[Pagina precedente]...unto più felice della sua vita, e nemmeno durante quel solo punto: egli è certissimo che non ha concepito nè mai concepirà questo desiderio per un solo istante neppur l'uomo, qualunque sia, che fra tutti gli uomini ha provato o è per provare il massimo possibile piacere. E ciò perchè nemmeno in quel punto niuno mai si trovò pienamente soddisfatto, nè lasciò nè sospese punto il desiderio nè anche la speranza di un maggiore ed assai maggior piacere. Con che egli non venne in quel punto a provare un vero e presente piacere. Bensì dopo passato quel tal punto l'uomo spesse volte desidera che tutta la sua vita fosse conforme a quel punto, ed esprime questo desiderio con se stesso e cogli altri di buona fede. Ma egli ha il torto, perchè ottenendo il suo desiderio, lascerebbe di approvarlo ec.
(3. Luglio 1823.)
Quanta barbarie avesse introdotto anche nell'ortografia italiana durante il quattrocento l'eccessivo modellarla sulla latina, onde, se si fosse perseverato in [2885]quella forma, anche noi scriveremmo diversissimamente da quel che pronunzieremmo, come si può credere che allora avvenisse, se pur la pedanteria di quei tempi, o piuttosto i pedanti, (perchè di tutti non è credibile) non pronunziavano come scrivevano; vedi alcuni esempi nelle Lezioni sulle doti di una colta favella dell'Ab. Colombo, Parma 1820. Lez. 3. p.69. 70. e il Comento di Pico Mirandolano sopra la Canzone d'amore di Girolamo Benivieni con essa Canzone ec. Venez. 1522. dove si scrive sempre ad per a avanti consonante, anche seguendo il d, come ad dir (st.1. della Canz. v.6. a carte 41.); advenire ec. Durò questo pessimo uso anche nei principii del cinquecento. Nel citato libro si scrive tabola per tavola, egloge per egloghe, ec. ec. oltre philosopho, admirando, ad pena per appena ec.
(3. Luglio 1823.)
Alla p.2821. Altresì farebbe a questo proposito il verbo nicto is detto (se però mai fu detto, e v. il Forcellini) per nicto as, (o nictor aris), il quale è verbo continuativo fatto dall'inusitato niveo, e dimostra sì l'antica esistenza di questo niveo ch'è anche dimostrata dal suo composto conniveo, sì il participio o supino di quello e di questo, che ora ne manca, il quale anche [2886]sarebbe dimostrato dal nome nictus us, secondo i ragionamenti da me fatti altrove, se però questa è voce vera, e se, e quando significa nictatio, e non nisus. Perocchè anche nisus pare ch'ella possa significare, secondo il Forcellini, e in questo senso ella servirebbe altresì a comprovare l'antico participio nictus di nitor eris, usato già in vece di nixus e di nisus; dal quale nictus di nitor nasce altresì il continuativo nictari, il quale io credo totalmente diverso da nicto di niveo, e non tutt'uno, come vuole il Forcellini ec. giacchè i due significati non hanno la menoma analogia, e d'altra parte l'origine dell'uno e dell'altro verbo è pianissima, perchè se v'è conniveo dovette esservi niveo, e facendosi da conniveo connixi, deve farsi nel supino, connictum, come da dixi, dictum, e quindi da niveo, nictum, e quindi nictare: e quanto a nictor di nitor il Forc. medesimo non la mette in dubbio. Anzi io credo che nicto as sia di niveo solamente, e nictor aris solamente e propriamente di nitor, benchè in due luoghi di Plinio trovisi nictari per connivere ec. il che potrebb'essere fallo degli scrivani (e infatti in un di quei luoghi v'è chi legga nictare), e fallo eziandio dello stesso Plinio che confondesse l'uno coll'altro verbo, essendo ambedue antichi e poco al suo tempo usati: nel qual proposito vedi quello che dicono il Perticari nel Trattato degli Scrittori del 300, e Giordani nella Lettera a Monti, vol. 1. par.2. della Proposta, sopra la voce fastus ec. Del resto da [2887]nixus di nitor (che forse non è differente da nictus per niuna ragione grammaticale, ma per sola diversità di pronunzia) si fa altresì il suo continuativo cioè nixor aris29.
(3. Luglio 1823.)
