[Pagina precedente]...mente a cave.
(14. Dec. 1823.)
Participii aggettivati. Catus, cautus. V. Forcell.
(14. Dec. 1823.)
L'ortografia francese fu da principio ed anche per lungo tempo proporzionatamente molto più simile alla scrittura latina che non è oggi, anzi sempre più se ne va scostando per accostarsi alla pronunzia. Fu, dico, molto più simile, sì perchè anche la pronunzia lo era, e sì per l'inesattezza e latinismo comuni a tutte le ortografie moderne, come altrove in più luoghi. Ora, se cambiandosi la pronunzia e correggendosi il barbaro latinismo dell'ortografia, la scrittura francese si è mutata [3981]non poco, perchè non si dovrà mutarla affatto sin tanto ch'ella si conformi onninamente alla pronunzia e francese e presente, qual ella è in fatti, e rinunzi del tutto alla forma latina delle parole scritte in quanto ell'è diversa da quella di esse parole pronunziate, ed all'aver riguardo in qualunque modo al latino? Se ciò non si è ancor fatto, e se non si farà , vuol dire che l'ortografia francese non è ancora o non sarà mai perfetta, nè interamente rettificata, anzi è imperfettissima e scorrettissima. Il contrario è avvenuto ed avviene ancor tuttavia (conformandosi sempre al nuovo modo di pronunziare, o conformandosi alla pronunzia dove l'antica ortografia non vi si conformava; come p.e. oggi tutti scrivono ispirare e simili, laddove tutti gli antichi inspirare, sia che così pronunziassero, sia che latinizzassero in questa scrittura) nell'ortografia spagnuola e massimamente nell'italiano che perciò sono perfette, o quasi, e certo assai più della francese vicine alla perfezione. Non così nell'inglese, nella tedesca ec. perciò imperfette come la francese, ma forse meno, perch'esse da principio non ebbero occasione nè modo di guardare al latino, con cui non hanno che fare le loro lingue, massime il tedesco, o certo di guardarvi meno, e quindi minor cagione d'allontanarsi dalla pronunzia e dalla forma reale delle voci propria della loro lingua, e d'uscire dei termini e vera proprietà di questa ec.
(14. Dec. 1823.)
[3982]Alla p.3964. Anacreonte ionico scrisse nell'ionico, mescolato però, secondo il comun modo di dire degli eruditi, e temperato cogli altri dialetti, (massime il Dorico), al modo di Omero. V. il Fabric. e la pref. ad Anacr. del De Rogati ec.
(14. Dec. 1823.). V. p. seg.
Alla p.3965. I posteriori poi (com'Abideno, Arriano nell'Indica, Teocrito ec.), benchè già nato e stabilito e formato il dialetto comune e la letteratura nazionale, e prevaluto eziandio l'Attico, scrissero negli altri dialetti particolari nativi loro o alieni, perchè nobilitati da autori di grido che gli avevano usati quando ancor non v'era dialetto comune, o non ben formato nè fermamente applicato e aggiustato adequatamente alla letteratura. Il qual mal vezzo non ha avuto luogo in Italia, se non se in qualche scrittorello non mai divenuto (come Teocrito ec.) nazionale, e di poco giudizio; perchè buoni scrittori non si son dati a scrivere in altra lingua che nella comune, e ciò a causa che i dialetti particolari non avevano avuta la sorte di esser nobilitati da veruno insigne scrittore (benchè molti scrittori avessero) prima della formazione ec. del linguaggio comune e della letteratura. (Del resto non pare che opere gravi scritte in dialetti particolari, fuorchè nell'Attico, dopo la esistenza ec. del comune, avessero gran fortuna nè fama nè pure in Grecia, nè che veramente grandi o insigni ne fossero mai gli autori. Luciano de scribenda historia si burla di uno suo contemporaneo che avea scritto in dialetto ionico, come anche dell'affettato Atticismo di altri. Dionigi d'Alicarnasso compatriota d'Erodoto scrisse sì la storia sì il resto nell'attico o comune). [3983]Bensì quanto al toscano considerato come dialetto particolare, l'Italia si rassomiglia alla Grecia ed al suo attico proprio, per l'uso che gli autori anche insigni ne fecero, sì toscani nativi o attici nativi, sì forestieri, adoprandolo esclusivamente o principalmente ec. Però anche in Grecia come in Italia questo usare un dialetto, ancorchè nobilitato da molti scrittori ec. e prevalente ec., invece del comune, e massime l'abuso di esso e le smorfie, e massime nei non nativi, fu deriso dai più savi ec. benchè più ragionevole ciò fosse in Grecia che in Italia per molte cagioni, e fra l'altre che il dialetto attico propriamente detto era stato usato, e fu usato di mano in mano da autori veramente insigni e sommi, come Platone ec. Non così, strettamente parlando, il toscano proprio ec. che non è veramente la lingua neppur de' sommi italiani scrittori, nativi toscani, Dante, Petrarca e Boccaccio, nè d'altri sommi toscani ec.
