[Pagina precedente]...onoscibile per figlia [2874]di lei; ma la lingua francese pronunziata, ch'è pure in somma quanto dire la vera lingua francese, n'è tanto diversa, anzi dissimile, che appena si può riconoscere questa figliuolanza. E degli stessi vocaboli latini che i francesi conservano, e sono assaissimi, gran parte e forse la maggiore, pronunziati, riescon tali, che guardandoli nella sola pronunzia non s'indovinerebbe mai la loro origine, nè mai si piglierebbero per nati da tali o tali vocaboli latini; laddove questa origine si riconosce a prima vista leggendo quei vocaboli scritti. E veramente se la scrittura francese non fosse così diversa dalla pronunzia, io credo che oramai la notizia della più parte delle origini di questa lingua sì moderna, sarebbe perduta, o in preda delle dissertazioni delle congetture e delle favole. Mentre ella si conserva per solo benefizio della diversità e irregolarità anzi assurdità della scrittura, e in questa si conserva chiarissima e certissima e visibilissima, e tanto più visibile quanto la scritura più è diversa dalla pronunzia, perchè tanto più è simile al latino. Tanto si è mutata la lingua latina sulle bocche francesi per l'uso avuto co' popoli settentrionali, e forse ancora in gran parte ancor prima, per la natura del [2875]clima stesso, oltre la origine settentrionale di molti de' medesimi parlatori, cioè de' Franchi di origine. Quantunque nè l'origine gotica e longobardica di molti italiani, nè la vandalica nè la moresca di tanti spagnuoli abbiano prodotto di gran lunga effetti simili e proporzionati a questi nelle lingue di questi due popoli.
Somiglianti cagioni dovettero certamente contribuire a fare che le scritture inglese e tedesca siano riuscite meno conformi alle pronunzie, e queste meno corrispondenti al valor delle lettere ne' rispettivi alfabeti, e meno costanti nelle regole medesime loro (che hanno, almeno in francese, tante eccezioni e sotteccezioni) che non sono le scritture e pronunzie italiana e spagnuola. Perocchè l'alfabeto inglese è il latino, e il tedesco originariamente non è altro: laddove le loro lingue sono e originariamente e presentemente tutt'altre che la latina. Di più essendo pervenuta la letteratura e scrittura latina, e l'uso eziandio della medesima, anche dove non pervenne l'uso di questa loquela, come in Inghilterra e in Germania, anche i tedeschi e gl'inglesi regolarono primieramente o abbozzarono la loro ortografia e scrittura col solo o quasi solo esempio della latina avanti gli occhi. E dopo preso piede le prime regole o i primi abbozzi, non si è più in caso di distruggerli, e [2876]neppur si è sempre in caso di fare che il resto, sebbene ancor non sia fatto, o non abbia preso piede, non gli corrisponda; almeno non sempre si può riuscire ad impedirlo perfettamente, o a far che impeditolo, la macchina cammini bene e regolarmente, e senza imbarazzi e contrapposizioni e disturbi ec. disordini, effetti contraddittorii ec.
(1. Luglio 1823.)
L'uomo si rassegna a soffrire passivamente, o a non godere, ma niuno si rassegna a faticare invano e senza niuna speranza, o a faticar molto per cose da nulla; niuno si rassegna a soffrire attivamente senz'alcun frutto. Quindi è che dall'abito della rassegnazione sempre nasce noncuranza, negligenza, indolenza, inattività , e finalmente pigrizia, e torpidezza, e insensibilità , e quasi immobilità .
(2. Luglio. 1823.)