Alla p.2883. Se ad alcuno non paressero sufficienti le testimonianze che si hanno dell'esistenza dell'antico verbo apo, consideri che sì la forma estrinseca, sì la significazione vera e propria, e il primitivo uso di aptus, sono al tutto di participio. E se aptus è participio, dovrà esser participio di apo o d'altro tal verbo, quale ch'essi vogliano, dal qual verbo dovrà esser venuto (((((( e aptare. Se non vogliono che aptus sia participio, sarà pur sempre incontrastabile che apto sia stato fatto da aptus. E se questo è, dunque ?????? ch'è lo stesso che apto, sarà pur venuto da aptus, o se non altro da una radice simile a questa, la quale sarà stata nella lingua madre della greca e della latina, e conservatasi nella latina, cioè nell'aggettivo aptus, si sarà perduta nella greca. Che aptus venga da ??????, o da ???????? come vuol Servio, un aggettivo da un verbo, è fuor d'ogni verisimiglianza, perchè è contrario [2888]ad ogni usata norma di derivazione, sì per la forma materiale comparata dei detti verbi, e del detto aggettivo, sì per la ragione grammaticale, analogia, ec. che in tal derivazione, niuna si troverebbe. Che poi aptus venga da aptare, (come Perticari credeva che arso venisse da arsare: vedi p.2688.) sarà anche meno verisimile a quelli che avranno ben considerata la nostra teoria della formazione de' verbi in tare da' participii in tus, dichiarata ed esposta e provata con tanti esempi. A tutti i quali parrà molto più probabile che aptare sia un continuativo fatto da un participio in tus ec. che non può esser se non aptus, (il quale, come ho detto, ha tutto quanto del participio) e questo da apo ec. Che aptus sia sincope di aptatus, il qual participio esiste, ed è ben diverso da aptus, è così credibile come che jactus di jacio sia sincope di jactatus participio di jactare, e altri tali spropositi, molti de' quali sono stati detti e creduti per non aver posto mente alla formazione de' verbi ec. che noi illustriamo.
(4. Luglio. 1823.)
[2889]Da ???, Dor. etc. ???, o da ??????, futuro ???????, sedeo, e così da ???? ??? o da ???? ?? sedes e simili. Da ????? saltus.
(4. Luglio 1823.)
A quello che altrove ho detto circa la formazione dei verbi in uo o in uor dai nomi verbali, o qualunque, della quarta declinazione, o dai nomi della seconda desinenti in uus, e circa i nomi in uosus fatti da simili radici, e agli avverbi ec. aggiungi praesumptuosus, praesumptuose; presuntuoso, presontuoso, prosuntuoso, prosontuoso, presuntuosamente, presuntuosità ec.; presumptuoso ec. spagnuolo, da sumptus us. Mutuor aris da mutuus. A quel che in questo proposito ho detto di monstruosus, mostruoso ec. aggiungi che gli spagnuoli in verità dicono monstruo non monstro, onde ben si deduce, non monstrosus, ma monstruosus. Quaestuosus da quaestus us. Ructuo, ructuosus da ructus us. Eructuo v. Forcell. in Eructo fin. Evacuo da vacuus, e così vacuo as.
(4. Luglio. 1823.). V. p.3263.
Dico altrove delle sillabe latine che non sono dittonghi, e pur sono composte di più vocali. Tra queste è notabile la seconda sillaba di eheu, la qual voce non è trisillaba, ma dissillaba, benchè composta di tre vocali, e benchè eu non si conti fra' dittonghi latini. [2890]Ed è dissillaba non per licenza o figura poetica, ma per regola, e trisillaba non potrebb'essere o non senza licenza. Così dite di hei, heu, euge, eugepae, euganeus ec. ec. Eburneus-eburnus.
(4. Luglio. 1823.)
Non è fuor di ragione nè arbitrario e gratuito quello ch'io dico circa la formazione dei continuativi da' participii in atus, che mutano l'a in i ec. Perocchè questa mutazione è ordinarissima e solenne nelle derivazioni e composizioni della lingua latina. Onde da capio, frango, tango, sapio, facio, iacio, taceo ec. ec. si fa in composizione cipio, fringo ec. cioè p.e. accipio, effringo, attingo, insipiens, resipio, desipio, afficio, adjicio, conticesco, reticeo ec. e così nelle derivazioni ec. Anche la e si muta in i: p.e. da teneo, sedeo, specio, rego, lego ec. contineo, insideo, aspicio, corrigo, colligo ec.
