[Pagina precedente]...le propriamente altro che essere; e habitare altresì, ch'è un frequentativo o continutivo di habere, sempre che ha senso neutro, sta per essere. E questa forma è tutta greca; giacchè presso i greci ?????, la metà delle volte non è altro che un sinonimo di essere, e s'usa in questo senso anche impersonalmente, come in italiano, francese e spagnuolo, tutto dì. V. p.3907. Così anche nel greco moderno a ogni tratto. [2925]???????, non ci è, non ci ha.
(9. Luglio. 1823.)
Intorno al verbo habitare, che per virtù della sua formazione può essere e continuativo e frequentativo, si considerino gli esempi del Forcellini, in alcuni de' quali (come in quello di Cic. de Senect. c. ult.) egli ha decisissimamente il primo significato, in altri il secondo: o vale solere habere cioè esse ec. E vedi ancora il primitivo habere nel senso del continuativo habitare (dal qual senso deriva quello di questo verbo) nel Forcellini in habeo col.3.
(9. Luglio. 1823.)
È uso della nostra lingua di porre l'avverbio male come particella privativa in vece di in avanti gli aggettivi, i sostantivi, gli avverbi, i participii ec. o facendo di questi tutta una voce con quella, o scrivendo quella separatamente. Il qual uso ci è così proprio, che sta in libertà dello scrittore di fare in questo modo de' nuovi accoppiamenti nel detto senso, sempre ch'ei vuole, siccome n'han fatto alcuni moderni, [2926]p.e. il Salvini, ad esempio degli antichi, e stanno segnati nella Crusca. Male per non o poco o difficilmente. V. la Crusca in male. I francesi similmente: mal-adresse, mal-adroit, mal-adroitement, mal-aisé, mal-gracieux, mal-plaisant, mal-habile, mal-honnête ec. ec. V. il Diz. del Richelet in Mal, fine. Or quest'uso è tutto latino e degli ottimi tempi. Vedi Forcell. in male.
(9. Luglio 1823.)
Maltrattare, maltraiter, maltratar - male-tractatio è d'Arnobio, ap. Forcell. voc. Male fine, in vece di che altri dissero mala tractatio. È proprio de' nostri antichi scrittori, e del volgar fiorentino o toscano di usar male in tutti i generi e numeri in vece dell'aggettivo malo.
(9. Luglio 1823.)
Savamo, savate de' nostri antichi, per eravamo eravate, sarebbono elle persone di un imperfetto più regolare, più antico e più vero di sum, sumus, sunt, che non è l'usitato eram fatto forse da un altro tema; persone, dico, di un imperfetto sabam, era, conservato nel volgar latino fino ai primi tempi del nostro?
(9. Luglio 1823.)
Alla p.2753. Ella è anche cosa certissima che in parità di circostanze, l'uomo, ed anche il giovane, [2927]e altresì il giovane sventurato, è meno scontento dell'esser suo, della sua condizione, della sua fortuna durante l'inverno che durante la state; meno impaziente dell'uniformità e della noia, meno impaziente delle sventure, meno renitente alla sorte e alla necessità , più rassegnato, meno gravato della vita, più sofferente dell'esistenza, e quasi riconciliato talvolta con esso lei, quasi lieto; meno incapace di concepire come si possa vivere, e di trovare il modo di passare i suoi giorni: o almeno tutte queste disposizioni sono in lui più frequenti o più durevoli nell'inverno che nella state; e spesso abituali in quella stagione, laddove in questa non altro mai che attuali. Ed anche il giovane abitualmente disperato di se e della vita, si riposa della sua disperazione durante l'inverno, non che egli speri più in questo tempo che negli altri, ma non prova o prova meno efficace il senso di quella disperazione che radicalmente non può abbandonarlo. Cioè intermette [2928]di desiderare o desidera meno vivamente quelle cose ch'egli è al tutto e abitualmente e per sempre disperato di conseguire. Tutto ciò perchè gli spiriti vitali sono manco mobili ed agitati e svegli nell'inverno che nella state.
Queste considerazioni vanno applicate al carattere delle nazioni che vivono in diversi climi, di quelle che sogliono passare la più parte dell'anno al coperto e nell'uso della vita domestica e casalinga a causa del rigore del clima, e viceversa ec.
(9. Luglio 1823.). Veggasi la p.3347-9. e 3296. marg. ec.