(14. Dec. 1823.)
Alla p.3980. Genouil antico, si trova. Vedi i Diz. e vedi i diversi suoi derivati, che sono parecchi, oltre agenouiller, incomincianti per genouill-.
(14. Dec. 1823.)
Alla p. anteced. principio. Certo è però che Anacreonte si accosta assai più di Omero, e forse più di qualunque altro poeta greco al dialetto comune, anzi pochissimo se ne scosta nè per accostarsi all'ionico (se già le sue odi in questa parte de' dialetti e massime nell'ortografia ad essi spettante non sono alterate) nè ad altro veruno. Segno che al suo tempo benchè molto antico, il dialetto comune esisteva già , per mezzo della letteratura ec. o piuttosto che il dialetto [3984]ionico (il quale probabilmente fu quello che poi divenne il comune, e produsse l'attico ec. come pare a molti eruditi) era allora per la maggior vicinanza de' tempi (rispetto a quelli d'Omero) quasi uguale (eccetto nello scioglier de' dittonghi, che in Anacreonte però di rado si sciogliono, e quando si sciolgono, è manifestamente per la necessità o comodità del metro, nel qual caso è ben naturale e in altre cose tali, che si posson chiamar di pronunzia, e in queste ancora Anacreonte è molto parco, se non dove l'uso del verso l'esige, di modo ch'egli usa il dialetto suo, e si scosta dal comune piuttosto come poeta che come scrittore, e come linguaggio e licenze poetiche, non come dialetto) a quello che poi fu il comune, come si vede in Ippocrate ec. ec.
(15. Dec. 1823.)
Commeto as da commeo per commeato. V. Forc. e il detto altrove sopra hieto ec.
(15. Dec. 1823.)
Bello non assoluto. Diversissime usanze, opinioni, gusti ec. circa le chiome, sì sopra l'acconciamento loro, come sopra il portarle o no, raderle, lasciare crescerle fino a terra, fino agli omeri, fino al collo, tagliarle all'intorno della testa ec. ec. presso gli antichi e i moderni e le varie nazioni, selvagge, barbare, civili ec. ec. ec. in vari tempi ec. anche egualmente colti e di buon gusto ec. ec.
(15. Dec. 1823.)
Alla p.3939. Così anche i verbali sostantivi formati da' supini come quelli in us us. Così gli avverbi e tutte le (non poche) voci e sorte di voci che si fanno regolarmente da' supini regolari o irregolari, usitati o inusitati, de' verbi.
(15. Dec. 1823.)
Alla p.3969. fin. Anche la nostra diminuzione in ello ellare ec. viene dal latino, ed è latina, e così la spagnuola in illo, illar (lat. cantillare ec.) ec. (15. Dec. 1823.). Così la francese in el, eler, o eller (femin. elle) ec.
(15. Dec. 1823.). V. p.3991. e il pens. seg.
Dico altrove che tutti i nostri verbi diminutivi frequentativi disprezzativi ec. sono [3985]della 1. coniugazione come i più di tali generi in latino. Così gli spagn. e i franc.236 V. il pens. preced. ec.
(15. Dec. 1823.). e la pag.3991. capoverso 1.
Alla p.3970. principio. Si trovano ancora nelle nostre lingue parecchi semplici di cui in latino noto, non si hanno che i composti (e questi sono, più o meno, evidentemente tali, cioè composti e non semplici, e più o meno evidentemente formati da un semplice qual è il nostro ec.), e parecchie voci che nel latino noto non si hanno, ma se ne hanno le derivative ec. (più o meno evidentemente derivate, formate ec. da voci quali sono le nostre ec.). L'argomento in questi casi, massime ne' primi (perchè il composto suppone necessariamente il semplice) è più forte che mai.
(15. Dec. 1823.)