(5. Luglio. 1823.). Puoi vedere la p.2843.
Ho detto altrove che presso Omero il nome ???? serve a una perifrasi, come ???, in modo che per se stesso non vuol dir nulla, ma significa quello che occorre unitamente al nome col quale è congiunto; p.e. ???????? ????, il dì del ritorno, vuol dire il ritorno e non [2891]altro. Più esempi di quest'uso d'Omero vedili nell'Index vocabulorum Homeri del Sebero, in ???? ???????.
(5. Luglio 1823.). V. p.2995,2.
Alla p.2864. marg. È indubitato, secondo me, che quest'uso nacque dall'altra pessima usanza, introdotta nel latino fin dai primissimi tempi dell'impero, di dar del voi alle persone singolari. Onde è probabile che allora, o poco dipoi, o certo nel volgar latino quando che sia, s'introducesse questo costume di aggiungere l'aggettivo altri al voi e al noi (giacchè il noi anche negli ottimi tempi in latino e in greco, si usava in senso singolare) quando questi pronomi avevano ad aver senso plurale, per distinguerli da quando avevano ad averlo singolare. E così introdotto quest'uso nel volgar latino, passò in tutte tre le lingue figlie. E con ragione; perchè in esse ancora si manteneva e si mantiene quell'altra pessima usanza che, secondo me, lo produsse. Stante la quale, l'uso di questo idiotismo è quasi necessario per evitar mille equivoci e dubbi sì nello scrivere, sì nel parlare, quando molte persone sono presenti, o [2892]quando nello scrivere si suppongono ec.: (come si vede tutto dì per esperienza; massime nello scrivere, dove per iscrupolo di esser troppo familiare, e perchè non si sa più la lingua, ec. ormai generalmente si tralascia questo idiotismo). Infatti noi nel parlar familiare non lo abbandoniamo quasi mai, nè gli spagnuoli lo possono abbandonare. Ma anche gli spagnuoli tacciono l'otros se parlano a persona singolare, o di se stessi singolarmente, ne' quali casi dicono vos e nos. Lo tacciono ancora quando il vos e il nos fa ufficio delle nostre particelle o pronomi ci e vi, come nous e vous in francese. Del resto in nessuna delle tre lingue si direbbe voi altri o noi altri in senso singolare. È notabile che l'uso di nos in senso singolare, fu più proprio delle lingue antiche che delle moderne, nelle quali anzi, quanto al parlare o allo scrivere familiare, a cui solo spetta il noi altri, esso uso è intieramente abolito. Vedendosi dunque che pur tutte tre queste lingue usano familiarmente questo idiotismo di noi altri senza abbisognarne punto per distinzione, confermasi ch'esso idiotismo derivi dalla lingua latina, la quale ne avea bisogno per distinguere il nos plurale dal nos singolare. (5. Luglio 1823.). Altri è qui ridondante, come ????? in greco ec. del che spesso altrove.
[2893]A proposito del vario significato e del figurato uso de' tempi dell'ottativo in latino, dello scambio d'essi tempi tra loro, e con quelli d'altri modi, ec. vedi Orazio epist. 1. l.2. v.3. 4. dove peccem, morer stanno per peccarem, morarer.
(5. Luglio 1823.)30
Circa quello che altrove ho detto de' participii quaesitus e quaeritus e del verbo quaeritare ec. I francesi hanno querir da quaerere, e quêter, anticamente quester, da quaesitus di quaesere, onde noi chiesto, e gli spagnuoli quisto. Chéri è il querido degli spagnuoli da quaeritus di quaerere. E chérir è lo stesso querer spagnuolo nel significato, che questo pure ha, di voler bene. Il nostro cherere è il quaerere latino, in significato però di volere, come lo spagnuolo querer, e anche di domandare, come il nostro chiedere ch'è il latino quaerere (v. p.2995.), siccome il suo participio chiesto è il latino quaesitus, per sincope quaestus. Malquerer, malquerido, malquisto, cioè volere e voluto male. Chesta, inchesta, richesta sust., per chiesta ec. richedere richesto; inchierere richierere cioè inquirere requirere; ec. acchiedere quasi acquaerere per acquirere, con altro senso. Acquérir e conquérir francesi, adquirir spagnuolo sono i latini acquirere e conquirere. Acquêter, anticamente acquester, e l'antico conquêter o conquester francesi, lo spagnuolo conquistar, e l'italiano ...
[Pagina successiva]