A proposito del verbo vexare che io dico esser continuativo di vehere34 e fatto da un antico participio vexus in vece di vectus, del che vedi la pag.2020. è da notare che sì altrove sì particolarmente ne' participii in us non è raro nella lingua latina lo scambio delle lettere s e t. Eccovi da intendo, intensus e intentus, onde intentare, come da vectus vectare; da ango, anxus ed anctus. V. Forc. ango in fine. V. p.3488. E così tensus e tentus da tendo e dagli altri suoi composti, del che ho detto altrove in proposito d'intentare. V. p.3815. Dico lo scambio giacchè, secondo [2929]me questi tali participii, come tensus e tentus, non sono che un solo pronunziato in due diversi modi per proprietà della lingua materiale. Onde vexus, cioè vecsus è lo stesso identicamente che vectus, e vecsare o vexare, per rispetto all'origine, lo stesso che vectare. Ma vexus si perdette, restando vectus, e forse fu più antico di questo, come vexare sembra esser più antico di vectare. Del resto da veho is exi è così ragionevole che venga vexus, come da necto is exi, nexus, onde nexare, compagno di vexare, e da pecto is exi, pexus (e notisi ch'egli ha eziandio pectitus) e da plecto is exi, plexus, onde amplexare ec. flecto is exi, flexus. (v. p.2814-15. marg.) ec. E quanto ai verbi che hanno o ebbero de' participii così in sus come in tus, vedi per un altro esempio fundere, che ha fusus ed ebbe anche futus, p.2821. e nitor eris che ha nixus, onde nixari, ed ebbe nictus, onde nictari, il qual esempio (v. la p.2886-7.) fa particolarmente al caso. V. p.3038. Figo-fixi-fictus, e fixus ch'è più comune ancora35. E di molti altri verbi la nostra teoria de' continuativi dimostra de' doppi participii o supini, [2930]cioè dimostra che ebbero participio o supino diversi da quelli che ora hanno, o due, ambo perduti, o ancor più di due, come fundo-fusus, futus, funditus, ec. ec. V. la p.2826. e il pensiero seguente, e la p.3037. Del resto vexare rispetto a vehere potrebbe anche appartenere a quella categoria di verbi della quale, p.2813. segg. Ma non lo credo per le suddette ragioni che mi persuadono ch'ei venga da un particip. vexus. Vexus, flexus ec. da vexi ec. sono forse contrazioni di vexitus ec. e altresì vectus ec. il quale però conserva il t, come textus da texui, ec. V. la p.3060-1. con tutte quelle a cui essa si riferisce e quelle che in essa si citano.
(9. Luglio. 1823.)
Pinso pinsis pinsi et pinsui, pinsum et pinsitum et pistum. Da pinsus o da pinsitus, pinsitare appresso Plauto, se questa voce è vera. Da pistus pistare appresso il Forcellini e il Glossario (vedilo in Pistare e Pistatus), onde il nostro pestare che volgarmente si dice anche oggi più spesso pistare, siccome pisto per pesto. (V. il Glossar. in pestare). Pisto rimane eziandio nello spagnuolo, ed è un aggettivo neutro sostantivato, che vale quello che noi diciamo il pollo pesto. Tutti tre questi participii di pinso sono comprovati con esempi, e non da me congetturati. V. Forcell. in ciascuno di loro, e in pinso.
Notiamo qui quello che dice Festo alla voce pinso (ap. Forcell. in Pistus). Pistum a pinsendo pro molitum antiqui frequentius usurpabant quam nunc nos dicimus. [2931]Infatti pistillum, pistor, pistrinum e quasi tutti i derivati di pinso vengono dal supino o participio pistum o pistus. Ora, secondo Festo, al suo tempo questo participio o supino molto usitato dagli antichi, era poco frequentato. Egli vuol certo dire nel linguaggio polito e nella scrittura. Ma eccovi che il volgo latino e il parlar familiare conservava l'uso antico e conservollo sino all'ultimo, giacchè nelle lingue figlie della latina non resta quasi (dico quasi per rispetto al verbo pisar e. di cui qui sotto) del verbo pinsere altro che quello che appartiene al suo participio pistus, cioè pesto, pisto ital. e spagn. pestare, pestello ec. E il verbo pestare o pistare che sembra essere sottentrato ne' bassi tempi all'originale pinsere, nel luogo del quale ei si conserva fra gl'italiani anche oggidì, fu formato allora da pistus, o s'ei fu proprio anche degli antichi latini, certo è ch'egli si conservò nelle bocche del volgo e nel parlar familiare andando in disuso e totale dimenticanza il verbo pinso, al contrario di quello che [2932]sembra dir Festo, o che si potrebbe ragionevolmente raccogliere dalle di lui soprascritte parole, chi non sapesse i fatti.