Dico altrove che l'uso di crear giudiziosamente e parcamente nuovi composti, fu mantenuto dagli autori latini, e massime da' poeti, non solo fino alla intera formazione della lingua e della letteratura, ma nello stesso secolo d'oro della latinità , e nel tempo che immediatamente gli succedette. Di quest'uso parla Macrobio [2877]Saturn. VI. 5. mostrando che alcuni epiteti composti che si credevano fatti da Virgilio sono di fabbrica più antica. Segno qui alcuni composti latini de' quali ch'io sappia non si trova esempio negli autori anteriori al secolo aureo. E saranno tutti composti di due nomi, l'uno sostantivo e l'altro addiettivo, o tutti e due sostantivi ec. o d'un nome e d'un verbo o participio o verbale, ec. che sono i composti più rari; lasciando stare i nomi o verbi ec. composti con preposizioni o particelle, de' quali si potrebbero addurre al caso nostro esempi in troppa abbondanza. Alipes, aliger, armifer, armipotens, armisonus, aeripes, aerisonus, aerifer, aerifodina, aequaevus, aequidistans presso Frontino ed altri, algificus presso Gellio, aequilatatio presso Vitruvio, aequilateralis presso Censorino, aequilaterus presso Marziano Capella, aequilibris ec., aequinoctium, della qual voce vedi Festo appo il Forcellini in aequidiale, aequipedus ed aequipollens presso Apuleio; aequipondium presso Vitruvio, aequicrurius presso Marziano Capella, alticinctus, altitonans, altitonus, altivolus presso Plinio il vecchio, anguitenens, aegisonus, auricornus, aurifer, aurifex, aurifodina presso Plinio il vecchio, aurigena, auriger, auripigmentum presso Plinio e Vitruvio, [2878]auriscalpium presso Marziale e Scribonio, bijugus e bijugis (ma qui c'entra un avverbio) e altri tali composti con bis, equiferus ed equisetum presso Plinio il vecchio, fontigenae di Marziano, ignigena, ignipotens, ignipes, gemellipara, mellifer, mellificium, mellificus presso Columella, mellifico e melligenus presso Plinio il vecchio, nidifico presso il medesimo e Columella, nidificium presso Apuleio, nidificus presso Seneca tragico, noctifer e simili, nubifer, nubifugus di Columella, floriparus d'Ausonio, securifer, securiger, nubivagus presso Silio, nubigena (in proposito del quale è da notare che Macrobio nel citato luogo, che merita d'esser veduto, volendo provare come molti epiteti creduti fatti da Virgilio sono più antichi, recita quel dell'Eneide, 8. 293. Tu nubigenas, invicte, bimembres, e mostra che bimembris è di Cornificio, ma di nubigena non dice niente, sicchè pare che lo conceda per moderno, e veramente nel Forcellini non se ne trova esempio se non d'autori posteriori a Virgilio, il quale appresso il medesimo Forcell. in questa voce non è citato), penatiger d'Ovidio, solivagus presso il Forcellini, i cui esempi son tolti da Cicerone, e presso il medesimo Cic. de republ. 1. 25. p.70. ed. Rom. 1822.; ed altri tali moltissimi.
(2. Luglio 1823.)
[2879]Notate la radice monosillaba di caput For-CEPS, secondo quello che ne ho congetturato altrove, e di tutti i suoi derivati, ancora in dein-CEPS, della qual voce v. Forcellini.
(2. Luglio. 1823.)
Che il v, presso gli antichi latini non sia stata che una specie d'aspirazione, e non una consonante, e che tale in verità sia la sua natura, di tener cioè dell'aspirazione, e di svanir sovente dalle voci secondo l'indole delle varie pronunzie. Dionigi d'Alicarnasso Archaeol. roman. l.1. c.35. parlando dell'origine del nome Italia. ??????????? ?? ? ??????? ????? ???????? ??? ???????? ???? ??????????? ??? ??????, ?????? ??? ???? ??????? ???????????? ??? ?????? ?? ??????? ???? ??? ?????? ????? ??? ?????, ??? ??? ?????? ???????????? ????? ??? ???????? ??? ???????? ???????, ???????? ??? ???? ?????????? ???? ??? ???????? ??????? ?????? ??? ???????, ?? ??? ??? ????? ???????, ??? ???? ???????? ??????? ??? ??????? ????? ?????????, ?? ?? ?????? ???? ???? ??? ???????? ??? ???? ????????? ??? ??????? ?????????, ????? ??? ??? ???????, ??? ??? ???? ??? [2880]????? ???????? ?????, ???? ? ??????? ???????. ?????????. ?????????? ?? ??? ?????? ??? ????????? ??? ?? ??? ?????, ????? ?????????. ????? ??? ??? ????????? ????? ?? ??????????? ???????? ????????. Da bibo noi diciamo bevo, e beo tolta la lettera v, beve e bee, beendo, bere da bevere tolto il v, e contratto beere in bere ec. V. il Corticelli, e il Buommattei Trattato 12. c.40. fine. Così da debeo devo e deo, devi e dei ec. V. i grammatici e l'uso volgare. Dal lat. pavo diciamo pavone e paone, paonessa, paoncino ec. Diciamo altresì pavonazzo e paonazzo. E in cento altre parole leviamo e inseriamo il v a nostro piacere, o ch'esso veramente, secondo l'etimologia appartenga loro, o che no, e talvolta l'inseriamo sempre e costantemente in voci a cui esso non appartiene, o lo passiamo pur sempre e costantemente sotto silenzio in quelle voci dov'esso dovrebb'essere ed era. E in questo particolare v'è frequentissima discordanza tra le pronunzie e dialetti delle provincie, città , individui d'Italia, tra gli antichi autori e i moderni, tra l'antico parlare e il moderno, tra il moderno parlare e lo scrivere ec.
