spettano alla stessa significazione. La e è cangiata in i come appunto in pertinax e ne' composti ordinari contineo, obtineo ec. Ed è notabile che laddove gli altri verbi di questa categoria son fatti, come ho detto, da verbi della terza, questo che indubitatamente appartiene a essa categoria, e non può esser di senso più continuativo, è fatto da un verbo della seconda. V. p.3020. Aucupo ed aucupor da avis e capio, come occupo, e come Nuncupo da nomen e capio, se però non si vuole che vengano da auceps aucupis quanto alla derivazione immediata. Anticipo da ante e capio. Participo da pars e capio, come anticipo, se non si vuol che venga da particeps cipis. Vociferor aris (forse anche vocifero as) da vox e fero fers. Opitulo e opitulor da ops e tuli di fero o di tollo di cui forse è propriamente questo perfetto (v. Forcell. in Tollo fin.), o piuttosto dall'antico tulo, tulis, tetuli, latum, verbo della terza, di cui v. Forcell. in tulo.
[2998]In caso ch'opitulo fosse fatto da tuli perfetto, ciò non sarebbe senza esempio in questa categoria di verbi. Accubo ec. è dal perf. accubui di accumbo. Fors'anche participo, anticipo, e così significo, aedifico, e gli altri di cui a pag.2903. sqq. vengono dai perfetti cepi, e feci di capio e facio, mutato l'e in i per virtù della composizione, (come p.e. in colligo, corrigo, conspicio ec. ec. da lego, rego, specio) e mutata la desinenza; onde da ciò venga che in essi verbi manchi la i radicale de' loro temi, siccome manca in molte voci formate dai detti perfetti, p.e. cepero, feceram ec. Ma non lo credo, perocchè auspico e suspico che sono della stessa forma di significo, participo ec. non possono venire dal perfetto di specio, il quale è spexi, se pur non si volesse supporre un antico e ignoto speci, analogo a feci, jeci ec.
Del resto i verbi da cui derivano i soprascritti, hanno anche i loro continuativi fatti da participii, cioè capto e tento.
Aspernor aris e asperno as (giacchè aspernor si trova anche in senso passivo) da ad e sperno is. (20. Luglio. 1823.). Consterno, as, avi, atum (il Forc. per errore di stampa stravi atum, come apparisce dagli esempii) da sterno is, e cum, ovvero da consterno is. Crepo as, forse da crepo is. V. Forc. in Crepo, fine. V. p.3234.
[2999]Alla p.2906. Bell'effetto fanno nell'Aminta e nel Pastor fido, e massime in questo, i cori, benchè troppo lambiccati e peccanti di seicentismo, e benchè non vi siano introdotti se non alla fine e per chiusa di ciascun atto. Ma essi fanno quivi l'offizio che i cori facevano anticamente, cioè riflettere sugli avvenimenti rappresentati, veri o falsi, lodar la virtù, biasimare il vizio, e lasciar l'animo dello spettatore rivolto alla meditazione e a considerare in grande quelle cose e quei successi che gli attori e il resto del dramma non può e non dee rappresentare se non come particolari e individue, senza sentenze espresse, e senza quella filosofia che molti scioccamente pongono in bocca degli stessi personaggi. Quest'uffizio è del coro; esso serve con ciò ed all'utile e profitto degli spettatori che dee risultare dai drammi, ed al diletto che nasce dal vago della riflessione e dalle circostanze e cagioni spiegate di sopra.
(21. Luglio. 1823.)
[3000]Delle cose veramente ridicole nella società o negl'individui è ben raro trovar chi ne rida. E s'alcuno ne ride, difficilmente trova il compagno che l'aiuti a farlo, e che gli dia ragione, o che pur senta la causa del suo riso. Gli uomini per lo più ridono di cose che in effetto son tutt'altro che ridicole, e spesso ne ridono per questo appunto che non sono ridicole. E tanto più ne ridono quanto meno elle son tali.
(21. Luglio. 1823.)
Alla p.2922. fine. Alcune volte noi diciamo volere anche di cose animate, anche degli uomini, ma relativamente a ciò che non dipende dalla lor volontà , o che non può dipender da volontà , o che anche è contrario affatto alla lor volontà ; e lo diciamo non solo per ischerzo, ma eziandio seriamente, in virtù dell'idiotismo che ho preso a illustrare. P.e. il tale non vuole ancora guarire, cioè, ancor non guarisce: e il verbo volere ridonda. Qua si dee riferire un luogo di Platone nel Sofista ed. Astii t. 2. p.246. [3001]v. 7. A. dove ???????? ?? ??????? ?????? è lo stesso che ???????? ?? ??????, e ben lo rende l'Astio nec numquam fore ut discat, ridondando elegantemente ???????. Se però non si vuol dire che in questo luogo equivalga a ???????, appunto come il nostro volere nei casi specificati di sopra, e in ciò pure sarà notabile la conformità del nostro idiotismo coll'attico.
(21. Luglio. 1823.)
Alla p.2864. Stipula, da stipa voce inusitata, restando il diminutivo, dal quale noi stoppia, i francesi esteuble onde éteule. V. Forcell. in stipula, stipa, stipulor ec. e il Gloss. se ha nulla.
(21. Luglio 1823.)
Continuativi barbari. Dilatar spagn. da differo dilatus. V. la Crusca. I francesi dilayer. Trovo nel moderno spagn. dilatar anche per denunziare, accusare, da defero-delatus. Decretare, decretar, décréter da decerno-decretus. Diviser franc. da divido-divisus. Libertar spagn. quasi liberitare o liberatare. Tal contrazione non è maravigliosa in questo caso, e fors'è antica. Libertus a non sembra che contrazione di liberatus a. Vedi Forcell. e Glossar. se hanno nulla.
(21. Luglio. 1823.)
Alla p.2996. fine. Che obstino venga da obs e teneo v. Forcell. in obstinatus principio e in obscenus principio. Se anche obscenus viene da obs, notisi l'analogia. Perocchè nella composizione, alle parole [3002]comincianti per c, q, t non si premette mai la prep. a o ab ma sempre abs. Così dunque se obscenus viene da cano o da caenum, bene sta che non si dica obcenus ma obscenus. Oscillo, secondo m...
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