[Pagina precedente]...zioni, affezioni, costumi, usi e fatti? che ha o ebbe o potrà mai aver di comune la poesia con esso loro?
Perdóno dunque se il poeta moderno segue le cose antiche, se adopra il linguaggio e lo stile e la maniera antica, se usa eziandio le antiche favole ec., se mostra di accostarsi alle antiche opinioni, se preferisce gli antichi costumi, usi, avvenimenti, se imprime alla sua poesia un carattere d'altro secolo, se cerca in somma o di essere, quanto allo spirito e all'indole, o di parere antico. Perdóno se il poeta, se la poesia moderna non si mostrano, non sono contemporanei a questo secolo, poichè esser contemporaneo a questo secolo, è, o inchiude essenzialmente, non esser poeta, non esser poesia. Ed ei non si può essere insieme e non essere. (11. Luglio. 1823.). E non è conveniente a filosofi e ad un secolo filosofo il richieder cosa impossibile di natura sua, e contraddittoria in se stessa e ne' suoi propri termini.
(12. Luglio 1823.)
[2947]Intentare lat. da intendo, onde il francese intenter e quello che noi pur diciamo intentare un'accusa, un processo e simili. V. il Glossar. Cang. Participio intentatus. Intentare de' nostri antichi (v. la Crus. in intentare e intentazione) e intentar spagnuolo, da tento colla prepos. in, e vale lo stesso che tentare. Questo composto, tutto alla latina, ma tutto diverso dall'altro intentare sopraddetto, io lo credo venuto, se non altro, dal latino volgare, poichè m'ha sapor di vera latinità, e non mi riesce verisimile che sia stato creato nelle lingue vernacole, pochissimo usate a crear nuovi composti con preposizione il qual uso è tutto greco e latino. Participio intentato, intentado, o intentatus, cioè tentatus (Similmente obtento, se questa voce è vera, viene da ob-tineo, laddove ostento da os-tendo, antic. obs-tendo, [v. la p.2996.]). Diverso da questo è l'altro participio intentatus che significa il contrario, cioè non tentatus, fatto non colla prep. in, ma colla particella privativa del medesimo suono in, il quale participio noi pure l'abbiamo, e viene ad essere un terzo participio intentatus diverso per origine e per significato, benchè di suono in ogni cosa conforme ed uguale, dai due sopraddetti. Similmente inauditus, insuetus ed [2948]altri tali, vagliono non auditus, non suetus, ed altresì l'opposto, cioè suetus, auditus, da insuesco ed inaudio.
(12. Luglio. 1823.)
Quanto mirabile sia stata l'invenzione dell'alfabeto, oltre tutti gli altri rispetti e modi, si può anche per questa via facilmente considerare. È cosa osservata che l'uomo non pensa se non parlando fra se, e col mezzo di una lingua; che le idee sono attaccate alle parole; che quasi niuna idea sarebbe o è stabile e chiara se l'uomo non avesse, o quando ei non ha, la parola da poterla esprimere non meno a se stesso che agli altri, e che insomma l'uomo non concepisce quasi idea chiara e durevole se non per mezzo della parola corrispondente, nè arriva mai a perfettamente e distintamente concepire un'idea, anzi neppure a determinarla nella sua mente in modo ch'ella sia divisa dall'altre, e divenga idea, oscura o chiara che sia, nè a fissarla in modo ch'ei possa richiamarla, riprenderla, raffigurarla nella sua mente e seco stesso quando che sia; non arriva, dico, a far questo mai, finch'egli non [2949]ha trovato il vocabolo con cui possa significar questa idea, quasi legandola e incastonandola; o sia vocabolo nuovo, o nuovamente applicato, se l'idea è nuova, o s'egli non conosce la parola con cui gli altri la esprimono, o sia questo medesimo vocabolo che gli altri usano a significarla.