Pistus36, onde pistare è formato evidentemente dal regolare e primitivo pinsitus, toltagli la n, onde pisitus, e contratto questo in pistus, come positus, repositus ec. in postus, repostus. E vedi la p.2894. Ora come da pinsitus pisitus e pistus, tolta la n, così da pinsus altro participio irregolare di pinso, del qual participio altresì s'hanno parecchi esempi (v. Forcell. in pinso fin. e pinsus), fu fatto, secondo me, pisus, e da questo, siccome da pistus pistare, viene il verbo pisare, il quale conseguentemente e secondo questo discorso, è un continuativo di pinsere appunto come pistare, e come forse pinsitare. Se a questo discorso avessero posto mente quelli che appresso Varrone e Plinio sostituiscono il verbo pinsere al verbo pisare (o pisere, di cui poscia), riconosciuto pur da Diomede, e letto ancora da taluni appresso Persio [2933](v. Forcell. in pinso fine), non avrebbero forse pensato a bandire questo verbo. E meno ancora lo avrebbero fatto se avessero osservato questo medesimo verbo pisare appresso un Anonimo, de re architectonica, il quale non ho ora tempo d'investigar chi sia, se non è l'epitomatore di Vitruvio, ma certo al suo stile non par troppo recente, e vedi il suo passo nel Gloss. in Pisare. E meno se avessero guardato allo spagnuolo pisare (calcare, cal-pestare) e all'italiano pigiare ch'è il medesimo: e se in quel luogo di Varrone ficum et uvam passam cum piserunt, dov'essi ripongono pinserunt, avessero osservato l'evidente conformità con le solenni frasi vernacole pisar las uvas, pigiar le uve. E così se avessero posto mente al sostantivo piso onis, derivante da pisare o certo da pisus per pinsus, il qual sostantivo trovasi appresso il Forcell. e nel citato anonimo ap. il Glossar. e nello spagnuolo pison, onde pisonar ec. Vedi ancora nel Forcellini in pinso il luogo di Varrone l. 1. R. R. c. 63. con quel ch'ei ne dice: e il vocabolo Pisatio, dove non lodo quei che leggono spissatione.
[2934]In luogo di pisare, trovasi, e più spesso, pisere. Intorno a questo veramente avrei i miei dubbi, e credo più ragionevoli di quello de' sopraddetti che leggono sempre pinsere. Voglio dire che a me non par da negare l'esistenza di quel verbo derivato da pinsere, ma mi par da dubitare circa la sua coniugazione, e forse da non concedere ch'ei sia della terza, e dovunque si trova pisere da ripor pisare. Il quale ed è più regolare secondo la nostra teoria de' continuativi, ed è comprovato dal Glossario e dal vernacolo spagnuolo e italiano (giacchè per puro accidente e vezzo di pronunzia noi diciamo pigiare in luogo di pisare ch'è lo stesso, e che certamente si dice in qualche dialetto o provincia d'Italia, come, io credo, nel veneziano), ed è confermato dalle altre considerazioni addotte di sopra.
In ogni modo il verbo pisere detto in vece di pisare, sarebbe un continuativo anomalo di pinsere; sia che anche pisare esistesse nell'antico latino, e da lui per corruzione fosse fatto pisere, come forse nexere da nexare (v. p.2821.); sia che pisere fosse fatto [2935]a dirittura da pisus-pinsus di pinsere prima di pisare e in luogo di questo (come visere per visare da video-visus), e che questo non sia stato mai nell'antico o nell'illustre ma solo nel basso o nel rustico Latino (fatto da pisere o a dirittura da pinsere), e quindi ne' moderni vernacoli; o sia finalmente che pisere e pisare esistessero ambedue quando che sia, contemporaneamente, ma indipendentemente l'uno dall'altro per rispetto all'origine. E vedi a questo proposito di continuativi anomali spettanti alla terza, la p.2885.
Pisare considerato...
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