Alla p.3960. fine. Tali verbi possono essere o da meno (o da remeno o remino-rementum: v. la pag. seg. ec.) ovvero da miniscor, reminiscor ec. i quali verbi avranno tolto facilmente in prestito il supino o participio di meno ec. secondo l'uso de' verbi incoativi del quale altrove lungamente. Stimo dunque che rammentare sia quasi rementare da rementus sum di reminiscor (il qual verbo oggi non ha participio ossia perfetto deponente ma rammentare può dimostrarcelo) appunto al modo che commento as e commentor aris è da commentus sum di comminiscor (ovvero da commentum di ant. commeno, o da mentum di meno, aggiuntaci la prep. cum ec.). Veggasi il Gloss. Ammentare è da mentare (spagn.), usitato forse un tempo in italiano come in ispagnuolo aggiuntaci l'a per vezzo di nostra lingua (v. Monti Proposta in ascendere); ovvero da un Adminiscor ec. [3986]V. il Gloss. Mentar da meno o da miniscor. V. il Gloss.
Il qual miniscor è notato da Festo. Nuova prova del verbo meno da me congetturato altrove. Mostrerebbe però che si dicesse mino non meno. Ma forse Festo dedusse miniscor per sola congettura da reminiscor (v. Forc.), dove l'e deve esser cambiato in i per la composizione, e così in comminiscor ec. Se vi fu un incoativo semplice da meno, questo crederei che dovesse essere un meniscor non miniscor. (15. Dec. 1823.). Vero è però ch'io non ho forse ragione alcuna per dire meno piuttosto che mino. Memini può esser da meno (come cecidi da caedo ec.) e da mino ugualmente. Ma pur commentus (che ben può esser da commino, ma da un commino fatto da meno, che ripiglia nel participio la sua vocale, come contineo contentum da teneo non tineo ec.) e memento ec. par che dimostrino un meno. Memento ec. par che dimostri un memeno per reduplicazione del che p.3940-1. e altrove. O forse è fatto anomalamente da memini dopo la perdita degli altri tempi ec. e l'uso presente di questo perfetto venuto a divenir prima voce e tema del verbo; ovvero anche prima.
(15. Dec. 1823.)
Bito is, di cui altrove. V. Forcell. in Combitere.
(15. Dec. 1823.)
Alla p.3939. fine. Il supino è dal perfetto come provo altrove. Ma pingo, fingo, mingo ec. fanno pinxi ec. (e non altrimenti); dunque il lor vero supino è pinctum ec. Mingo ha veramente mictum.237 Così almeno lo segna il Forcell. V. però quivi la varia lezione all'esempio di Caio Tizio, e i composti di mingo, e i derivati [3987]dal suo supino come minctio ec. Così i composti di pingo fingo ec. e lor derivati ec.
(15. Dec. 1823.)
Alla p.3971. Ma che pagella p.e., e catella e simili sieno contrazioni di catenulella, paginulella (benchè catenula e paginula pur si trovino) e simili, non mi par credibile; bensì di paginella, catenella ec. o anche di paginula, catenula ec. E poi che ragione v'ha per dire che il diminutivo in ellus ec. non si possa fare che dalle voci in ulus ec.? Forse che essa diminuzione in ellus ec. non può esser altro che sopraddiminutiva? Ma da tabula, fabula ec. che non sono diminutivi, benchè in ul, si fa tabella, fabella ec. che non sono sopraddiminutivi ma diminutivi semplici. O forse vorremmo che tabella ec. sia contrazione di tabululella ec.? Al contrario spesso si dice ellulus come asellulus, catellulus ec. Or queste sarebbero elleno contrazioni di asinulellulus, catululellulus, cioè ripetizioni dell'ul, e diminutivi tripli? Tenellulus. Vedi la pag.3753. 3901. 3992. 3994. Agellulus. Impossibile: bensì di tabulella, come pagella di paginella ec.
(15. Dec. 1823.)
Alla p.3235. Metior o metio (avverti che questo è verbo della quarta e non della 3.) - metor aris e meto as, castrametari ec.
(16. Dec. 1823.)
Sella che ho contato altrove fra' diminutivi positivati, non lo è propriamente, se vien da sedes, perchè ha un senso molto più speciale di questo, benchè anch'esso molto esteso e vario.
(16. Dec. 1823.)
A proposito dello spirito denso dei greci mutato in s ec. si può notare lo spagn. sombra (coi derivati) cioè ombra da u...
[Pagina successiva]