Tutto ciò ha luogo in ordine ai suoni elementari della favella, per rispetto all'alfabeto. L'alfabeto è la lingua col cui mezzo noi concepiamo e determiniamo presso noi medesimi l'idea di ciascuno dei detti suoni. Quegli che non conosce l'alfabeto, parla, ma non ha veruna idea degli elementi che compongono le voci da lui profferite. Egli ha ben l'idea della favella, ma non ha per niun conto le idee degli elementi che la compongono: siccome infinite altre idee hanno gli uomini, degli elementi e parti delle quali non hanno veruna idea nè chiara nè oscura che sia separata dalla massa delle altre: e questo appunto è il progresso dello spirito umano; suddivider le idee, e concepir l'idea delle parti e degli elementi delle medesime, conoscere [2950]che quella tale idea ch'egli teneva per semplice, era composta, o scompor quella idea ch'era stata semplice per lui finallora, e scompostala concepir l'idee delle parti di essa, sia di tutte le parti, sia d'alcuna. Nè altro è per l'ordinario una nuova idea37, che una porzione d'idea già posseduta, nuovamente separata dalle altre porzioni della medesima, e nuovamente determinata in modo ch'ella sussista da se, e sia idea da se, e da se si concepisca.
Or questa determinazione si fa col mezzo della lingua, cioè con un vocabolo nuovo o nuovamente applicato. E non è difficilissimo il farlo, perocchè la lingua è già trovata e posseduta, e l'uomo ha chiare idee degli elementi che la compongono, cioè de' vocaboli, e facilmente si aggiunge alle cose trovate.
Ma per determinare gli elementi della voce umana articolata, l'unica lingua, come ho detto, è l'alfabeto. Or questa lingua non era trovata ancora, e niuna idea se ne aveva. Quindi niun mezzo [2951]di determinare presso se stesso le idee degli elementi di detta voce; e quindi infinita difficoltà di concepir queste idee e di fissarle nella propria mente; cioè di suddivider l'idea della voce, e stabilire nel proprio intelletto le idee separate delle di lei porzioni.
A noi già istruiti dell'alfabeto, niuna difficoltà reca il concepire determinatamente l'idea di ciascun suono di nostra voce, distintamente l'uno dall'altro. Ma supponghiamo, come ho detto, un uomo non istruito dell'alfabeto, quali sono i fanciulli e gl'illetterati, e senza insegnargli l'alfabeto, nè dargliene veruna idea (s'è possibile che nel presente stato di cose, un uomo, benchè ignorante, niuna lontana e confusa idea possegga dell'alfabeto), comandiamogli ch'egli da se risolva la sua propria voce nei suoni che la compongono, e dica quanti e quali. Già questa sola proposizione moltissima luce gli darà, la qual non avevano i primi inventori dell'alfabeto, perocch'egli intenderà che la sua voce è composta di parti diverse l'una dall'altra, e concepirà l'idea della divisibilità della medesima. Idea difficilissima [2952]a concepire, e molto più quella, che tali parti si possano determinare ciascuna da se, e concepire distintamente l'una dall'altra. A ogni modo, dopo tutte queste idee preliminari, e dopo aver fatto così grandi e difficili passi verso l'invenzione dell'alfabeto, si può quasi certamente credere ch'egli in niun modo riuscirà nè a trovare e concepire quali parti ed elementi compongano il suono della sua voce, nè quando anche trovasse e concepisse la qualità e diversità scambievole di questi elementi, riuscirà a determinare e fermare appo se stesso l'idea di ciascuno di loro, non avendo i segni con cui significarli, e rappresentarli distintamente a se stesso, ed a cui riferire le sue proprie idee; nè formerà per niun modo il pensiero che siccome l'altre idee si rappresentano e determinano co' vocaboli, e così determinate e rappresentate, ad essi vocaboli si riferiscono, così anche quelle de' suoni elementari si possano significare e determinare con altri segni, cioè con quelli dell'alfabeto, ed a questi riportare [2953]colla mente. Imperciocchè questo appunto è quello che noi facciamo, senz'avvedercene: rapportiamo ciascun suono elementare al corrispondente carattere dell'alfabeto, e per questo mezzo ne concepiamo chiaramente e determinatamente l'idea distinta e separata, sempre che ci occorre, e la richiamiamo e riprendiamo a piacer nostro. Così facciamo dell'altre idee rispetto alle parole.