(2. Luglio. 1823.)
[2881]Traduzione del passo soprascritto di Dionigi d'Alicarnasso fatta da Pietro Giordani nella Lettera al Chiarissimo Abate Giambattista Canova sopra il Dionigi trovato dall'Abate Mai. Milano, per Giovanni Silvestri, 1817. p.30-31. Ma Ellanico Lesbiese dice che Ercole menando ad Argo i buoi di Gerione, e già trovandosi in Italia, poichè un bue sbrancatosegli della greggia fuggendo corse tutta la spiaggia, e notando per lo stretto del mare in Sicilia arrivò; esso Ercole interrogando i paesani, dovunque nel correr dietro al bue passava, se alcuno lo avesse veduto; e quelli poco intendendo la favella greca, e per gl'indizi ch'Ercole ne dava chiamando essi quell'animale nella nativa lor lingua Vitulo (come anch'oggi si chiama): accadde che dal vocabolo di quella bestia, tutto il paese ch'ella corse fosse nominato Vitulia. (il greco dice ch'Ercole medesimo così nominollo, e dice Vitalia). Che poi il nome col tempo si mutasse nella presente forma, non è da maravigliare, quando molti de' vocaboli greci cosiffatte mutazioni patirono.
(2. Luglio 1823.)
[2882]È notabile come lo spagnuolo atar abbia conservato il proprio e primitivo significato di aptare cioè legare, significato che benchè proprio e primitivo, pur non è molto frequente negli autori latini, anzi un esempio che faccia veramente al caso non mi pare che sia se non quello d'Ammiano nel Forcell. v. aptatus. Ora Ammiano è pur di bassa latinità . Mostra che il volgo abbia sempre conservato il primo uso di questo verbo, più degli scrittori eleganti, che l'hanno piuttosto adoperato metaforicamente. Del resto se mai si potesse dubitare che il verbo aptare venisse da aptus, il cui proprio senso è legato ec. e che Festo dice essere participio di apo, lo spagnuolo atar che vale legare congiungere, finirebbe di mandare a terra qualunque dubbio. Il nostro attare, adattare, adapter ec. ha per proprio il significato metaforico ordinario di apto, adapto ec. V. nel Forcell. esempi di coaptare, coaptatio, coaptatus, (?????????) in senso di collegato ec. tutti di S. Agostino, il quale certo non pigliava questo buono e primitivo uso di tali parole da' più antichi padri della scrittura latina, nè dagli scrittori aurei che non le usano, ma dal parlar del volgo, che tuttavia conservava quel significato, come ancora lo conserva in Ispagna. E così dite di Ammiano. [2883]E chi sa che aptare in questo senso, non sia l'origine di attaccare, attacher ec.? V. il Glossar. Cang. principalmente in attachiare, cioè vincire ec. Ma siccome questa voce si trova massimamente usata nelle scritture latino-barbare d'inglesi e scozzesi, così non voglio contrastare che la sua origine non possa probabilmente essere Teutonica ec. come si afferma nel medesimo Glossar. v.2. Tasca.
(3. Luglio 1823.). V. p.2887.
Io provo presentemente un piacere, io vorrei che la condizione di tutta la mia vita, di tutta l'eternità , fosse uguale a quella in cui mi trovo in questo momento. Questo è ciò che nessun uomo dice mai nè può dire di buona fede, neppur per un solo momento, neppure nell'atto del maggior piacere possibile. Ora se egli in quel momento provasse in verità un piacer presente e perfetto (e se non è perfetto, non è piacere), egli dovrebbe naturalmente desiderare di provarlo sempre, perchè il fine dell'uomo è il piacere; e quindi desiderare che tutta la sua vita fosse tale qual è per lui quel momento, e di più desiderare di viver sempre, per sempre godere. Ma egli è certissimo che [2884]nessun uomo ha concepito nè formato mai questo desiderio nemmeno nel p...
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