Ed è notabile che in questo secondo caso, noi rapportiamo l'oggetto della nostra idea alla parola che lo significa, o pronunziata o scritta. Gli uomini avvezzi alla lettura, sogliono per lo più rapportarsi al vocabolo scritto, e concepir tutt'insieme l'idea di ciascuna cosa, del vocabolo che lo significa, e della forma materiale in ch'egli si scrive. V. p.3008. Ma gl'illetterati e i fanciulli si rapportano semplicemente al vocabolo pronunziato, e ciò basta a concepire l'idea determinata e chiara di qualsivoglia cosa il cui vocabolo si conosca, e di qualsivoglia vocabolo il cui significato ben s'intenda. Perocchè ciascun vocabolo anche [2954]semplicemente considerato nella sua profferenza, nella qual solamente possono considerarlo gl'illetterati, ha tanto corpo, e per così dire persona, e tanta consistenza, che basta a ferire i sensi, e quindi essere ritenuto nella memoria, e distinto col pensiero dagli altri vocaboli.
Il che non accade circa i suoni della voce. Perocchè esso suono è il vocabolo di se medesimo; e quindi l'idea del suono e del vocabolo che lo significa essendo una cosa stessa, e non potendosi l'uno riferire all'altro, la mente non è in verun modo aiutata dal linguaggio a concepire determinatamente e ritenere e richiamare a suo talento le idee d'essi suoni distinte l'una dall'altra. Vero è che non potendosi profferir da sè se non le vocali, tutti gli altri suoni hanno presso noi una sorta di nome, che non è propriamente esso suono nudo, come bi ci, sono nomi di b c. E nelle antiche lingue ciascun suono anche vocale, portava un suo proprio nome arbitrario e di convenzione (come son le parole, o vogliam dire come i nomi d'ogni altra [2955]cosa) il qual nome era più distinto che fra noi da esso suono nudo, onde si può dir che in quelle lingue i suoni della favella avessero i loro vocaboli diversi dall'oggetto, siccome l'avevano gli altri oggetti; che il linguaggio aiutasse il pensiero anche circa i detti suoni, e che la nuda idea de' medesimi avesse dove appoggiarsi e a che riferirsi anche fuori della scrittura e dell'alfabeto scritto, cioè i nomi conventizi ed imposti dei detti suoni, e l'alfabeto pronunziato. Per esempio alèf, beth, ghimèl, alfa, beta, gamma, iota, eta erano nell'ebraico e nel greco i nomi propri de' suoni, diversi da' medesimi suoni.
Contuttociò, se non agli antichi, certo ai moderni, si può considerar come quasi impossibile di concepir chiaramente e precisamente, ritener costantemente, e richiamar facilmente le idee di ciascun suono elementare della favella, delle qualità proprie di ciascuno, e della loro scambievole diversità, senza la cognizione dell'alfabeto scritto. [2956]Nè credo che si possa allegare esempio di chi possegga o abbia mai posseduto distintamente e perfettamente queste tali idee nel modo e colle condizioni ch'io dico, senza conoscere i caratteri che le significano e rappresentano. Vale a dire non credo che alcuno abbia mai avuto e ritenuto, abbia e ritenga la chiara, determinata e distinta idea di ciascun suono, senza poterlo riferire al rispettivo carattere dell'alfabeto, ma rapportandolo solamente al suo vocabolo, o non rapportandolo a cosa alcuna, ma considerandolo col pensiero solamente in se stesso, e tenendolo semplicemente per se stesso. Non lo credo, dico, di alcuno, e neppur degli antichi, i quali tengo per fermo che nell'imporre i nomi che imposero ai suoni, avessero tutt'altro intento e motivo38 che quello di aiutar con essi nomi il pensiero, e di far ch'essi suoni si potessero insegnare separatamente dall'alfabeto scritto, ed esser saputi, conosciuti distintamente e costantemente ritenuti da quelli che non conoscessero i caratteri nè potessero in niun modo leggere. Certo i fanciulli [2957]oggidì non prima imparano a distinguere i suoni del proprio lor favellare che ad intendere i caratteri che li significano, nè la distinta cognizione e idea di quelli è nelle menti loro per alcun tempo scompagnata dalla cognizione e dalla idea di questi.
Per le quali ragioni io dissi di sopra (p.2953.) che noi colla nostra mente rapportiamo sempre ciascun suono elementare della favella al corrispondente carattere dell'alfabeto, quante volte concepiamo nella mente nos...
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